La strada verso la separazione della carriere dei magistrati è ancora lunga

La riforma, approvata ieri al Senato, dovrà essere esaminata un’alta volta da entrambi i rami del Parlamento e potrebbe essere sottoposta a referendum. In caso positivo, serviranno altre leggi per attuarla
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio in aula al Senato il 22 luglio – Fonte: ANSA
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio in aula al Senato il 22 luglio – Fonte: ANSA
Il 22 luglio il Senato ha approvato con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astenuti la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati, già approvata dalla Camera a gennaio. Il testo ha ottenuto i voti favorevoli del centrodestra e di Azione. Il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno votato contro, mentre Italia Viva si è astenuta.

Dopo il via libera alla riforma, i senatori del PD e del Movimento 5 Stelle hanno protestato in aula, mostrando cartelli con la copertina della Costituzione rovesciata e immagini dei giudici antimafia Paolo Borsellino e Giovanni Falcone con la scritta «non nel loro nome». La riforma della separazione delle carriere è una delle promesse principali fatte in occasioni delle elezioni politiche del 2022 dalla coalizione di centrodestra che sostiene il governo di Giorgia Meloni, formata da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati. Dopo il via libera della riforma da parte del Senato il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha commentato: «Ho realizzato una mia aspirazione, dal 1995, da magistrato, ci credevo fermamente». Secondo il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia) «con il voto al Senato prosegue la battaglia di civiltà per il giusto processo».

Cosa prevede la riforma

La riforma, che non ha subìto modifiche nei primi due passaggi alla Camera e al Senato, prevede una netta separazione tra i magistrati che esercitano la funzione giudicante, ossia i giudici, e quelli che svolgono la funzione requirente, ossia i pubblici ministeri (Pm), che in un processo rappresentano l’accusa. In base alle regole attuali, tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, passando dal ruolo di giudice a quello di Pm al massimo una volta, ed entro i primi dieci anni della loro attività.

Tutti i magistrati sono inoltre sottoposti e rispondono a un unico organo, ossia il Consiglio superiore della magistratura (CSM), che è guidato dal presidente della Repubblica e vigila sul corretto operato dei magistrati stessi. La riforma costituzionale presentata dal governo propone per l’appunto di separare le carriere dei magistrati requirenti da quelli giudicanti: in questo modo, ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di Pm, senza la possibilità di cambiamenti successivi. 

In sostanza, secondo i sostenitori della riforma, il divieto di passaggio da una funzione all’altra garantirebbe una maggiore indipendenza dei giudici, perché un magistrato che per anni si è occupato di formulare l’accusa nei processi, nel ruolo del Pm, rischierebbe di non essere imparziale se passasse alla funzione di magistrato giudicante. Secondo i critici della riforma, invece, la separazione delle carriere contribuirebbe a indebolire i magistrati stessi, esponendoli a una maggiore influenza del potere politico.

La riforma prevede anche la creazione di due CSM distinti, uno per i giudici e uno per i Pm, i cui membri dovranno essere stabiliti tramite un sorteggio tra esperti in materie giuridiche, magistrati giudicanti e requirenti. Ad oggi invece la legge prevede che, fatta eccezione per i suoi vertici, due terzi dei componenti del CSM sono eletti da tutti i magistrati d’Italia (i cosiddetti “membri togati”), e per un terzo dal Parlamento in seduta comune, cioè da tutti i deputati e i senatori (i cosiddetti “membri laici”). Con il sistema del sorteggio, il governo punta diminuire l’influenza delle cosiddette “correnti” dell’Associazione nazionale magistrati (ANM). L’ANM è un’associazione che rappresenta gli interessi dei magistrati italiani, e al suo interno è divisa in varie correnti, ossia gruppi di magistrati che hanno opinioni simili dal punto di vista politico, alcune più a destra, altre più a sinistra.

La riforma prevede poi la creazione di un nuovo organo, l’Alta Corte disciplinare, con il compito di stabilire i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Al momento le sanzioni verso i magistrati sono infatti stabilite dallo stesso CSM. L’Alta Corte disciplinare sarà composta da 15 giudici: tre nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di attività; altri tre estratti a sorte da un elenco di professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di attività stilato dal Parlamento in seduta comune; sei sorteggiati tra i giudici mentre altri tre estratti a sorte tra i Pm, in entrambi i casi con almeno vent’anni di esperienza. Il presidente dell’Alta Corte disciplinare è eletto tra i giudici nominati dal presidente della Repubblica o tra quelli estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento.

I prossimi passi

Il percorso verso l’approvazione definitiva della separazione delle carriere è comunque ancora lungo. Essendo una riforma costituzionale, il testo dovrà essere approvato una seconda volta dalla Camera e dal Senato senza modifiche. Nel caso venisse modificato, sarà necessario riprendere l’esame da capo. Dopo l’eventuale secondo via libera di entrambe le camere, è comunque probabile che il testo possa essere sottoposto a referendum popolare.

In base alla Costituzione, se nella seconda votazione una riforma costituzionale non ottiene almeno i voti dei due terzi dei componenti sia della Camera che del Senato, è possibile che la riforma sia sottoposta a referendum se ne fanno richiesta o un quinto dei membri di una camera, o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. 

Nel caso della separazione delle carriere il referendum è molto probabile, visto che al momento la maggioranza di centrodestra, anche con il sostegno di Azione, non ha i numeri in Parlamento per approvare la riforma con i due terzi dei voti dei componenti di Camera e Senato. Ad oggi, alla Camera il centrodestra e Azione, possono contare al massimo su 253 deputati su 400, un po’ meno della maggioranza dei due terzi, pari a 266 deputati. Lo stesso discorso vale al Senato: qui il centrodestra e Azione possono contare al massimo su 120 senatori su 205, mentre la maggioranza dei due terzi è di 136 senatori.

Anche se la riforma venisse confermata dal referendum popolare, la sua effettiva attuazione richiederà comunque altri provvedimenti da parte del governo. L’articolo 8 della riforma stabilisce infatti che entro un anno dall’entrata in vigore il governo e il Parlamento modifichino tutte «le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare» per adeguarle alla riforma costituzionale. In particolare, come spiega un dossier della Camera, il Parlamento e il governo dovranno intervenire con altri provvedimenti per adeguare almeno sei tra leggi e decreti-legge che disciplinano le regole sulla giustizia. Tra questi, sarà necessario modificare per esempio la legge n. 195 del 1958, ossia quella che ha stabilito nel dettaglio le regole di funzionamento del CSM, che non avrebbero più senso se il CSM sarà sostituito dai due nuovi consigli, quello della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente.

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