Ospite a Otto e Mezzo, Luigi Di Maio critica i metodi di Equitalia, l’ente di riscossione delle imposte. Se interpretiamo bene il suo ragionamento, Equitalia – in quanto società privata – ha tutto l’incentivo a massimizzare le riscossioni al fine di guadagnare di più, accanendosi dunque anche contro i contribuenti più deboli. Ma facciamo un passo indietro.



Equitalia begins



Potrà sembrare strano, ma fino a pochi anni fa la riscossione delle imposte non era effettuata dallo Stato. Come spiega il sito di Equitalia, prima del 1° ottobre 2006 “le attività di riscossione per conto dello Stato erano delegate in concessione a circa 40 aziende di proprietà di istituti bancari e soggetti privati che, nell’area geografica di competenza, esercitavano ognuno in modo diverso la loro funzione”.



A partire dall’ottobre 2006, il sistema di riscossione nazionale è passato sotto il controllo pubblico. Negli anni successivi il numero di concessionarie è stato gradualmente ridotto fino ad arrivare nel 2012 a tre società: Equitalia Nord S.p.A., Equitalia Centro S.p.A. e Equitalia Sud S.p.A. (ad esclusione della Sicilia, sul cui territorio Equitalia non ha competenza), che svolgono le loro funzioni sotto la holding Equitalia S.p.A.



Equitalia è dunque una società per azioni, ma la società è a totale capitale pubblico: il 51% è detenuto dall’Agenzia delle Entrate mentre il 49% dall’Inps. Tale caratteristica la rende una società privata, come afferma Di Maio, o pubblica? Sul punto non c’è unanimità di vedute, ma sembra prevalere la tesi della natura pubblica: da una parte la Corte di Cassazione considera privata Equitalia e legata allo Stato da un rapporto di concessione; dall’altra il Consiglio di Stato, la Corte Costituzionale e la Corte dei Conti ne prediligono la natura pubblica, considerando che la finalità dell’ente è quella di soddisfare un bisogno di interesse generale.



Di Maio contribuisce a diffondere una visione distorta di Equitalia, che il direttore Befera lamentava già in una intervista del 2012: “Le dico che cosa è emerso da un sondaggio che ho fatto predisporre: gli italiani pensano che Equitalia sia una società privata che recupera crediti e lucra sulle altrui sventure. In realtà Equitalia è lo Stato e fa quello che le leggi dello Stato gli impongono di fare, la riscossione coattiva delle imposte”.



Più riscuoti più guadagni



Il secondo punto del ragionamento di Di Maio è legato al funzionamento dell’ente incriminato e, in particolare, ai guadagni che la società percepirebbe per l’attività di riscossione, il cosiddetto “aggio”.



In sostanza, come spiega il sito di Equitalia, quando un contribuente riceve una cartella di Equitalia per tributi non pagati ha 60 giorni di tempo per saldare i conti con il fisco. Se il pagamento avviene dopo i 60 giorni si aggiungono interessi di mora e sanzioni, calcolati giornalmente, che Equitalia versa all’ente creditore. L’aggio è un elemento ulteriore ed è inteso come la remunerazione che l’agente della riscossione percepisce per l’attività di riscossione. Se il pagamento della cartella viene effettuato entro 60 giorni dalla notifica, il debitore dovrà versare un aggio del 4,65%; se il pagamento viene effettuato successivamente, l’aggio è dell’8% (nel primo caso la restante parte è a carico dell’ente creditore).



Nell’intervista citata sopra Befera si difende, spiegando che l’aggio serve a coprire i costi del funzionamento di Equitalia, mentre le multe spropositate di cui chiede conto il giornalista sarebbero da imputare alle sanzioni ed agli interessi che vanno alle amministrazioni che richiedono l’imposta.



In ogni caso è utile ricordare che l’aggio è fissato per legge e non da Equitalia. Non si tratta di una novità: prima che venisse creata Equitalia la legge riconosceva ai concessionari privati un aggio del 9% sulle somme richieste al debitore. Con la sua creazione l’aggio è stato mantenuto al 9%, ma il decreto n.95/2012 (la cosiddetta spending review del governo Monti) ha in seguito abbassato all’8% l’aggio per i ruoli emessi a partire dal 1° gennaio 2013.



All’arremb-aggio!



Quello dell’aggio rimane comunque un problema sentito. Due commissioni tributarie hanno chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’aggio, sollevando tre ordini di obiezioni: (i) il criterio di calcolo dell’aggio, (ii) l’eccessività dell’onere posto a carico del debitore rispetto al costo effettivo del servizio e (iii) l’assenza di una connessione tra aggio e capacità contributiva. Tuttavia, lo scorso 10 luglio la Consulta ha dichiarato la questione inammissibile, senza in realtà entrare nel merito delle obiezioni.



Nel frattempo è intervenuto anche il governo Renzi, che lo scorso 26 giugno ha presentato il pacchetto di proposte nell’ambito della delega fiscale. Tra queste figura una “semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione”, in cui – tra le altre cose – si propone di abbassare l’aggio al 6% (che scenderebbe al 3% a carico del debitore per un pagamento della cartella effettuato entro i 60 giorni).



E’ inoltre interessante notare che, almeno guardando all’ultimo bilancio di Equitalia, l’aggio attuale copre i costi del funzionamento dell’ente: nel 2014 il gruppo ha chiuso con un utile netto di circa 21,5 milioni.



Il verdetto



Di Maio punta il dito su una questione che merita attenzione, ma la sua ricostruzione è imprecisa. Nonostante la forma sia quella della S.p.A., Equitalia è da considerare una società pubblica e non privata. E’ vero che il meccanismo dell’aggio – come percentuale sull’ammontare riscosso – incoraggia il principio del “più riscuoti più guadagni” a cui si riferisce Di Maio, ma è bene anche ricordare che l’aggio era in vigore da prima della creazione di Equitalia, quando il sistema della riscossione era in mano a concessionari privati: “Nì”.