Così favorevoli e contrari strumentalizzano i dati sul reddito di cittadinanza

Pagella Politica
Negli ultimi giorni, come si è visto anche al Forum Ambrosetti di Cernobbio del 3-5 settembre, si sta intensificando sempre di più il dibattito politico intorno al reddito di cittadinanza: tra chi ne chiede l’abolizione, come fanno ad esempio Lega, Italia viva e Fratelli d’Italia, e chi ne difende i risultati ottenuti in due anni e mezzo di vita, in particolare il Movimento 5 stelle.

Da mesi le due opposte fazioni argomentano a favore o contro il reddito di cittadinanza, citando dati e numeri che ne dimostrerebbero il successo o il fallimento. Ma che cosa c’è di vero nelle statistiche che si leggono in giro?

In breve: sia gli strenui difensori del reddito di cittadinanza che i suoi più accesi oppositori strumentalizzano i dati, dagli effetti sulla povertà a quelli sul mondo del lavoro.

Cerchiamo dunque di capire come interpretare correttamente le statistiche, senza cadere vittime di eccessive semplificazioni o strumentalizzazioni.

Qual è stato l’effetto sulla povertà

Partiamo dai dati sul fenomeno della povertà. In diverse occasioni diversi esponenti del Movimento 5 stelle hanno sottolineato che il numero di persone in povertà sarebbe sceso grazie al reddito di cittadinanza, mentre i loro avversari sostengono l’esatto contrario. Sul sito ufficiale di Italia viva si legge per esempio che il reddito di cittadinanza «non funziona» e «lo dimostra l’aumento della povertà». Chi ha ragione?

Per rispondere a questa domanda, la prima tentazione è quella di andare a vedere come sono cambiati con il reddito di cittadinanza i dati Istat sulla povertà assoluta, ossia sulle persone che ogni mese vivono sotto una determinata soglia di consumi considerata necessaria per una vita accettabile.

Secondo le statistiche Istat più aggiornate, nel 2020 i poveri assoluti in Italia erano oltre 5,6 milioni, in forte crescita rispetto ai 4,6 milioni dell’anno precedente. Dunque un aumento della povertà con il reddito di cittadinanza ci sarebbe effettivamente stato. È vero però che il 2020 è stato un anno sconvolto dalla crisi economica, tant’è che la stessa Istat sottolinea come le misure messe in campo a sostegno dei cittadini – tra cui il reddito di cittadinanza – hanno contribuito a limitare i danni. Nel 2020, tra le altre cose, è calata l’intensità della povertà assoluta, che misura “quanto sono poveri i poveri”, o meglio: di quanto in percentuale la spesa media delle famiglie definite povere si trova al di sotto della soglia di povertà. Nel 2019 l’intensità della povertà assoluta era al 20,3 per cento e nel 2020 è scesa al 18,7 per cento.

Inoltre nel 2019 – primo anno in cui era entrata in vigore la misura approvata dal governo Lega-M5s – le persone che in Italia vivevano in povertà assoluta erano calate dopo quattro anni di crescita, attestandosi, come abbiamo anticipato, a circa 4,6 milioni. In quel caso l’Istat si era limitata a sottolineare come la diminuzione si fosse verificata «in concomitanza» con l’introduzione del reddito di cittadinanza, senza sbilanciarsi su rapporti di causa-effetto.

Bastano questi due numeri – calo del numero dei poveri nel 2019 e calo dell’intensità della povertà nel 2020 – per dimostrare che il reddito di cittadinanza è stato un successo? La risposta è no: per quantificare relazioni di causa-effetto di una politica pubblica – come il reddito di cittadinanza appunto – servono studi scientifici più articolati. Per intenderci, non basta guardare all’andamento nel tempo di una singola variabile, come può essere il numero di poveri o dell’intensità della povertà. Servono prove più solide.

Ad oggi esiste qualche stima dell’impatto del reddito di cittadinanza sulla vita dei poveri, sebbene gli esperti di povertà con cui Pagella Politica ha parlato da quando esiste la misura hanno sottolineato più volte la scarsa trasparenza dei dati messi a disposizione di chi fa ricerca.

Secondo uno studio della Banca d’Italia di settembre 2020, il reddito di cittadinanza è stato in grado di ridurre il numero delle persone in povertà e l’intensità della povertà (l’indicatore che abbiamo visto sopra), elemento sottolineato (pag. 29) anche dall’ultimo Rapporto Caritas, uscito a luglio 2021 e dedicato proprio al reddito di cittadinanza. Entrambe queste ricerche sostengono però che la misura vada modificata, per raggiungere in maniera più efficiente un maggior numero di persone in povertà.

E qui subentra un secondo limite del citare i dati Istat a favore o contro il reddito di cittadinanza. Come abbiamo già spiegato in passato, l’insieme dei poveri assoluti e quello dei potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza non sono del tutto sovrapponibili. Per come è stato regolamentato il reddito di cittadinanza, ci sono dei poveri assoluti che non possono beneficiare del sussidio (si pensi agli stranieri con meno di 10 anni di residenza in Italia) e ci sono persone che possono beneficiare del sussidio senza essere povere in senso assoluto, ma che rispettano per esempio i requisiti economici per accedere alla misura. Dunque l’andamento del numero dei poveri assoluti non può essere direttamente collegato con quello dei beneficiari del reddito di cittadinanza.

Proprio l’esistenza della categoria dei non poveri beneficiari del sussidio ha poi generato il dibattito sui cosiddetti “furbetti” del reddito di cittadinanza, alimentato, anche in questo caso, da una lettura parziale di alcuni dati, sia da parte dei favorevoli che dei contrari.

Come leggere i dati sui «furbetti»

A giugno scorso la Guardia di finanza ha pubblicato il bilancio della sua attività operativa relativa al 2020. Qui si legge che circa 5.900 percettori del reddito di cittadinanza sono stati denunciati per aver percepito indebitamente «50 milioni di euro» di sussidi, e che tra loro c’erano «soggetti intestatari di ville e autovetture di lusso, evasori totali, persone dedite a traffici illeciti e facenti parte di associazioni criminali di stampo mafioso, già condannate in via definitiva».

Diversi politici di destra, soprattutto di Fratelli d’Italia, hanno usato questi numeri per sostenere che il reddito di cittadinanza sia una «vera e propria truffa ai danni della Nazione». Al di là del giudizio politico, è necessario evidenziare – come abbiamo fatto in passato – che i «50 milioni» indebitamente percepiti equivalgono allo 0,7 per cento del limite di spesa di oltre 7 miliardi di euro fissato per finanziare il reddito di cittadinanza nel 2020. E che i circa 5.900 soggetti denunciati equivalgono poi allo 0,3 per cento delle circa 1,6 milioni di domande accolte per il sussidio al termine del 2020. Si tratta insomma di percentuali inferiori all’1 per cento.

Questo non significa sminuire il fenomeno, di cui abbiamo fatto cenno poco sopra, per il quale esistono persone non povere in senso assoluto che percepiscono il reddito di cittadinanza. Ma è sbagliato considerare queste ultime necessariamente come evasori totali o truffatori con auto e case di lusso.

Nel Rapporto Caritas sul reddito di cittadinanza uscito a luglio scorso, i due economisti Massimo Baldini, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Giovanni Gallo, dell’Università “La Sapienza” di Roma, hanno stimato (pag. 27) che il 36 per cento delle famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza – sussidio che raggiunge poco meno di una famiglia povera su due – è composto da “falsi positivi”. Questi sono i beneficiari non poveri, nel senso assoluto visto prima, che però prendono il reddito di cittadinanza perché i criteri di accesso alla misura glielo permettono oppure perché commettono una qualche irregolarità, per esempio evadendo il fisco. Come spiegano i due autori, dai dati in loro possesso non è possibile quantificare il contributo singolo di questi due aspetti separati, ma il loro contributo nel complesso.

L’economista Fernando Di Nicola, ex dirigente dell’Inps, ha invece calcolato che circa il 30 per cento dei beneficiari del reddito di cittadinanza percepisce il sussidio «grazie all’evasione di autonomi, al sommerso totale o parziale di dipendenti e a registrazioni anagrafiche non veritiere», pur non essendo povero in un senso relativo del termine. In questo caso, con “povero” si intende chi ha un reddito equivalente – che, semplificando, tiene conto delle dimensioni e della composizione delle famiglie – inferiore alla metà di quello mediano.

Italia viva e il suo deputato Luigi Marattin hanno usato questa percentuale del «30 per cento» per sostenere che il reddito di cittadinanza non funziona, ma come ha spiegato Di Nicola a Pagella Politica questo è un uso «strumentale» della statistica contro il provvedimento di contrasto alla povertà. Il fenomeno denunciato non è infatti tipico del reddito di cittadinanza, ma riguarda in generale i sussidi e i benefici che eroga lo Stato italiano. Dunque non può essere eliminato dall’impianto normativo del reddito di cittadinanza in quanto è una caratteristica generale dell’Italia nel complesso.

Ricapitolando: è vero che una parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza non è povero in un senso assoluto o relativo del termine, ma non necessariamente questa è composta da evasori totali o truffatori. Da un lato alcuni non poveri accedono al sussidio perché i requisiti glielo permettono, da un lato altri non poveri vi accedono, per esempio, grazie a fenomeni di evasione parziale o registrazioni anagrafiche non veritiere, che però non possono risolversi modificando la struttura del reddito di cittadinanza.

Quanti hanno trovato lavoro

Veniamo infine ai dati sulle politiche attive per il lavoro, il secondo pilastro su cui poggia il reddito di cittadinanza. Periodicamente, negli scorsi mesi i difensori del reddito di cittadinanza – soprattutto quelli del Movimento 5 stelle – hanno propagandato dati fuorvianti, dicendo di aver raggiunto «risultati storici» grazie alla misura. Viceversa, i critici hanno denunciato numeri molto più bassi. «Solo il 3,8 per cento dei beneficiari ha trovato un lavoro, peraltro raramente a tempo indeterminato», si legge per esempio sul sito di Italia viva. Dove sta la verità?

Come abbiamo anticipato prima, anche in questo caso non è semplice quantificare con precisione come e quanto la misura abbia aiutato i beneficiari a trovare una nuova occupazione, ma le statistiche a disposizione non sembrano particolarmente soddisfacenti. Anche l’Associazione nazionale navigator (Anna) – che rappresenta i tutor che seguono i beneficiari nella ricerca di lavoro – ha denunciato «un’evidente inefficienza in termini di rilevazione statistica» sul loro operato.

Secondo i dati più aggiornati di Anpal – l’agenzia che gestisce le politiche attive per il lavoro del reddito di cittadinanza – al 30 giugno 2021 erano oltre un milione e 150 mila i beneficiari del sussidio tenuti a sottoscrivere il Patto per il lavoro, per dare la propria disponibilità a cercare occupazione, pena la perdita dell’assegno mensile. Meno di 400 mila però, in quella data, erano stati presi in carico dai centri per l’impiego.

Secondo le rilevazioni della Corte dei conti, aggiornate a febbraio scorso, poco più di 152 mila beneficiari avevano effettivamente trovato un impiego: il 14,5 per cento del totale di chi può sottoscrivere il Patto per il lavoro, pari a circa una persona su sette. Di queste 150 mila persone circa, il 65 per cento è stato assunto con un contratto a tempo determinate e il 13 per cento a tempo indeterminato. Ma come abbiamo spiegato in varie analisi, non è possibile dire quanti abbiano trovato impiego grazie al contatto con i navigator e quanti in via autonoma.

Sempre legato al mondo del lavoro, ci sono infine le accuse secondo cui il reddito di cittadinanza sia un disincentivo al lavoro. «Non è un caso che oggi molti commercianti, ristoratori, albergatori fatichino a trovare personale: col sussidio si prende quasi la stessa cifra e non si fa fatica», ha per esempio scritto Matteo Renzi nel suo ultimo libro Controcorrente, uscito il 13 luglio. Che dati abbiamo a disposizione su questo fronte?

Secondo i numeri Inps più aggiornati, un nucleo familiare beneficiario del reddito di cittadinanza riceve un importo mensile di circa 548 euro. Non esistono dati ufficiali sui salari mensili medi dei lavoratori stagionali in Italia, che variano molto da mansione a mansione. Ma come hanno scritto diverse fonti stampa nelle ultime settimane – che citano associazioni di settore – le paghe medie mensili in regola si aggirano almeno tra i 1.100 euro e i 1.400 euro lordi.

È dunque improbabile, salvo qualche caso isolato, che il beneficio ricevuto dal reddito di cittadinanza sia paragonabile a quello di uno stipendio regolarmente retribuito per un lavoro stagionale. Ad oggi comunque non esistono studi scientifici che mostrino un effetto negativo del reddito di cittadinanza sulla ricerca del lavoro.

Come hanno sottolineato diversi esperti, le cause della difficoltà di alcuni commercianti e ristoratori nel trovare lavoratori stagionali in questo periodo sono più da ricercare nei limiti del mercato del lavoro italiano (per esempio nell’incrociare la domanda e l’offerta di lavoro) e negli effetti della pandemia, che può aver spostato forza lavoro dal settore della ristorazione ad altri meno influenzati dalle misure di contenimento contro la Covid-19.

Non mancano comunque le proposte di modifica per migliorare il reddito di cittadinanza ed evitare che abbia un potenziale effetto scoraggiante sull’occupazione. Tra queste, c’è la proposta del cosiddetto “in-work benefit”. In breve: dare la possibilità al percettore del reddito di cittadinanza che ha trovato un lavoro stagionale di non perdere il sussidio, ma di conservarne una parte per la durata del suo nuovo contratto.

In conclusione

Ormai da mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, il reddito di cittadinanza è tornato al centro del dibattito politico italiano, con chi ne chiede l’abolizione e chi lo difende a spada tratta. Sia i favorevoli che i contrari al provvedimento, però, spesso strumentalizzano i dati a loro disposizione, per alimentare le narrazioni a loro favore.

Prendiamo gli effetti sulla povertà. I dati Istat sono molto parziali per capire quale sia stato l’effetto del reddito di cittadinanza su questo fronte. Alcuni studi dicono che il sussidio ha aiutato a ridurre il fenomeno della povertà, ma con diversi limiti che suggeriscono la necessità di introdurre modifiche.

Va poi sottolineato che una parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza non è povero in un senso assoluto o relativo del termine. Non necessariamente si tratta di evasori totali o truffatori: diversi non poveri percepiscono il reddito perché rispettano i requisiti economici stabiliti dalla legge, altri invece lo percepiscono grazie a evasioni parziali o registrazioni anagrafiche non veritiere.

Infine ci sono i dati sul mondo del lavoro. Non è corretto dire che meno di quattro beneficiari del reddito di cittadinanza su 100 hanno trovato lavoro. Il dato corretto è di circa uno su sette, guardando a chi effettivamente ha dovuto sottoscrivere il Patto per il lavoro. In generale, sul fronte delle politiche attive per il lavoro c’è una scarsa trasparenza delle statistiche a disposizione, che non ha permesso fino ad oggi la realizzazione di studi più approfonditi sul tema.

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