Si tratta di un’affermazione fuorviante. La Costituzione prevede tre tipi di referendum: quello abrogativo, per cui è richiesto il raggiungimento del quorum, quello confermativo, necessario nel caso di revisione costituzionale come accaduto lo scorso 4 dicembre, e quello consultivo, ma limitatamente alla materia dei mutamenti della geografia politica delle Regioni.



Per fare un referendum consultivo o di indirizzo su materie diverse è quindi necessario integrare la Costituzione con una previsione che nella sua versione attuale non è contemplata. Sostanzialmente si tratta di una modifica, contrariamente a quanto sostiene Di Battista.



Proprio nel caso citato del 1989 il Parlamento decise di promulgare una legge costituzionale che introducesse, ma solo limitatamente a quella specifica occasione, la possibilità di tenere un referendum consultivo sul passaggio da Comunità a Unione europea e sui poteri del Parlamento europeo.



Testualmente il quesito era: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”. L’affluenza fu dell’80,8% e i “sì” vinsero con l’88%.



Di Battista avrebbe dunque ragione se intendesse che non è necessario apportare una modifica permanente alla Carta costituzionale, come appunto accaduto nel 1989; che tale modifica può essere temporanea. Tuttavia che la modifica sia permanente o meno la procedura non cambia.



Per introdurre la possibilità di tenere un referendum consultivo sarà necessario approvare una legge costituzionale, con due passaggi per ogni Camera del Parlamento a distanza di 3 mesi almeno l’uno dall’altro. Inoltre la legge costituzionale dovrà poi essere approvata con referendum confermativo – se lo richiede un quinto dei deputati, o cinque consigli regionali, o 500 mila elettori, entro tre mesi dall’approvazione – a meno che il Parlamento non la voti con una maggioranza di due terzi in ciascuna delle due Camere all’ultima votazione.



Salvo percentuali superiori al 60% alle prossime elezioni (a legge elettorale vigente) per i contrari alla moneta unica, si dovrà paradossalmente tenere un referendum confermativo sulla legge costituzionale che indice un referendum consultivo sull’euro.



Infine vale la pena menzionare il problema che un referendum, ancorché dall’esito non vincolante, porrebbe se riguardasse – come nel discorso di Di Battista – l’uscita dall’euro. La moneta unica è obbligatoria per tutti i Paesi membri della Ue (ad eccezione di Uk e Danimarca, che hanno un opt-out) che hanno raggiunto determinati parametri economici. Chi non li raggiunge viene qualificato dall’art 139 Tfue come “Stato membro con deroga”, proprio per l’eccezionalità della sua situazione rispetto alla regola – e dunque non è possibile teoricamente uscire dall’euro senza abbandonare la Ue.



C’è tuttavia un’eccezione mai sanata a questa regola, rappresentata dalla Svezia. Stoccolma ha infatti da tempo raggiunto i parametri per l’ingresso nell’euro ma non lo hai mai fatto. Certo il caso dell’Italia sarebbe diverso, trattandosi non di una adesione mai avvenuta ma di una fuoriuscita dall’area euro dopo averne fatto parte fin dalla sua nascita.



Il verdetto



Di Battista si merita dunque almeno un “pinocchio andante”, in quanto un’integrazione alla Costituzione – che di fatto modifichi le sue attuali previsioni – è assolutamente necessaria per poter tenere un referendum consultivo, anche se essa può essere non permanente. E proprio il caso del 1989 lo dimostra.














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Pinocchio andante




Non occorre cambiare la Costituzione italiana per fare un referendum consultivo, è già stato fatto nell’ ’89







Alessandro Di Battista


Deputato del Movimento 5 Stelle





Piazza Pulita, La 7



giovedì 23 marzo 2017



-23/-03/2017





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