Il 29 gennaio Sergio Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica per il suo secondo mandato. La settimana di votazioni che ha riconfermato il capo dello Stato uscente al Quirinale ha messo in evidenza forti divisioni interne ai partiti, sia di centrodestra che di centrosinistra.
Al momento non è per nulla chiaro quali conseguenze ci saranno, né sulla tenuta del governo guidato da Mario Draghi né sulla struttura delle alleanze in Parlamento. Cerchiamo però di capire quali sono le posizioni in campo, analizzando lo stato di salute dei principali partiti coinvolti nella rielezione di Mattarella.
Che cosa succedendo nel centrodestra
Partiamo dalla coalizione di centrodestra, che, numeri alla mano, aveva a disposizione più voti di tutti – ma non sufficienti da soli – per indicare il prossimo capo dello Stato.
Nella settimana delle votazioni, il leader della Lega Matteo Salvini è stato l’esponente di centrodestra che più ha partecipato apertamente alle trattative sul Quirinale. E, per questo motivo, è al momento uno dei leader più criticati per come si è concluso il voto in Parlamento. Da Letizia Moratti a Carlo Nordio, passando per la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, nessuno dei candidati sostenuti da Salvini, e dalla sua coalizione, ha infatti mai avuto possibilità concrete di succedere a Mattarella.
Il 31 gennaio, Salvini ha scritto un commento su Il Giornale in cui ha sottolineato «la potenziale forza, ma anche i limiti, della coalizione di centrodestra come è attualmente». «È giunto il momento di federarci», ha sottolineato Salvini, spiegando che «solo un nuovo contenitore politico delle forze di centrodestra, a cominciare da quelle che appoggiano il governo Draghi, può agire in modo incisivo».
Secondo fonti stampa, nei prossimi giorni sarà convocato il Consiglio federale della Lega, di cui fanno parte tutti i rappresentanti dei territori, per parlare non solo del futuro della coalizione, ma anche delle dinamiche interne al partito. Nelle scorse ore il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, esponente di primo piano della Lega, ha infatti chiesto una «messa a punto» del governo e un «nuovo tipo di metodo di lavoro».
La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è stata invece molto critica sulla gestione delle trattative da parte di Salvini. Il 29 gennaio, in un tweet, Meloni ha commentato con un «non voglio crederci» la richiesta del leader della Lega di rieleggere Mattarella presidente della Repubblica. Lo stesso giorno la leader di Fdi ha annunciato che «bisogna rifondare il centrodestra», dove da tempo i sondaggi hanno registrato un sorpasso di consensi del suo partito sulla Lega. Il 30 gennaio, in un’intervista a il Corriere della Sera, Meloni ha dichiarato che «in questo momento» non si ritiene più alleata di Lega e Forza Italia, visto che hanno «preferito l’alleanza con il centrosinistra, sia per Draghi che per Mattarella».
Va comunque sottolineato che neppure Fdi è riuscita a ottenere quello che voleva da queste elezioni presidenziali. Il partito di Meloni si era sempre detto contrario al secondo mandato di Mattarella, ma soprattutto puntava alle elezioni anticipate, uno scenario ora ritenuto più improbabile, vista la conferma di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio.
Le elezioni presidenziali hanno visto anche uno strappo da parte di Forza Italia nei confronti dei loro alleati di centrodestra. Dopo il passo indietro del leader Silvio Berlusconi, che per diversi giorni ha tenuto viva la sua candidatura al Quirinale, inizialmente Forza Italia ha partecipato alle trattative insieme a Lega e Fdi. Ma dopo il fallimento del 28 gennaio della candidatura di Casellati, ha deciso di staccarsi dai due alleati e trattare in autonomia con le altre forze politiche.
Le divisioni nel Movimento 5 stelle
Anche il campo allargato del centrosinistra, considerando il Partito democratico, il Movimento 5 stelle e Liberi e uguali, è uscito dalla rielezione di Mattarella con diverse questioni da risolvere, soprattutto all’interno del partito guidato dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Da giorni, i quotidiani stanno evidenziando come nel M5s lo scontro più duro in corso sia quello proprio tra Conte e l’ex capo politico del movimento, Luigi Di Maio, oggi ministro degli Esteri. Il 29 gennaio, subito dopo la rielezione di Mattarella, Di Maio ha dichiarato che «anche nel Movimento 5 stelle serve aprire una riflessione politica interna», sottolineando come la scelta del mandato bis sia arrivata dai parlamentari e con il «contributo di Mario Draghi», e non dai leader di partito.
Nelle ore successive, Conte ha dichiarato di aver raggiunto l’obiettivo di mantenere Draghi alla presidenza del Consiglio, sostenendo che anche Di Maio dovrà «chiarire» agli iscritti le posizioni assunte negli ultimi giorni. Il 31 gennaio, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, l’ex deputato del M5s Alessandro Di Battista ha attaccato l’ex capo politico del movimento, dicendo che gli interessa di più «salvaguardare il suo potere personale che la salute del M5s». Al momento diverse fonti stampa, e lo stesso Di Battista, non escludono addirittura che si possa arrivare a una scissione interna al partito fondato da Beppe Grillo.
Le posizioni nel Pd
Sul fronte del Partito democratico, i problemi maggiori del segretario Enrico Letta sembrano riguardare soprattutto l’alleanza con il M5s, che non questioni interne. In modo speculare al centrodestra, nei primi giorni di trattative il leader del Pd, insieme con quello del M5s Conte e di Leu Roberto Speranza, hanno partecipato a riunioni congiunte per decidere come procedere per l’elezione del Quirinale. Ma alcuni avvicendamenti hanno incrinato questa dinamica, come l’asse creatosi tra Conte e Salvini per cercare di eleggere al Quirinale Elisabetta Belloni, la direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis).
Diversi commentatori hanno fatto notare come la rielezione di Mattarella e la conferma di Draghi a Palazzo Chigi fosse già in partenza uno degli scenari preferiti da parte del Partito democratico. L’aver centrato questo obiettivo non dimostra però necessariamente una forte unità interna al partito, anzi. Secondo alcuni osservatori, la scelta di ripiegare definitivamente su Mattarella da parte di Letta sarebbe stata dettata proprio dal non voler correre il rischio di spezzare il partito, da sempre diviso in correnti interne, che in passato hanno portato alla bocciatura di candidature anche di primo piano.
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