Aggiornamento lunedì 28 luglio, ore 11:00 – Per la seconda volta in otto mesi Alberto Trentini ha potuto telefonare alla sua famiglia dal carcere venezuelano in cui è detenuto. La telefonata è stata annunciata dal Ministero degli Esteri italiano e confermata con una nota dalla famiglia di Trentini. «Pur nella costante angoscia siamo sollevati per aver potuto sentire, per pochi minuti, la voce di Alberto ed esprimiamo gratitudine nei confronti delle istituzioni che in Italia e in Venezuela si stanno adoperando per la liberazione di Alberto, da oltre otto mesi detenuto a Caracas. Speriamo di poterlo riabbracciare presto a casa», hanno detto i familiari.
«Oggi sono otto mesi esatti che mio figlio Alberto è in prigione, ma tutto tace e tace anche la nostra presidente del Consiglio». Lo ha detto il 15 luglio Armanda Colusso, la mamma del cooperante italiano Alberto Trentini, detenuto in Venezuela dallo scorso novembre. Parlando fuori dal Tribunale di Roma, dove era in programma un’udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, Colusso ha chiesto alle istituzioni di dimostrare di «avere a cuore la vita di un connazionale» e di adoperarsi «con urgenza ed efficacia per riportare a casa nostro figlio».
Il sit-in di protesta, che ha visto la partecipazione di Paola Regeni, madre del ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016, è solo l’ultimo dei tentativi della famiglia di Trentini di aumentare l’attenzione del dibattito pubblico sulla vicenda del cooperante italiano, che ormai otto mesi fa è stato arrestato in Venezuela e da allora è detenuto senza processo.
Trentini ha 46 anni di età, è originario di Venezia, e si trovava nel Paese sudamericano per una missione umanitaria con l’organizzazione non governativa (ONG) Humanity & Inclusion, impegnata nell’assistenza alle persone con disabilità. Arrivato a Caracas il 17 ottobre 2024, il 15 novembre stava viaggiando verso la regione di Guasdualito, nel Sud-ovest del Venezuela, per portare aiuti alle comunità locali, quando è stato fermato a un posto di blocco assieme a un autista dell’organizzazione e tratto in arresto.
Da allora è rinchiuso nel carcere di “El Rodeo I”, nell’omonima zona dello Stato di Miranda, a una trentina di chilometri a Est della capitale Caracas, accusato dalle autorità venezuelane – in via del tutto informale – di reati molto gravi come terrorismo e cospirazione ai danni dello Stato. In realtà, finora non è stato formulato alcun capo d’imputazione ufficiale nei suoi confronti, e i motivi del suo arresto restano incerti.
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«Oggi sono otto mesi esatti che mio figlio Alberto è in prigione, ma tutto tace e tace anche la nostra presidente del Consiglio». Lo ha detto il 15 luglio Armanda Colusso, la mamma del cooperante italiano Alberto Trentini, detenuto in Venezuela dallo scorso novembre. Parlando fuori dal Tribunale di Roma, dove era in programma un’udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, Colusso ha chiesto alle istituzioni di dimostrare di «avere a cuore la vita di un connazionale» e di adoperarsi «con urgenza ed efficacia per riportare a casa nostro figlio».
Il sit-in di protesta, che ha visto la partecipazione di Paola Regeni, madre del ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016, è solo l’ultimo dei tentativi della famiglia di Trentini di aumentare l’attenzione del dibattito pubblico sulla vicenda del cooperante italiano, che ormai otto mesi fa è stato arrestato in Venezuela e da allora è detenuto senza processo.
Trentini ha 46 anni di età, è originario di Venezia, e si trovava nel Paese sudamericano per una missione umanitaria con l’organizzazione non governativa (ONG) Humanity & Inclusion, impegnata nell’assistenza alle persone con disabilità. Arrivato a Caracas il 17 ottobre 2024, il 15 novembre stava viaggiando verso la regione di Guasdualito, nel Sud-ovest del Venezuela, per portare aiuti alle comunità locali, quando è stato fermato a un posto di blocco assieme a un autista dell’organizzazione e tratto in arresto.
Da allora è rinchiuso nel carcere di “El Rodeo I”, nell’omonima zona dello Stato di Miranda, a una trentina di chilometri a Est della capitale Caracas, accusato dalle autorità venezuelane – in via del tutto informale – di reati molto gravi come terrorismo e cospirazione ai danni dello Stato. In realtà, finora non è stato formulato alcun capo d’imputazione ufficiale nei suoi confronti, e i motivi del suo arresto restano incerti.