Si sono conclusi con un nulla di fatto i primi tre scrutini per l’elezione del successore di Sergio Mattarella, il cui mandato come presidente della Repubblica scadrà il prossimo 3 febbraio. Le votazioni sono iniziate alla Camera lunedì 24 gennaio alle ore 15 e, a causa dei nuovi protocolli per ridurre il rischio di contagio da Covid-19, finora si è tenuta una sola votazione al giorno.

I primi tre scrutini sono da sempre i più complicati da gestire poiché richiedono un quorum particolarmente alto, pari a due terzi degli aventi diritto. In questa elezione, l’asticella è fissata a 673 voti su 1.009. Nessun nome si è avvicinato a questa soglia, che anzi il primo giorno è stata sfiorata soltanto dal numero di schede bianche.

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I numeri delle votazioni

Al primo scrutinio le schede senza un nome sono state infatti 672, 527 al secondo scrutinio e 411 al terzo.

Il candidato più votato è stato l’attuale presidente Sergio Mattarella, che allo scrutinio di mercoledì 26 gennaio ha raccolto 125 preferenze. A seguire c’è stato Guido Crosetto, candidato “di bandiera” proposto da Fratelli d’Italia (Fdi) il 26 gennaio, ma votato anche da altri parlamentari. Fdi può infatti contare su 63 “grandi elettori”, ma il nome di Crosetto è stato letto 114 volte.

Si è fatta notare anche la candidatura di Paolo Maddalena, vicepresidente della Corte Costituzionale tra il 2010 e il 2011, noto per le sue posizioni euroscettiche e conservatrici su temi come l’aborto e le unioni civili. Il suo nome – che al terzo scrutinio ha ricevuto 62 voti – è stato proposto e sostenuto principalmente dai parlamentari fuoriusciti dal Movimento 5 stelle, senza alcuna reale possibilità di successo. Nonostante il ritiro ufficiale della sua candidatura, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha comunque ricevuto un totale di 18 voti nelle tre giornate.

A partire da giovedì 27 gennaio, nella quarta giornata di votazioni, il quorum scenderà alla maggioranza assoluta degli aventi diritto di voto. Per eleggere il successore di Mattarella, basteranno così 505 voti, soglia ancora distante dalle preferenze a disposizione del centrodestra e del centrosinistra. Numeri alla mano, il primo schieramento è però quello con più voti e per questo motivo è anche quello che nelle ultime ore ha cercato di prendere maggiore iniziativa nell’indicare possibili candidati per il Quirinale.

La rosa del centrodestra

Martedì 25 gennaio i tre leader del centrodestra (Matteo Salvini della Lega, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Antonio Tajani di Forza Italia) hanno infatti tenuto una conferenza stampa congiunta per annunciare tre candidati «ufficiali», così come li ha definiti Salvini, della coalizione.

I nomi sono stati quelli della vicepresidente e assessora al Welfare per la Regione Lombardia Letizia Moratti (ex ministra, ex sindaca di Milano ed ex presidente della Rai), l’ex magistrato Carlo Nordio e l’ex presidente del Senato Marcello Pera. Secondo diversi osservatori, il centrodestra ha molto probabilmente avanzato questi nomi con lo scopo di “bruciarli”, come si dice in gergo politico e giornalistico, dunque sostanzialmente per farli bocciare dal centrosinistra e mantenere invece aperta la strada a nomi più promettenti. Questa ipotesi è stata smentita in conferenza stampa dai tre leader del centrodestra (Salvini ha per esempio affermato che «questi non sono candidati di bandiera, non abbiamo tempo per giochini politici»), che però hanno comunque fatto riferimento in maniera indiretta a essere aperti ad altri nomi, come vedremo meglio tra poco.

La rosa proposta dal centrodestra è stata effettivamente bocciata dalla coalizione di centrosinistra, formata da Partito democratico, Movimento 5 stelle e Liberi e uguali, che in un comunicato congiunto hanno dichiarato: «Pur rispettando le legittime scelte del centrodestra, non riteniamo che su quei nomi possa svilupparsi quella larga condivisione in questo momento necessario». Come preventivato, quindi, le possibilità di vedere Moratti, Nordio o Pera al Quirinale sono rapidamente tramontate.

Nel tardo pomeriggio di martedì 25 gennaio il segretario del Pd Enrico Letta, parlando con la stampa, ha invitato tutti gli schieramenti politici a riunirsi a oltranza per decidere il nome del prossimo presidente: «Dobbiamo rinchiuderci in una stanza, a pane e acqua, buttare via la chiave finché non si trova una soluzione. il Paese non può aspettare giorni o settimane di voti a schede bianco, noi siamo disponibili a farlo». Per il momento il centrosinistra ha deciso di non comunicare una lista di nomi in risposta a quelli del centrodestra.

Gli altri nomi

Tra i nomi lasciati fuori dalle tre proposte ufficiali del centrodestra si sta facendo notare quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale presidente del Senato ed esponente di Forza Italia. Lo stesso Salvini durante la conferenza stampa di martedì ha affermato (min. 6:50) che il nome di Casellati non compare nella rosa presentata perché «vogliamo tenere le cariche dello Stato fuori dal tavolo», ma che comunque i presidenti dei due rami del Parlamento «hanno in sé la dignità di essere una possibile scelta». Come correttamente precisato dal leader leghista, il presidente della Camera Roberto Fico (M5s) al momento ha 47 e quindi non è eleggibile per il Quirinale, che richiede almeno 50 anni d’età.

Il segretario Pd Enrico Letta ha definito un’eventuale candidatura di Casellati un’opzione «assurda e incomprensibile», che rappresenterebbe «il modo più diretto per far saltare tutto». La proposta è stata criticata anche dal leader del M5s Giuseppe Conte, che parlando con la stampa ha dichiarato (min. 3:15): «Mettere in gioco una carica istituzionale, senza una soluzione condivisa sarebbe un grande errore per il centrodestra e un grande sgarbo istituzionale».

Altro nome su cui si discute ormai da settimane è quello di Pier Ferdinando Casini, parlamentare di lungo corso entrato per la prima volta alla Camera con la Democrazia cristiana nel 1983. Durante la sua carriera è stato protagonista in governi sia di centrodestra che di centrosinistra – alleandosi prima con il Polo delle libertà di Berlusconi, per poi appoggiare l’esecutivo tecnico di Mario Monti e i governi guidati da Enrico Letta e Matteo Renzi – e potrebbe quindi contare su una lunga lista di conoscenze consolidate. Non è chiaro però quante possibilità abbia realmente la sua candidatura, per ora sempre rimasta nella sfera dei retroscena.

Rimane poi il nome di Mario Draghi, la cui salita al Quirinale creerebbe un rompicapo inedito per la politica italiana: se eletto come presidente della Repubblica, infatti, Draghi dovrebbe lasciare immediatamente il ruolo di presidente del Consiglio. Proprio per questo motivo, secondo diversi osservatori, un’intesa sul suo nome per il Colle sarebbe strettamente legata a un accordo per il suo successore a Palazzo Chigi.

Della candidatura di Draghi si discute da ben prima dell’inizio delle votazioni, ma è possibile che negli ultimi giorni stia perdendo forza. Restano a sostenerla principalmente il Partito democratico e Italia Viva, mentre è incerta la posizione del Movimento 5 stelle.

Infine non si può escludere la possibilità di un “Mattarella bis”, la rielezione dell’attuale presidente sulla scia di quanto successo con Giorgio Napolitano. Lo stesso Mattarella, però, ha più volte rifiutato la proposta, anzi. Lunedì 24 gennaio il capo dello Stato è stato immortalato a Palermo, mentre prosegue il trasloco dalla sua casa siciliana alla sua nuova residenza romana. Nonostante questo l’attuale presidente è per ora il candidato più votato, con 16 voti al primo scrutinio, 39 al secondo e 125 al terzo.

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