Tutte le tappe del caso Trentini, l’italiano detenuto in Venezuela da otto mesi

Le informazioni ufficiali scarseggiano e la madre del cooperante ha criticato il governo, accusandolo di «tacere» sulla liberazione del figlio
Ansa
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«Oggi sono otto mesi esatti che mio figlio Alberto è in prigione, ma tutto tace e tace anche la nostra presidente del Consiglio». Lo ha detto il 15 luglio Armanda Colusso, la mamma del cooperante italiano Alberto Trentini, detenuto in Venezuela dallo scorso novembre. Parlando fuori dal Tribunale di Roma, dove era in programma un’udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, Colusso ha chiesto alle istituzioni di dimostrare di «avere a cuore la vita di un connazionale» e di adoperarsi per «con urgenza ed efficacia per riportare a casa nostro figlio».

Il sit-in di protesta, che ha visto la partecipazione di Paola Regeni, madre del ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016, è solo l’ultimo dei tentativi della famiglia di Trentini di aumentare l’attenzione del dibattito pubblico sulla vicenda del cooperante italiano, che ormai otto mesi fa è stato arrestato in Venezuela e da allora è detenuto senza processo. 

Trentini ha 46 anni di età, è originario di Venezia, e si trovava nel Paese sudamericano per una missione umanitaria con l’organizzazione non governativa (ONG) Humanity & Inclusion, impegnata nell’assistenza alle persone con disabilità. Arrivato a Caracas il 17 ottobre 2024, il 15 novembre stava viaggiando verso la regione di Guasdualito, nel Sud-ovest del Venezuela, per portare aiuti alle comunità locali, quando è stato fermato a un posto di blocco assieme a un autista dell’organizzazione e tratto in arresto. 

Da allora è rinchiuso nel carcere di “El Rodeo I”, nell’omonima zona dello Stato di Miranda, a una trentina di chilometri a Est della capitale Caracas, accusato dalle autorità venezuelane – in via del tutto informale – di reati molto gravi come terrorismo e cospirazione ai danni dello Stato. In realtà, finora non è stato formulato alcun capo d’imputazione ufficiale nei suoi confronti, e i motivi del suo arresto restano incerti.

Il silenzio diplomatico dopo l’arresto

Per le prime settimane dopo la scomparsa di Trentini, le informazioni sono state poche. La sua famiglia, allertata dal fatto che il figlio non rispondesse al telefono, ha saputo che era stato fermato dai servizi di sicurezza venezuelani. Trentini soffre di alcuni problemi di salute e al momento dell’arresto non aveva con sé le medicine di cui ha bisogno, come ha raccontato la madre ai media italiani. Nonostante i rischi per la sua salute, per oltre due mesi le autorità venezuelane non hanno fornito notizie né permesso alcun contatto con il detenuto.

Sin dalla notizia del suo arresto, il Ministero degli Esteri e l’ambasciata italiana a Caracas hanno attivato i canali diplomatici per ottenere informazioni su Trentini e lavorare a una soluzione. In questa fase iniziale, il governo italiano ha mantenuto un profilo estremamente cauto, complice la contemporanea situazione delicata della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran tra dicembre e gennaio. Il 17 gennaio, infatti, la Presidenza del Consiglio ha diffuso una nota per dire che si stavano «attivando tutti i canali possibili per una soluzione positiva e rapida», chiedendo inoltre il massimo riserbo da parte dei media per favorire l’esito delle trattative. 

Due giorni prima, il 15 gennaio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva fatto sapere di aver convocato «l’incaricato d’affari del Venezuela in Italia» per protestare contro la mancanza di informazioni sulla detenzione di Trentini e per contestare l’espulsione di tre diplomatici italiani dal Venezuela decisa dal regime del presidente venezuelano Nicolás Maduro. 

Un mese più tardi, il 20 febbraio, Tajani è tornato a parlare in pubblico della detenzione di Trentini, ribadendo che quella per il rilascio del cooperante italiano «non è una trattativa semplice», ma che il governo «non si è mai dimenticato né di questo cittadino italiano né di nessun altro cittadino». 

A complicare lo scenario politico ci sono i rapporti tra Italia e Venezuela, che sono peggiorati negli ultimi anni. Già nel 2019, dopo la rielezione di Maduro, l’allora vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio aveva dichiarato che l’Italia «non riconosce Nicolás Maduro e la legittimità delle elezioni che si sono svolte in Venezuela» e aveva chiesto nuove elezioni libere. 

Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo le contestate elezioni venezuelane del 2024, ha confermato la posizione critica dell’Italia e dell’Unione europea nei confronti del regime venezuelano. Queste tensioni diplomatiche contribuiscono a spiegare le difficoltà nel dialogo tra il governo italiano e quello di Maduro.

Sei mesi senza contatti

Per molti mesi Trentini è rimasto isolato: nessun contatto con la famiglia, nessuna comunicazione ufficiale sul suo stato di salute, e neppure la possibilità di ricevere una visita consolare. Le autorità venezuelane non hanno concesso né al console né ad altri rappresentanti del governo italiano di incontrare Trentini in prigione. 

«È scomparso mentre si recava a Guasdualito, nello Stato frontaliero di Apure che si sa è occupato dalla guerriglia» ha confermato a Il Messaggero Mariela Magallanes, esponente dell’opposizione venezuelana che vive rifugiata in Italia dal 2019. «È stato preso dalla DGCIM, la Direzione generale del controspionaggio militare, utilizzato dal regime per far scomparire le persone. È una desaparicion forzada (sparizione forzata), un modus operandi che si segue con tutti i prigionieri politici». 

Anche organizzazioni internazionali come Amnesty International da tempo sottolineano nelle loro indagini come le sparizioni forzate contro dissidenti o presunti tali siano aumentate in Venezuela.

Dopo 181 giorni di silenzio, la sera del 16 maggio 2025 Trentini ha potuto telefonare ai familiari per la prima volta. La chiamata, durata pochi minuti, è avvenuta dal carcere di “El Rodeo I”: Trentini ha rassicurato i genitori dicendo di stare bene e di essere in buone condizioni, spiegando di assumere regolarmente le medicine prescritte. 

Questa telefonata – ottenuta dopo lunghe pressioni diplomatiche – è stata accolta con sollievo dai familiari del cooperante, ma anche dal governo italiano. Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha definito il contatto telefonico «un passo in avanti frutto di un lungo lavoro di mediazione diplomatica», esprimendo sollievo a nome delle istituzioni. Nella stessa nota, Cirielli ha anche «ringraziato nuovamente Nicolás Maduro per l’interessamento» e auspicato di «giungere a una rapida scarcerazione del connazionale». 

Il segnale, dunque, lasciava sperare in una svolta imminente e in una distensione dei rapporti tra Italia e Venezuela, ma dopo la telefonata di maggio Trentini ha continuato a rimanere in carcere e la sua detenzione preventiva si è ulteriormente prolungata, senza che venissero formalizzate accuse precise nei suoi confronti.

Le condizioni di detenzione

Sulle esatte condizioni della detenzione di Alberto Trentini vige il riserbo assoluto da parte delle autorità venezuelane. Tuttavia, alcune informazioni sono filtrate grazie a chi ha condiviso la sua stessa prigionia. 

Il 9 luglio, Avvenire ha pubblicato un’intervista con un cittadino svizzero, fino a poco tempo prima detenuto nel carcere di “El Rodeo I” assieme a Trentini, che ha raccontato diversi particolari sulla situazione nel carcere venezuelano. L’ex detenuto, liberato grazie a una delicata trattativa tra Svizzera e Venezuela, ha detto di essere stato spesso «legato a una sedia, con la testa coperta da un cappuccio», nel tentativo di estorcergli delle confessioni false. Al netto delle difficoltà, però, l’uomo ha riferito che Trentini «sta bene» e che i suoi genitori «non devono perdere la speranza», nonostante essere detenuti in quel carcere «è un trauma».

Va ricordato che il Venezuela di Maduro è più volte stato criticato dalle organizzazioni internazionali per le condizioni delle sue carceri e il trattamento dei detenuti politici. Il carcere “El Rodeo I”, dove Trentini è rinchiuso, non fa eccezione: come molte prigioni venezuelane, soffre di sovraffollamento, carenze igienico-sanitarie e presenza di gruppi carcerari violenti. Nel 2011, in questo penitenziario è scoppiata una guerra tra bande rivali che ha fatto decine di morti.

I tentativi per liberarlo

Di fronte a questa situazione, il governo italiano ha continuato a muoversi su più fronti per ottenere la liberazione di Trentini, mantenendo però un approccio prudente. Oltre alla già citata convocazione dell’incaricato per gli affari venezuelani in Italia e al lavoro dell’unità di crisi del Ministero degli Esteri, ci sono stati contatti diretti tra le autorità italiane e i familiari del cooperante. Ad aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato alla madre di Trentini per rassicurarla sul lavoro delle istituzioni al caso di suo figlio e dirle che non avrebbero smesso finché Trentini non fosse stato liberato.

A maggio si è registrato poi un segnale distensivo da parte del Venezuela: il governo venezuelano ha acconsentito a liberare Alfredo Schiavo, un imprenditore italo-venezuelano di 67 anni detenuto a Caracas dal 2020, che soffre di gravi problemi di salute. Schiavo è stato rimesso in libertà per motivi umanitari ed è potuto rientrare in Italia grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, uno dei principali movimenti italiani di cattolici laici, attivo in molte delicate trattative internazionali. 

La scarcerazione di Schiavo dopo oltre cinque anni di prigione ha alimentato la speranza che per Trentini si possa prospettare una soluzione analoga. Gli osservatori ritengono infatti probabile che il regime, anziché imbastire un processo dall’esito incerto e potenzialmente costoso in termini diplomatici, possa optare per l’espulsione di Trentini dal Paese. In altre parole, Trentini verrebbe rilasciato e immediatamente espulso dal Venezuela, permettendogli così di rientrare in Italia senza che vi sia un processo.

Nel frattempo, in questi mesi altri segnali positivi sono arrivati dagli Stati Uniti: nell’ambito di un dialogo riavviato con il Venezuela, diversi cittadini americani detenuti nel Paese sudamericano e accusati di reati politici sono stati rilasciati. Per esempio, a maggio un veterano dell’aeronautica statunitense, Joseph St. Clair, arrestato a Caracas due settimane prima di Trentini, è stato liberato e rimpatriato negli Stati Uniti. Queste mosse suggerirebbero quindi la volontà di Maduro di migliorare le relazioni con i Paesi occidentali, magari in vista di possibili alleggerimenti delle sanzioni internazionali che hanno colpito il Venezuela in questi anni. 

Gli appelli pubblici

Con il passare dei mesi, mentre le trattative proseguono in maniera riservata, la famiglia di Trentini insieme a diversi esponenti della società civile italiana hanno deciso di rompere il silenzio e portare nuovamente l’attenzione sul caso. Già a gennaio è partita una raccolta firme online per chiedere la liberazione del cooperante, mentre a marzo è iniziato un simbolico “digiuno a staffetta” a cui hanno aderito amici e colleghi di Trentini per mantenere alta l’attenzione sulla vicenda. L’11 giugno, la madre Armanda Colusso ha partecipato a una conferenza stampa presso l’Ordine dei Giornalisti, lanciando un appello ai media: «Vi prego, non stancatevi di parlare di Alberto».

A otto mesi esatti dall’arresto, il 15 luglio c’è stato l’ultimo appello in ordine di tempo per la liberazione di Trentini, a cui oltre ai familiari del cooperante hanno partecipato anche don Luigi Ciotti dell’associazione Libera e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. A differenza degli appelli precedenti, però, Colusso ha criticato esplicitamente l’«insostenibile silenzio» del governo Meloni sulla vicenda di suo figlio. «Il nostro governo deve attivarsi, come ha fatto quello svizzero con il compagno di prigionia di mio figlio, che è stato liberato da poco ed ha raccontato alla stampa le terribili condizioni di detenzione in cui si trova ancora Alberto», ha aggiunto la donna, che ha concluso dicendo che «otto mesi sono troppi e dobbiamo ribellarci». 
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