Al 20 settembre in tutte le regioni italiane gli studenti e gli insegnanti sono tornati sui banchi di scuola. E già, da fonti stampa, si hanno notizie delle prime classi passate alla didattica a distanza, a causa della diffusione del coronavirus.

Dopo due anni scolastici fortemente condizionati dalla pandemia, che cosa dicono i dati e gli studi scientifici più aggiornati sul rischio di contagio nelle scuole? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza.

Non abbiamo dati precisi sulle scuole italiane…

Nel nostro Paese è di fatto impossibile provare a quantificare con precisione la sicurezza delle scuole e il rischio di contagio tra studenti e insegnanti. I dati a disposizione sono davvero limitati e molto lacunosi. Sino ad oggi, le uniche statistiche su cui si sono potute fare delle valutazioni sono state quelle sui contagi, divisi in base all’età, diffusi settimanalmente dall’Iss.

Come abbiamo spiegato a dicembre dell’anno scorso, il Ministero dell’Istruzione aveva avviato un monitoraggio sui contagi nelle scuole a fine settembre, solo alcune settimane dopo l’inizio della scuola, per poi concluderlo dopo nemmeno un mese, senza comunicare pubblicamente i risultati. Successivamente il monitoraggio non è più ripreso.

A gennaio 2021, durante un’audizione al Comitato tecnico scientifico (Cts), l’epidemiologo matematico Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) – un ente di ricerca di interesse pubblico che collabora con l’Istituto superiore di sanità (Iss) – aveva spiegato che è di fatto impossibile quantificare l’impatto della scuola sull’epidemia e valutare la trasmissibilità del contagio perché non ci sono dati sui contagi avvenuti in classe.

… ma in futuro potremo averne

Con questo anno scolastico le cose però potrebbero cambiare. A inizio settembre è infatti stato diffuso il piano per il monitoraggio della circolazione del coronavirus nelle scuole elementari (6-11 anni) e medie (12-14 anni). Il piano punta a testare ogni 15 giorni 54 mila studenti in una serie di cosiddette “scuole sentinelle”, per valutare la prevalenza del virus nelle scuole. I campioni salivari saranno raccolti delle famiglie (nei primi due mesi anche direttamente a scuola) e poi analizzati con un test molecolare dalle regioni.

Sapere quanti bambini e ragazzi sono positivi e quanti ne sono stati testati dovrebbe permettere di capire qual è la prevalenza del virus nelle scuole e valutare se la diffusione è maggiore che nella popolazione generale.

In attesa di avere questi dati a disposizione, e in assenza di numeri certi al momento, vediamo che cosa dice la letteratura scientifica sul contagio scolastico.

Che cosa dicono gli studi internazionali

A luglio scorso il Centro europeo per il controllo delle malattia (Ecdc) – un ente dell’Unione europea che aiuta gli Stati nella lotta alle malattie infettive – ha pubblicato un report sulle evidenze scientifiche sulle trasmissione in ambito scolastico. L’Ecdc ha evidenziato che la diffusione nelle scuole è limitata quando sono in atto misure di prevenzione e mitigazione del rischio – per esempio distanziamento fisico e aerazione degli spazi – e che il pericolo di un focolaio è maggiore quando a contagiare è un insegnante.

Secondo l’ente europeo, la chiusura delle scuole dovrebbe comunque essere l’ultima misura da prendere quando è in corso un’alta trasmissione virale e non serve se non vengono intraprese anche altre azioni di contrasto dell’epidemia.

Sempre a luglio scorso, in un approfondimento divulgativo, la rivista scientifica Nature aveva fatto il punto sugli studi che cercano di quantificare l’impatto delle scuole sull’epidemia. Secondo Nature, negli istituti scolastici la trasmissione del coronavirus, tra studenti e tra insegnanti, non sembra essere più elevata che nella popolazione generale.

Negli Stati Uniti, uno studio del 2020 su 90 mila studenti e insegnanti nel North Carolina ha per esempio evidenziato che la trasmissione del virus all’interno delle scuole fosse molto bassa. Discorso analogo vale per due ricerche condotte in Nebraska e Wisconsin. In Utah, per valutare il contagio scolastico, sono state testate 700 persone che erano entrate a contatto con 51 studenti risultati positivi e solo 12 di queste sono risultate a loro volta infetti. Utilizzando poi il sequenziamento genetico e il tracciamento dei contatti, i ricercatori hanno scoperto che solo cinque positivi dei 12 si erano contagiati a scuola. Una ricerca simile nella città di New York suggerisce che gli studenti diffondono in maniera molto limitata il virus a scuola.

In generale gli studi sul contagio scolastico hanno però un problema: i bambini e i ragazzi sono spesso asintomatici o hanno pochi sintomi, motivo per il quale è meno probabile che vengano testati e quindi diagnosticati come infatti. Ma se i contagi reali fossero più alti di quelli evidenziati dagli studi in questione, le scuole avrebbero comunque numeri piuttosto contenuti. Come abbiamo spiegato in passato, il rischio di contagio sembra essere più alto nelle attività legate alla ripresa dell’anno scolastico, con il rischio di assembramenti, per esempio, legati al trasporto pubblico o nei pressi degli edifici scolastici.

Dentro alle scuole alcune misure possono poi aiutare a ridurre ancora di più il rischio di focolai, vista anche la diffusione della variante delta, più contagiosa delle altre.

Quali sono le misure più efficaci per contenere il contagio

Una ricerca francese, sulla base di dati della primavera 2021, ha evidenziato che sottoporre regolarmente a test una buona parte di studenti e insegnanti è la misura più efficace per tenere il maggior numero di classi in presenza. In questo modo si possono trovare rapidamente gli infetti, isolarli ed evitare la trasmissione. I test perdono di utilità solo quando si arriva almeno al 55 per cento di studenti vaccinati, nel caso di un’epidemia in moderata crescita (con indice Rt pari a 1,3), e al 75 per cento, quando l’epidemia è in forte crescita (indice Rt pari a 2).

La sola vaccinazione degli insegnanti non sembra essere invece una misura sufficiente per ridurre la probabilità e la dimensione dei focolai scolastici. Più in generale le misure di mitigazione sono quelle di cui si parla ormai da oltre un anno.

Nelle scuole l’Ecdc raccomanda di garantire il distanziamento fisico, di migliorare la ventilazione, di isolare i positivi e di incoraggiare il lavaggio delle mani. Il distanziamento fisico deve puntare a ridurre il numero di individui in luoghi chiusi e con pochi spazi garantendo comunque la possibilità di seguire le lezioni.

L’aerazione degli edifici scolastici è uno dei migliori modi per ridurre la diffusione del virus, considerando che la trasmissione aerosol – ossia attraverso gocce di saliva molto piccole, che rimangono sospese nell’aria – è una delle modalità principali con cui si diffonde il coronavirus. Un recente studio ha per esempio stimato che le finestre aperte nelle aule possono ridurre fino a 14 volte la trasmissione del virus. L’apertura delle finestre in inverno ha addirittura un impatto doppio rispetto all’apertura durante l’estate.

Sull’utilizzo delle mascherine a scuola c’è invece maggiore dibattito tra gli scienziati. L’Ecdc ne raccomanda l’uso solo nelle scuole secondarie, dal momento che in quelle primarie i bambini più piccoli hanno una tolleranza minore verso questo strumento. In generale, secondo gli studi scientifici, le mascherine dovrebbero essere una misura complementare alle altre e non una a sé stante.

In conclusione

Le evidenze scientifiche mostrano che la scuola è un luogo mediamente sicuro – o almeno non più pericoloso di altri – e che le probabilità di contagiarsi sembrano essere minori rispetto a quando si è fuori da scuola. Diverse ricerche sono state fatte prima della diffusione della variante delta, più contagiosa delle altre, un elemento dunque da tenere in considerazione.

Per mitigare la diffusione del virus è importante garantire il distanziamento fisico e testare frequentemente studenti e personale. In questo modo si può rapidamente isolare chi si infetta e prevenire la trasmissione scolastica.

La chiusura delle scuole comporta alti costi socio-economici e dovrebbe essere l’ultima misura che si intraprende quando la circolazione virale è molto alta. Non è una decisione sufficiente a limitare la diffusione del contagio, se non vengono intraprese altre azioni di contenimento.

In Italia le scuole sono rimaste chiuse per diverso tempo negli ultimi 18 mesi, ma ad oggi non ci sono ancora dei dati che permettano di valutare chiaramente quale ruolo abbia avuto nella diffusione del virus. Quest’anno potrebbe però andare diversamente grazie al piano di monitoraggio della prevalenza predisposto dal governo.