Il 21 luglio la Corte Costituzionale ha depositato una sentenza sui risarcimenti spettanti ai lavoratori licenziati illegittimamente nelle piccole imprese. I dettagli della sentenza sono stati riassunti dalla Corte in un comunicato stampa pubblicato sul suo sito.
In breve, i giudici costituzionali hanno stabilito che è illegittimo il tetto massimo di risarcimento pari a sei mensilità di stipendio per i lavoratori licenziati ingiustamente nelle piccole aziende. Questo tetto è stato stabilito nel 2015 con il decreto legislativo che ha introdotto il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. Questo è uno dei provvedimenti principali del Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo di Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016.
Più nel dettaglio, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda un caso di licenziamento illegittimo esaminato dal Tribunale di Livorno. Quest’ultimo, a dicembre 2024, ha chiesto ai giudici costituzionali di verificare la legittimità del primo comma dell’articolo 9 del decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti. Il comma in questione fissa a un massimo di sei mesi di stipendio l’ammontare del risarcimento destinato ai lavoratori licenziati ingiustamente nelle aziende con pochi dipendenti. Queste imprese sono quelle che impiegano meno di 15 dipendenti in un’unità produttiva o in un singolo comune, o comunque quelle che hanno in totale meno di 60 dipendenti. Per tutte le aziende che invece superano questa soglia di lavoratori, i risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo vanno da un minimo di sei a un massimo di 36 mensilità.
Nel comunicato stampa pubblicato dalla Corte Costituzionale si legge che, per quanto riguarda le piccole imprese, «l’imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento» rischia di non garantire un risarcimento adeguato al «danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato» e non permette di «assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro». In parole semplici, secondo la Corte, un indennizzo massimo di sei mensilità di stipendio non è abbastanza per risarcire il lavoratore del danno causato dal licenziamento illegittimo, e non è sufficiente nemmeno a fungere da deterrente per le aziende che vogliono licenziare i loro dipendenti senza giusta causa. Per questo, la Corte Costituzionale ha invitato governo e Parlamento a intervenire sul tema dei licenziamenti, con provvedimenti specifici per colmare le disparità tra i risarcimenti nei vari tipi di aziende.
L’8 e il 9 giugno il decreto che ha introdotto il contratto a tutele crescenti era stato oggetto del primo dei quattro referendum sul lavoro promossi tra gli altri dalla CGIL. In quel caso, il referendum chiedeva l’abrogazione completa – e cioè la cancellazione – di tutta la norma sul contratto a tutele crescenti. Come per gli altri quesiti sul lavoro, quello sul contratto a tutele crescenti ha visto prevalere nettamente il Sì all’abrogazione, ma per essere valido doveva partecipare almeno il 50 per cento degli aventi diritto al voto (il cosiddetto quorum). I referendum sul lavoro hanno invece registrato un’affluenza pari a circa il 30 per cento, e per questo non sono stati ritenuti validi.
La sentenza della Corte Costituzionale è stata accolta con favore dai partiti di opposizione che sostenevano i referendum sul lavoro, in particolare il Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra. Secondo la responsabile Lavoro del PD Maria Cecilia Guerra e il capogruppo del PD in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto, la Corte Costituzionale ha dato ragione alle richieste di chi ha promosso il referendum contro il Jobs Act. «Avevamo ragione a chiedere l’abrogazione di questa norma con il referendum, ma il governo Meloni ha fatto di tutto per sabotare quella battaglia di giustizia e dignità per i lavoratori», ha commentato invece il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra. In occasione dei referendum di giugno, i partiti di centrodestra, a eccezione di Noi Moderati, hanno fatto campagna elettorale per invitare i cittadini a non votare, con l’obiettivo di non far raggiungere il quorum ai quesiti.
Sui licenziamenti illegittimi, secondo il quotidiano la Repubblica, il governo sta studiando una norma per intervenire «in linea con quanto deciso dalla Corte Costituzionale».
In breve, i giudici costituzionali hanno stabilito che è illegittimo il tetto massimo di risarcimento pari a sei mensilità di stipendio per i lavoratori licenziati ingiustamente nelle piccole aziende. Questo tetto è stato stabilito nel 2015 con il decreto legislativo che ha introdotto il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. Questo è uno dei provvedimenti principali del Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo di Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016.
Più nel dettaglio, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda un caso di licenziamento illegittimo esaminato dal Tribunale di Livorno. Quest’ultimo, a dicembre 2024, ha chiesto ai giudici costituzionali di verificare la legittimità del primo comma dell’articolo 9 del decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti. Il comma in questione fissa a un massimo di sei mesi di stipendio l’ammontare del risarcimento destinato ai lavoratori licenziati ingiustamente nelle aziende con pochi dipendenti. Queste imprese sono quelle che impiegano meno di 15 dipendenti in un’unità produttiva o in un singolo comune, o comunque quelle che hanno in totale meno di 60 dipendenti. Per tutte le aziende che invece superano questa soglia di lavoratori, i risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo vanno da un minimo di sei a un massimo di 36 mensilità.
Nel comunicato stampa pubblicato dalla Corte Costituzionale si legge che, per quanto riguarda le piccole imprese, «l’imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento» rischia di non garantire un risarcimento adeguato al «danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato» e non permette di «assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro». In parole semplici, secondo la Corte, un indennizzo massimo di sei mensilità di stipendio non è abbastanza per risarcire il lavoratore del danno causato dal licenziamento illegittimo, e non è sufficiente nemmeno a fungere da deterrente per le aziende che vogliono licenziare i loro dipendenti senza giusta causa. Per questo, la Corte Costituzionale ha invitato governo e Parlamento a intervenire sul tema dei licenziamenti, con provvedimenti specifici per colmare le disparità tra i risarcimenti nei vari tipi di aziende.
L’8 e il 9 giugno il decreto che ha introdotto il contratto a tutele crescenti era stato oggetto del primo dei quattro referendum sul lavoro promossi tra gli altri dalla CGIL. In quel caso, il referendum chiedeva l’abrogazione completa – e cioè la cancellazione – di tutta la norma sul contratto a tutele crescenti. Come per gli altri quesiti sul lavoro, quello sul contratto a tutele crescenti ha visto prevalere nettamente il Sì all’abrogazione, ma per essere valido doveva partecipare almeno il 50 per cento degli aventi diritto al voto (il cosiddetto quorum). I referendum sul lavoro hanno invece registrato un’affluenza pari a circa il 30 per cento, e per questo non sono stati ritenuti validi.
La sentenza della Corte Costituzionale è stata accolta con favore dai partiti di opposizione che sostenevano i referendum sul lavoro, in particolare il Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra. Secondo la responsabile Lavoro del PD Maria Cecilia Guerra e il capogruppo del PD in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto, la Corte Costituzionale ha dato ragione alle richieste di chi ha promosso il referendum contro il Jobs Act. «Avevamo ragione a chiedere l’abrogazione di questa norma con il referendum, ma il governo Meloni ha fatto di tutto per sabotare quella battaglia di giustizia e dignità per i lavoratori», ha commentato invece il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra. In occasione dei referendum di giugno, i partiti di centrodestra, a eccezione di Noi Moderati, hanno fatto campagna elettorale per invitare i cittadini a non votare, con l’obiettivo di non far raggiungere il quorum ai quesiti.
Sui licenziamenti illegittimi, secondo il quotidiano la Repubblica, il governo sta studiando una norma per intervenire «in linea con quanto deciso dalla Corte Costituzionale».