Il 2 ottobre 2019, il senatore di Italia Viva Matteo Renzi è stato ospite a Otto e mezzo su La7.

Abbiamo verificato che cosa corrisponde al vero e che cosa no in nove dichiarazioni dell’ex presidente del Consiglio.

L’azzeramento del Pil

«[L’Italia] era un Paese che andava forte, +1,7%, con il governo populista si è azzerato» (2:16)

Nel 2017, ultimo anno in cui ha governato per intero un esecutivo guidato da un presidente del Consiglio del Partito democratico (l’attuale commissario Ue, nonché presidente del partito, Paolo Gentiloni), il Pil dell’Italia è cresciuto dell’1,7 per cento, come ricordato da Renzi.

A fine 2018, anno in cui il Pd ha governato fino al 1° giugno, per poi essere sostituito dal primo governo Conte, il Pil è invece cresciuto dello 0,9 per cento.

Perché Renzi parla allora di “azzeramento” del Pil? L’ex segretario del Pd fa probabilmente riferimento alle nuove stime contenute nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza per il 2019 (Nadef), approvata il 30 settembre 2019 dal Consiglio dei ministri.

Per la fine del 2019, questo testo prevede una crescita del Pil dello 0,1 per cento, sia per quanto riguarda il quadro macroeconomico tendenziale (ossia a politiche invariate) sia per quello programmatico (che tiene conto dei provvedimenti che vogliono introdurre Pd e M5s).

Bisogna ricordare però che i tassi di crescita del Pil sono fortemente influenzati anche dal contesto economico internazionale. Come abbiamo verificato in passato, È vero che, per esempio, che tra il 2013 e il 2016 il Pil italiano era tornato da negativo a positivo, ma questo trend aveva coinvolto tutta l’Ue, dove diversi Paesi avevano fatto meglio dell’Italia.

L’ultimo aumento dell’Iva

«Io non voglio essere il partito delle tasse. Mi ricordo quando il mio amico Dario Franceschini era al governo Letta, e aumentò l’Iva – l’ultima volta che questo è accaduto in Italia – era il 1° ottobre 2013, io non ero il segretario del Pd» (6:36)

È vero: l’Iva ordinaria è stata aumentata nel nostro Paese l’ultima volta nel 2013, passando da un’aliquota del 21 per cento all’attuale 22 per cento.

L’incremento era stato stabilito dall’allora governo Letta con il decreto-legge n. 78 (articolo 11) del giugno 2013. Il provvedimento aveva comunque posticipato di qualche mese, dal 1° luglio 2013 al 1° ottobre 2013, l’entrata in vigore di una parte degli aumenti dell’Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. Queste ultime, a loro volta, erano state introdotte nel 2011 dall’allora governo Berlusconi (decreto-legge n. 98).

All’epoca dell’aumento – ottobre 2013 – Renzi non era segretario del Pd. Lo sarebbe diventato circa due mesi dopo, vincendo le primarie con il 67,5 per cento dei voti.

I risultati del governo Renzi sull’evasione

«Sul contrasto all’evasione, per noi, parlano i risultati: perché quando io sono stato al governo, in quel triennio, il recupero dalla lotta all’evasione parla chiaro» (8:15)

Un altro risultato rivendicato dall’ex presidente del Consiglio riguarda il contrasto all’evasione fiscale. Partiamo prima dai dati dei precedenti esecutivi, certificati dall’Agenzia delle Entrate.

Nel 2011, con il governo Berlusconi, il recupero dell’evasione fiscale era stato di 12,7 miliardi di euro, una cifra simile ai 12,5 miliardi di euro recuperati a fine 2012 con il governo Monti.

Nella scorsa legislatura, questi numeri hanno cominciato ad aumentare. Con il governo Letta, nel 2013 il recupero dell’evasione è salito a 13,1 miliardi di euro, cresciuti poi a 14,2 miliardi nel 2014 (primo anno di governo Renzi), a 14,9 miliardi nel 2015 e a 19 miliardi nel 2016. Quest’ultimo è stato definito al tempo «un record assoluto per il recupero dell’evasione», come comunicato dall’Agenzia delle Entrate.

In sostanza, nei quasi tre anni di governo Renzi, il recupero è cresciuto di oltre 7 miliardi di euro rispetto al governo Monti.

Se contiamo anche il governo Gentiloni, l’aumento rispetto a fine 2012 sale a circa 9 miliardi di euro. Nel 2017 infatti il recupero dell’evasione fiscale è stato di 20,1 miliardi di euro.

A fine 2018 – dove per sette mesi hanno governato Lega-M5s – il recupero dell’evasione fiscale è sceso a 19,2 miliardi di euro: 16,2 miliardi provengono dagli incassi sui controlli fiscali, mentre 3 miliardi dalla definizione di controversie tributarie, dalla rottamazione di cartelle e dalla voluntary disclosure.

Ricapitolando: Renzi ha ragione nel dire che il suo governo ha ottenuto risultati significativi nel contrasto all’evasione fiscale, ma la cifra è rimasta in sostanza stabile anche con la nuova legislatura.

Il governo “femminista” di Renzi

«Quanti sono stati i governi dal dopoguerra? 66. Quanti hanno avuto la parità di genere? Uno. Almeno questo me lo riconosca» (11:34)

Questa affermazione è uno dei cavalli di battaglia di Renzi, che ha solo parzialmente ragione.

Il senatore di Italia Viva è stato presidente del Consiglio dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2018, e al momento del giuramento, otto ministeri su 16 erano presieduti da donne. Ma solo solo per pochi mesi, e precisamente fino al 31 ottobre 2014, perché in quella data Paolo Gentiloni sostituì Federica Mogherini come ministro degli Esteri.

Al termine del governo Renzi, poi, il numero delle ministre era sceso a sei su 16, dopo le dimissioni di Federica Guidi allo Sviluppo economico (aprile 2016) e Maria Carmela Lanzetta agli Affari regionali (gennaio 2015).

Per poco più di otto mesi, l’esecutivo Renzi ha comunque mantenuto una parità di genere tra i vertici dei ministeri. Secondo il dossier “Donne in politica” di Openpolis, questa è stata l’unica volta nella storia repubblicana (dove come dice correttamente Renzi si sono succeduti 66 governi) .

La parità di genere rivendicata dall’ex presidente del Consiglio viene poi meno se si allarga lo sguardo all’intera squadra di governo. Considerando le cariche dei sottosegretari, la rappresentanza femminile del governo Renzi scende al 27,5 per cento al momento dell’insediamento: meno di tre membri donna su 10.

Renzi e i diritti delle donne

«[Sui diritti delle donne] Se c’è stato un unico partito che ha fatto qualcosa, dalle dimissioni in bianco eliminate con il Jobs Act agli investimenti sulla presenza nelle aziende, eccolo qua» (12:05)

Come spiega il sito del Ministero del Lavoro, uno dei provvedimenti introdotti dal Jobs Act riguarda proprio il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, che coinvolge soprattutto le donne e consiste nel far firmare a una dipendente, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni.

«A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche», si legge sul sito del Ministero. «Obiettivo di questa importante novità è contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, una pratica molto diffusa che sino ad oggi ha penalizzato i lavoratori più deboli».

Questa lotta alle dimissioni in bianco non è però una novità introdotta da Renzi: già in precedenza diversi governi si erano occupati della questione. La riforma del lavoro approvata nel 2012 dal governo Monti, per esempio, prevedeva alcune misure per limitare il fenomeno delle madri costrette a dimettersi una volta andate in maternità.

Renzi, poi, esagera in generale quando dice che il Pd è stato l’«unico partito» ad aver fatto qualcosa per i diritti delle donne.

Si pensi per esempio a quanto fatto nel 2009 dall’allora governo Berlusconi, che approvò il decreto-legge n. 38, introducendo con l’articolo 7 il reato di stalking.

I miliardi contro la povertà

«I fondi sulla povertà sono passati con il mio governo da 20 miliardi a 2,7 miliardi» (19:12)

Anche questa frase è spesso ripetuta nelle ospitate tv da Renzi, che qui fa doppia confusione.

Da un lato, come già successo in passato, l’ex segretario del Pd voleva dire sicuramente «20 milioni» e non «miliardi».

Dall’altro lato, qualcosa non torna sulle cifre indicate.

Prima dell’insediamento del governo Letta, in Italia si spendevano circa 50 milioni di euro in via sperimentale per il contrasto alla povertà (e non 20 milioni), attraverso il cosiddetto Sostegno di inclusione attiva (Sia). Letta ha poi aumentato i fondi con 250 milioni per il solo 2014 e 120 milioni da spalmare nel triennio 2014-2016.

Il governo Renzi ha a sua volta stanziato ulteriori risorse nel contrasto alla povertà, con oltre 730 milioni di euro nel 2016.

I 2,7 miliardi di euro di cui parla Renzi fanno riferimento allo stanziamento (2,75 miliardi di euro, a essere precisi) previsto per il 2020 dal successivo governo Gentiloni per finanziare il Reddito di inclusione (Rei), introdotto nel 2018 con risorse per circa 2 miliardi di euro.

Ma quei soldi erano le risorse promesse per il futuro. Il cambio di governo ha portato, naturalmente, a una parziale modifica. Con il governo Conte I, infatti, il Rei è stato sostituito nel marzo 2019 dal reddito di cittadinanza.

Il taglio del costo del lavoro

«Il cuneo fiscale noi lo abbiamo fatto davvero: 80 euro ai lavoratori e 17 miliardi di decontribuzione alle imprese» (19:20)

Generalmente con l’espressione “cuneo fiscale” si fa riferimento alla differenza tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto in busta paga lo stesso lavoratore. In questa dichiarazione, Renzi rivendica correttamente due misure che hanno portato a una modifica del cuneo.

Da un lato, il decreto-legge n. 66 del 2014 ha introdotto per i lavoratori dipendenti la possibilità di ottenere, tra maggio e dicembre 2014, un credito Irpef pari a un massimo di 640 euro (ossia 80 euro al mese).

La misura è stata poi confermata con la legge di Stabilità del 2015 (art. 1, co. 12,13 e 15) e negli anni successivi. È stato riconosciuto, da gennaio 2015 e agli aventi diritto, la possibilità di percepire un aumento in busta paga fino a un massimo di 960 euro annuali (ancora una volta, 80 euro mensili).

Dall’altro lato, la legge di bilancio per il 2015 (la n. 190 del 23 dicembre 2014, articolo 1, co. 118) ha introdotto il cosiddetto “esonero contributivo triennale”, una misura che rientrava nella riforma del lavoro del Jobs Act. Nello specifico, questo provvedimento consentiva che i datori di lavoro non versassero per tre anni i contribuiti all’Inps per i contratti a tempo indeterminato stipulati entro il dicembre del 2015.

Quanto è costato l’esonero alle casse dello Stato? Secondo le stime dell’Inps contenute nel Rapporto annuale pubblicato a luglio 2019, «l’importo complessivo delle agevolazioni riconosciute» è stato pari a «16,7 miliardi», cifra in linea con quella indicata dal senatore di Italia Viva.

In generale, tra il 2014 e il 2016 (il triennio in cui Renzi è stato presidente del Consiglio) il livello del cuneo fiscale in Italia, secondo i dati Ocse, non è calato, rimanendo stabile intorno al 47,8 per cento.

Come è possibile, se effettivamente sono state introdotte misure come il “bonus 80 euro”? Secondo un approfondimento del sito di settore Ipsoa di aprile 2015, è vero per esempio che nel 2014 il cuneo fiscale si è ridotto per i lavoratori dipendenti con reddito inferiore ai 26 mila euro (i beneficiari del “bonus Renzi”) ma questa soglia è inferiore alla retribuzione media presa in considerazione dall’Ocse nelle sue pubblicazioni. In quell’anno, secondo Ipsoa, per i lavoratori con retribuzione pari alla media si era invece assistito a un leggero aumento del cuneo.

«Enrico, stai sereno»

«Lei si ricorda chi è stato nel febbraio del 2014 a proporre che io andassi a Palazzo Chigi? Non la mia corrente, ma l’onorevole Speranza» (24:15)

Questa dichiarazione fa parte della ricostruzione personale di Renzi sulle ragioni del cambio della presidenza del Consiglio avvenuta a febbraio 2014, ma ha fondamenti reali.

In un’intervista rilasciata a La Repubblica durante la crisi di governo, l’allora presidente dei deputati del Partito democratico Roberto Speranza aveva dichiarato che ci fosse la necessità di un nuovo governo, sostenendo di fatto la staffetta Letta-Renzi.

Negli anni successivi, Speranza – che oggi è ministro della Salute – ha preso le distanze da Renzi, in un percorso culminato nella scissione dal Pd del 2017, con la nascita del partito Articolo 1 – Movimento democratico e progressista.

In un’intervista del 14 luglio di quell’anno, Speranza ha confermato il suo ruolo nel sostegno a Renzi come presidente del Consiglio nel 2014.

Un’invasione di africani nel 2040?

«Non si rendono conto questi signori alla Salvini che l’invasione arriverà nei prossimi 20 anni perché ci sono 2 miliardi e mezzo di africani» (26:40)

La cifra citata da Renzi è esagerata.

Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, oggi in Africa vivono circa 1,3 miliardi di persone, un numero che si prevede salirà a 2 miliardi nel 2040 e a 2,5 miliardi nel 2050.

L’ex presidente del Consiglio anticipa così di circa dieci anni il raggiungimento di questa cifra, e prevede un’«invasione» che nonostante il continuo aumento del numero della popolazione africana non è per nulla automatica. Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), gli arrivi sulle coste europee dal Mediterraneo sono in continuo calo da quattro anni, un andamento indipendente dalla dinamica demografica africana.

In conclusione

Abbiamo verificato nove dichiarazioni fatte da Renzi a Otto e mezzo e in diversi casi l’ex presidente del Consiglio è stato impreciso con i numeri o ha esagerato i risultati conseguiti quando era al governo.

È vero che l’Iva è aumentata l’ultima volta nel 2013 con Letta e che a fine 2019 si stima una crescita del Pil vicinissima allo zero, ma allo stesso tempo non è vero che nel 2040 gli africani saranno 2,5 miliardi (ma due).

Sui fondi contro la povertà, Renzi fa riferimento a stanziamenti per il 2020 stabiliti da Gentiloni, poi rivisti dal governo Conte, mentre sull’evasione è vero che con l’ex segretario del Pd si sono raggiunti recuperi record.

Sul taglio al cuneo fiscale è vero che Renzi ha introdotto il bonus 80 euro e decontribuzioni per circa 17 miliardi di euro, ma il livello generale del costo del lavoro è rimasto comunque stabile nei suoi tre anni di governo.

Infine, il governo Renzi ha sì adottato misure contro le dimissioni in bianco, ma questo era già stato fatto in passato, così come altri esecutivi si erano occupati dei diritti delle donne più in generale.