Da mesi il nome del presidente del Consiglio Mario Draghi è tra quelli più citati come possibile successore del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le prossime elezioni del capo dello Stato si terranno infatti a gennaio, con il mandato di Mattarella che scade il 3 febbraio 2022.

L’elezione al Quirinale di Draghi rischierebbe però di creare un vero e proprio rompicapo istituzionale: nella storia nessun presidente del Consiglio in carica è stato eletto presidente della Repubblica. In questo scenario inedito ci sono alcuni punti certi e altri su cui i costituzionalisti sembrano dividersi.

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Un piede in due scarpe

C’è la possibilità, per cominciare, che lo stesso Draghi rinunci. Se Draghi venisse eletto capo dello Stato, infatti, dovrebbe come prima cosa accettare l’incarico conferitogli dal Parlamento e dai delegati regionali. «Ogni carica è rinunciabile, quindi è possibile che l’attuale presidente del Consiglio rinunci alla nomina», ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre. «In questo caso l’elezione del capo dello Stato andrebbe ripetuta».

Anche se non impossibile, questo scenario è un caso limite: nessuno nella storia della Repubblica italiana ha mai rifiutato la nomina a capo dello Stato. Lo stesso Draghi non ha mai manifestato la sua contrarietà a una sua possibile elezione quando ha parlato pubblicamente del tema (da ultimo, nella conferenza stampa di fine anno del 22 dicembre).

La Costituzione stabilisce (art. 84) però che il ruolo di presidente della Repubblica «è incompatibile con qualsiasi altra carica». Se Draghi accettasse l’incarico di capo dello Stato, si presenterebbe subito un primo problema.

Chi si occupa degli affari correnti

Al fine di diventare presidente della Repubblica, Draghi dovrebbe rassegnare le sue dimissioni da presidente del Consiglio. Ma dopo le dimissioni di un presidente del Consiglio vige la prassi costituzionale – non regolata da norme scritte – secondo cui il capo del governo dimissionario rimane temporaneamente in carica, fino alla nomina del suo successore, per il cosiddetto “disbrigo degli affari correnti”.

Questa espressione, a prima vista un po’ oscura, fa riferimento ai poteri che un governo dimissionario mantiene per garantire la continuità amministrativa del Paese, che non può rimanere senza esecutivo. Per esempio, in caso di necessità e urgenza, durante il “disbrigo degli affari correnti” il Consiglio dei ministri può continuare ad approvare decreti-legge, seppure con un mandato politico decisamente indebolito.

Se Draghi fosse eletto presidente della Repubblica, l’incompatibilità dei ruoli di capo del governo e dello Stato creerebbe un primo cortocircuito proprio nella gestione del “disbrigo degli affari correnti”. «Da presidente della Repubblica eletto, Draghi non può svolgere il compito di presidente del Consiglio dimissionario», ha confermato Celotto a Pagella Politica.

A questo punto sorgono subito due domande, le cui risposte rischiano di intrecciarsi tra loro: chi sostituisce Draghi nel “disbrigo degli affari correnti”, visto che non può svolgere il ruolo di presidente del Consiglio, e chi tra Draghi e Mattarella conduce le eventuali consultazioni per trovare un nuovo presidente del Consiglio. Le risposte a queste due domande hanno entrambe un certo margine di incertezza.

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Entra in campo Brunetta…

Partiamo dalla prima questione, ossia l’eventuale sostituzione temporanea di Draghi a Palazzo Chigi.

La Costituzione non specifica chi deve intervenire nel caso in cui un presidente del Consiglio non è in grado di svolgere il proprio ruolo. Questo scenario è invece regolato dalla legge n. 400 del 23 agosto 1988, in particolare dall’articolo 8, secondo cui «in caso di assenza o impedimento temporaneo» il presidente del Consiglio può essere sostituito dal vicepresidente del Consiglio (o dal vicepresidente più anziano, nel caso ci siano più vicepresidenti) oppure dal ministro più anziano del governo.

Visto che nel governo Draghi non c’è nessun vicepresidente del Consiglio, se Draghi non potesse più svolgere il suo ruolo di capo del governo, sarebbe momentaneamente sostituito dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. L’esponente di Forza Italia, con i suoi 71 anni di età, è infatti il ministro più anziano dell’esecutivo in carica.

Un governo guidato da Brunetta rimarrebbe comunque un governo dimissionario, ma consentirebbe uno scenario più semplice dal punto di vista delle consultazioni. «Libero da ogni incarico, in questo modo Draghi potrebbe giurare da presidente della Repubblica e condurre lui stesso le consultazioni per trovare una nuova maggioranza e un nuovo governo», ha spiegato Celotto a Pagella Politica. «In qualità di presidente della Repubblica eletto, Draghi potrebbe così svolgere in prima persona una delle prerogative principali del suo nuovo ruolo».

La temporanea sostituzione di Draghi con Brunetta non è però così scontata come sembra.

…o forse no

Alcuni costituzionalisti hanno infatti evidenziato possibili problemi nell’applicazione della legge del 1988.

«Se Draghi venisse eletto presidente della Repubblica, la legge in questione dovrebbe essere interpretata in modo estensivo, ossia al di là di quanto esplicitamente previsto dal testo», ha spiegato a Pagella Politica Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia. «La legge del 1988 prevede che venga nominato un presidente supplente solo nei casi di assenza o impedimento temporaneo. Ma se Draghi fosse eletto al Quirinale, si troverebbe in una situazione di impedimento permanente, perché non potrebbe esercitare più le sue funzioni da presidente del Consiglio».

Un semipresidenzialismo mascherato?

Inoltre, se una volta al Quirinale Draghi potesse scegliere il proprio sostituto, si aprirebbe uno scenario non del tutto convincente per alcuni costituzionalisti.

«Nulla vieta a Draghi, da presidente della Repubblica, di poter nominare il suo successore a Palazzo Chigi, ma a mio giudizio sarebbe più opportuno che il successore di Draghi venga nominato da Mattarella, anche per mettere a tacere le voci di chi sostiene che l’Italia stia andando verso una sorta di semipresidenzialismo», ha sottolineato Volpi a Pagella Politica. Con “semipresidenzialismo”, ricordiamo, si fa riferimento a forme parlamentari come quella francese, dove il capo dello Stato ha poteri più ampi rispetto al nostro presidente della Repubblica.

Altri costituzionalisti hanno un parere diverso e ritengono che questa ipotesi non costituisca un problema.

«Dal punto di vista giuridico la nostra repubblica resterebbe parlamentare, anche con Draghi che, una volta eletto, svolge come suo primo compito le consultazioni» ha spiegato Celotto a Pagella Politica. «Nella storia repubblicana siamo sempre stati abituati al fatto che il capo dello Stato sia una sorta di garante. Ma ci sono state figure, come quelle di Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano, che hanno ricoperto un ruolo più attivo e da protagonisti rispetto ad altri».

L’ultimo atto di Mattarella

L’ipotesi di Mattarella che svolge le consultazioni resta dunque in campo, anche se le tempistiche sarebbero piuttosto ristrette.

«L’arco di tempo tra l’elezione e il giuramento del presidente della Repubblica è solitamente un periodo di uno o due giorni, ed è stato concepito per fare in modo che il presidente eletto abbia modo di lasciare i precedenti incarichi», ha spiegato Celotto a Pagella Politica. «Protrarre in avanti il giuramento di Draghi, finché Mattarella non abbia trovato un suo sostituto, rischia di essere una forzatura che non si addice alla nostra democrazia».

Inoltre non va dimenticato il fattore “organizzazione”. «Il giuramento di Draghi da capo dello Stato deve avvenire di fronte al Parlamento in seduta comune, quindi di fronte a deputati, senatori e delegati regionali», ha sottolineato Celotto. «Da un punto di vista logistico sarebbe difficile protrarre il giuramento troppo in avanti nel tempo».

Questo rischio sembra preoccupare di meno altri costituzionalisti. «Non c’è nulla di strano se Mattarella scegliesse di rimanere in carica come presidente della Repubblica fino alla data di scadenza naturale del suo mandato, e rimandasse così il giuramento di Draghi», ha spiegato Volpi a Pagella Politica. «Fino al 3 febbraio Mattarella avrebbe così la possibilità di trovare un nuovo presidente del Consiglio, garantendo quella continuità istituzionale che Draghi stesso ha voluto rimarcare nella conferenza stampa di fine anno con i giornalisti».

Il ruolo di Casellati

Prima di concludere, sottolineiamo che se i partiti non dovessero convergere in tempo verso il nome di Draghi o di un altro candidato, c’è il rischio che le votazioni per il presidente della Repubblica vadano oltre il 3 febbraio 2022, data di scadenza del mandato di Mattarella. Anche qui, non si sa con certezza che cosa potrebbe accadere.

«Nel nostro ordinamento, nessuna norma stabilisce precisamente chi debba sostituire il presidente della Repubblica nel caso in cui scada il suo mandato e non sia stato trovato nel frattempo un successore», ha spiegato Volpi a Pagella Politica.

L’articolo 86 della Costituzione prevede che il presidente della Repubblica sia sostituito dal presidente del Senato – che attualmente è Maria Elisabetta Alberti Casellati (Forza Italia) –«in ogni caso» in cui egli non possa adempiere alle proprie funzioni. Queste disposizioni lasciano aperto un certo margine di interpretazione, con due alternative in campo.

«Da un lato, si potrebbe permettere a Casellati di svolgere i compiti del presidente della Repubblica, dopo la scadenza del mandato di Mattarella, applicando estensivamente l’articolo 86 della Costituzione», ha spiegato Volpi a Pagella Politica. «Oppure si potrebbe prorogare in via straordinaria il mandato di Mattarella fino a che non si trova un nuovo capo dello Stato».

Quest’ultima ipotesi non è però esplicitamente prevista dalla Costituzione. Per attuarla, secondo Volpi, bisognerebbe dare un’interpretazione estensiva all’articolo 85 della Costituzione, in base al quale il mandato del presidente della Repubblica può essere prorogato solo nel caso in cui le camere siano sciolte o manchino tre mesi alla fine della legislatura.

Tiriamo le fila

L’elezione di Draghi a presidente della Repubblica potrebbe generare un vero e proprio rompicapo istituzionale. Innanzitutto, una volta eletto, Draghi non potrebbe ricoprire sia il ruolo di capo dello Stato che quello di governo. Per il “disbrigo degli affari correnti” potrebbe dunque essere temporaneamente sostituito da Brunetta, in quanto ministro più anziano del governo (ipotesi comunque non scontata).

Su chi potrà condurre le consultazioni per trovare un nuovo primo ministro, si aprirebbero due scenari, che sembrano dividere gli esperti. Da un lato Mattarella potrebbe rimanere in carica come presidente della Repubblica fino al 3 febbraio, data della scadenza naturale del suo mandato, per trovare il sostituto di Draghi.

Dall’altro lato Mattarella potrebbe lasciare subito il posto a Draghi come presidente della Repubblica. In questo caso, sarebbe lo stesso Draghi a svolgere le consultazioni per trovare un nuovo governo e una nuova maggioranza parlamentare, dando vita, secondo alcuni, a una forma di semipresidenzialismo di fatto.