Dal palco della Conferenza programmatica del Pd a Napoli, lo scorso 29 ottobre, il segretario Matteo Renzi è tornato a rilanciare la propria proposta di “tornare a Maastricht”, in modo da avere più risorse per finanziare le varie misure che propone.

Che cosa significa tornare a Maastricht

Con l’espressione “tornare a Maastricht” Renzi si riferisce ai parametri contenuti negli accordi firmati nella città olandese nel 1992, in particolare a un rapporto deficit/Pil complessivo che debba restare sotto l’asticella del 3% annuo (il deficit è la differenza negativa tra entrate e uscite dello Stato).

Non si tratta propriamente di un “ritorno” perché quei parametri, che sono stati in vigore dal 1993, sono validi ancora oggi. Accanto ad essi, però, ne sono stati aggiunti di più stringenti, previsti dal “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance“, noto anche come “Fiscal compact” e firmato nel marzo 2012.

Il Fiscal compact ha aggiunto, o meglio precisato: l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (in Italia è stato inserito nella Costituzione con una modifica costituzionale nell’aprile del 2012); l’obbligo di non superare la soglia di deficit strutturale (cioè al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum) superiore allo 0,5% del Pil (e superiore all’1% per i Paesi con debito pubblico inferiore al 60% del Pil); la drastica riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil (regola già stabilita nel 2011 con le norme europee del cosiddetto “Six Pack”); l’impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea.

Renzi, in particolare, vorrebbe poter ignorare il parametro del deficit strutturale allo 0,5%. È su questo punto che si inserisce la sua proposta di “tornare a Maastricht”.


L’Italia ha finora sempre ottenuto delle deroghe e, di fatto, né il debito (oggi superiore al 130% del Pil) né il deficit hanno mai rispettato i parametri del Fiscal compact. Ma è vero che la Commissione europea ha finora sempre valutato le manovre economiche dell’Italia alla luce del conseguimento di quegli obiettivi nel medio periodo, chiedendo chiarimenti e correzioni in tal senso.


Poter ignorare il limite del deficit strutturale, limitandosi a rispettare soltanto quello del deficit complessivo, darebbe maggiori margini di manovra ai governi italiani. Ma quanto?

Di quanti miliardi si tratta

Renzi parla di 30-50 miliardi di euro. Andando a leggere gli estratti del suo libro Avanti!, che contiene la proposta, si può precisare che si tratta di 30-50 miliardi di euro “in cinque anni”, dunque tra i 6 e i 10 miliardi di euro all’anno.

Non è chiaro come si ricavi questo dato.

La possibilità di aumentare la componente strutturale del deficit complessivo, fino a sfiorare la soglia del 3%, dipende direttamente dall’altra componente del deficit, quella ciclica. Ovvero: se un anno il deficit ciclico è dell’1%, quello strutturale potrà arrivare al massimo all’1,9%, per lasciare il deficit complessivo sotto il 3% come vorrebbe Maastricht (e Renzi).

Se guardiamo alle previsioni del ministero dell’Economia, contenute nell’ultima Nota di aggiornamento del Def, nel 2017 l’Italia dovrebbe avere il 2,1% di deficit (indebitamento netto). Di questo, la parte strutturale è dell’1,3%, e quella ciclica il restante 0,8%.

Per rispettare “solo Maastricht”, il deficit strutturale sarebbe potuto essere del 2,1% – lo 0,8% in più – e avrebbe comunque rispettato i parametri di Maastricht.

E nei prossimi anni? Il governo italiano stima che la componente ciclica si ridurrà sempre più, fino a scomparire nel 2020: quando si ipotizza un deficit complessivo dello 0,2% con una componente strutturale appunto dello 0,2%.

Nella proposta di Renzi, nel 2018 l’Italia potrebbe fare l’1,3% di deficit strutturale aggiuntivo (la nota al Def prevede un deficit complessivo all’1,6% e strutturale all’1%, dunque sarebbe possibile per l’Italia aumentare la componente strutturale fino al 2,3% – restando nei parametri di Maastricht – con un guadagno appunto di 1,3% rispetto a quanto previsto), nel 2019 il 2% (deficit complessivo 0,9% e strutturale 0,6%) e nel 2020 appunto il 3% intero.

Facendo la somma dal 2017 al 2020, e ipotizzando un 2021 in linea col 2020, si tratterebbe del 10% circa di deficit aggiuntivo in cinque anni, in rapporto al PIL. In miliardi – prendendo come parametro il 2016, quando il Pil fu di 1.680,523 miliardi di euro – sarebbero circa 170.

Non è dunque questo il calcolo che deve aver fatto Matteo Renzi.

Una seconda ipotezi

Si può ipotizzare allora che il segretario del Pd abbia fatto un’operazione matematica più semplice.

Come abbiamo detto, il Pil nel 2016 è stato di 1.680,523 miliardi di euro. Il deficit è stato del 2,5%, quindi pari a 42 miliardi di euro circa.

Poter passare – ipotizzando un Pil sostanzialmente invariato – dal 2,5% al 2,9% di deficit/Pil significherebbe dunque aumentare il deficit in valore nominale da 42 miliardi a 48,7 miliardi di euro: 6,7 miliardi di uscite in più ogni anno.

Nell’arco di cinque anni, significherebbe poter spendere 33,5 miliardi in più.

Questo calcolo però è fallace perché, come abbiamo spiegato, non tiene in considerazione la variabile della componente ciclica del deficit.

Le controindicazioni

Prescindendo da qualsiasi valutazione economica sull’opportunità di una simile misura, si può dire che Renzi stia promettendo qualcosa di molto difficile da ottenere anche dal punto di vista politico.

Non solo sarebbe necessaria la modifica di trattati europei – in particolare quello sul Fiscal compact – che possono essere modificati solo all’unanimità dagli Stati membri (e i cosiddetti “falchi” del rigore, specie i Paesi del Nordeuropa, sono contrari), ma la stessa Costituzione italiana è stata modificata nel 2012 per introdurre il principio del pareggio di bilancio (cioè l’eguaglianza tra entrate e uscite dello Stato).

Per modificarla nuovamente si dovrebbe seguire la complessa procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione, con un duplice passaggio a Camera e Senato e il rischio di un referendum popolare confermativo.

Il verdetto

Renzi sostiene che potendo “tornare a Maastricht” – cioè a un deficit complessivo inferiore al 3% ma senza l’obbligo di portare il deficit strutturale verso lo 0,5% – per cinque anni si otterrebbero risorse per 30-50 miliardi di euro.

Al di là delle reali possibilità (poche) di ottenere questo risultato la differenza tra deficit complessivo, considerato da Maastricht, e deficit strutturale, considerato dal Fiscal compact, rende quasi impossibile il pronostico. A seconda della componente ciclica del deficit, infatti, è possibile che il livello di deficit complessivo consentito dal Fiscal compact di anno in anno cambi.

Secondo le previsioni del Ministero dell’Economia, la componente ciclica nei prossimi anni sarà molto ridotta, e dunque facendo una simulazione su tali previsioni risulta in realtà un importo di gran lunga superiore a quello menzionato da Renzi.

Considerata la difficoltà di avanzare ipotesi e la scarsa chiarezza del conto fatto, per Renzi un “Nì”.

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2017-11-20 12:24:29 UTC




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Pagella Politica rating logo Pagella Politica Verdetto:


«L’operazione ‘Back to Maastricht’ […] libera dai 30 ai 50 miliardi di euro»




Matteo Renzi

segretario del Partito Democratico

https://www.youtube.com/watch?v=-_hEyV1KJ_A&t=2237s#t=39m55s



Napoli, Conferenza programmatica del PD

domenica 29 ottobre 2017

2017-10-29