Salvini deve studiare meglio perché si sciolgono i ghiacciai

Secondo il leader della Lega, il fenomeno è ciclico e non c’entrano le emissioni che aumentano le temperature. Ma le cose non stanno così
Ansa
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Il 31 luglio, durante la festa estiva della Lega a Cervia, in Emilia-Romagna, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha fatto una dichiarazione scorretta sui cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai. Secondo il leader della Lega, i ghiacciai sulle montagne, come quello sull’Adamello, «si ritirano anno dopo anno» non a causa delle emissioni delle attività umane, per esempio quelle generate dai trasporti, ma perché ci sono «cicli» storici. Basta studiare «un pochino di storia», ha detto Salvini, per arrivare a questa conclusione.
In realtà l’affermazione del segretario della Lega è smentita dalla letteratura scientifica sul tema e da vari esperti di ghiacciai contattati da Pagella Politica. In breve, la velocità e la portata dello scioglimento dei ghiacciai che si sta registrando negli ultimi decenni è qualcosa di eccezionale: questo fenomeno è spinto in particolare dall’aumento medio delle temperature, causato dalle attività umane.

Che cosa sta succedendo ai ghiacciai

Prima di tutto è necessaria una precisazione: al posto di “scioglimento” dei ghiacciai sarebbe più corretto usare il termine “fusione”. Lo scioglimento è infatti un fenomeno chimico che implica la presenza di due sostanze distinte, mentre la fusione descrive il cambiamento di stato da solido a liquido di una singola sostanza, come avviene appunto nel caso dei ghiacciai. In questo articolo abbiamo comunque deciso di usare il termine “scioglimento” visto che ormai è entrato nel linguaggio comune quando si parla, appunto, della ritirata e della riduzione dei ghiacci.

Detto questo, da tempo ormai la letteratura scientifica è concorde nel dire che la maggior parte dei ghiacciai in tutto il mondo si sta ritirando a causa dell’aumento medio delle temperature. E la crescita della massa di ghiaccio persa si è intensificata negli ultimi decenni. Questa dinamica è ben sintetizzata nel rapporto speciale, dedicato anche ai ghiacciai, pubblicato nel 2019 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite che periodicamente realizza i report considerati tra i più autorevoli a livello internazionale sui cambiamenti climatici e i loro effetti. 

Come spiega in un lungo approfondimento Carbon Brief, un sito specializzato nella divulgazione sui cambiamenti climatici, è vero che in passato la Terra ha attraversato nel corso di decine di millenni varie fasi di glaciazione, con periodi in cui i ghiacciai sulla crosta terrestre erano più diffusi, e in altri meno. Ma il riscaldamento globale causato dalle attività umane sta accelerando la fusione dei ghiacci. Per esempio uno studio pubblicato a gennaio 2023 su Science, una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, ha stimato che se entro il 2100 le temperature medie della Terra saranno più alte tra gli 1.5°C e i 4°C rispetto al periodo pre-industriale (prima metà dell’Ottocento), rischierà di scomparire tra un quarto e la metà di tutti i ghiacciai presenti sul pianeta. Al momento la traiettoria di crescita delle temperature medie è già vicina agli 1.5°C. 

«Questa dei cicli naturali non è altro che una balla: chiederei ai nostri politici di fare un giro con gli scienziati su questi ghiacciai», ha detto a Pagella Politica Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di scienze polari (Isp) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e professore di Scienza e gestione dei cambiamenti climatici all’Università Ca’ Foscari di Venezia. «Oggi non ci sono più dubbi: l’effetto degli esseri umani sul riscaldamento globale è indiscutibile», così come le conseguenze sui ghiacciai. 

«L’effetto serra è un processo fisico-chimico noto da più di 200 anni. L’interazione della radiazione che viene emessa dalla terra con la presenza di alcuni gas tra cui l’anidride carbonica, il metano, gli ossidi d’azoto, l’ozono e il vapore acqueo fa sì che queste molecole vibrino e riscaldino l’atmosfera», ha spiegato Barbante. «Il riscaldamento dell’atmosfera generato da questi “gas serra” porta poi all’aumento delle temperature e quindi alla fusione dei ghiacciai».

La stessa posizione è condivisa da Francesca Pellicciotti, professoressa di Criosfera e idrosfera montana all’Institute of Science and Technology Austria (Ista) di Klosterneuburg. «Ci possono essere fluttuazioni naturali, ma è inequivoco che il riscaldamento globale sia causato da attività umane. Basti pensare che gli attuali livelli di anidride carbonica nell’aria sono i più alti degli ultimi due milioni di anni. C’è una relazione molto forte tra le attività umane, il riscaldamento globale e la fusione dei ghiacciai», ha sottolineato Pellicciotti.

«I ghiacciai che si trovano nel nostro sistema climatico sono piuttosto sensibili ai cambiamenti quindi rispondono in modo evidente rispetto ad altri indicatori più difficili da osservare. Chi va in montagna si accorge a occhio nudo di come i nostri ghiacciai siano cambiati e si siano ridotti negli ultimi anni», ha spiegato a Pagella Politica Valter Maggi, professore di Geografia fisica e geomorfologia dell’Università Bicocca di Milano, presidente del Comitato glaciologico italiano. «Le Alpi si trovano in una delle aree più industrializzate del mondo, quindi i ghiacciai alpini sono delle importantissime sentinelle dell’impatto ambientale».

La situazione sull’Adamello

Il ghiacciaio dell’Adamello – quello citato da Salvini a Cervia – è tra i più grandi ghiacciai delle Alpi italiane. La sua superficie si trova per la maggior parte in Lombardia e per una piccola porzione in Trentino Alto-Adige. Il ghiacciaio «ha subito un notevole arretramento a partire dal primi anni dell’Ottocento», spiega il sito ufficiale del Parco Naturale Adamello Brenta, che comprende il gruppo montuoso dell’Adamello. 

Nel 2022 Maggi ha avviato il progetto di ricerca ClimADA, con l’obiettivo di ricostruire l’evoluzione climatica del ghiacciaio dell’Adamello e l’impatto degli esseri umani sull’area di alta montagna alpina. «Il ghiaccio che ricopre l’Adamello oggi probabilmente è un ghiaccio della fine degli anni Ottanta del Novecento. I campioni su cui lavoriamo oggi risalgono alla Prima guerra mondiale: stiamo leggendo anche l’impatto della guerra sul clima e sul ghiacciaio», ha dichiarato Maggi. «Abbiamo raccolto una carota di ghiaccio lunga 224 metri: poco alla volta stiamo tornando indietro nel tempo».

La situazione sull’Adamello «è disperata», secondo Barbante, che negli scorsi giorni si è recato proprio su quel ghiacciaio nell’ambito del progetto Climbing for Climate, un’iniziativa che ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti dei cambiamenti climatici. «Il ghiaccio ha perso in tre anni 18 metri di spessore, più di 170 metri di fronte glaciale, ossia la parte terminale del ghiacciaio. Al Pian di Neve, che è il suo punto più spesso, non si superano i 270 metri: a questo ritmo l’Adamello non arriva al 2080», ha sottolineato Barbante. «Il destino di questi ghiacciai ormai è segnato. Abbiamo ipotecato il nostro futuro e lo abbiamo fatto a una velocità pazzesca, come non era mai successo almeno negli ultimi 10 mila anni».

Se il destino dell’Adamello e degli altri ghiacciai italiani sembra ormai segnato, o comunque inevitabilmente compromesso, va detto che nel mondo non tutti i ghiacciai fondono allo stesso modo. «Esistono ghiacciai stabili o addirittura in crescita, come quello di una regione dell’Asia, il Pamir-Karakoram, che insieme ad altri ricercatori stiamo studiando da un anno in un nuovo grande progetto di ricerca», ha raccontato Pellicciotti a Pagella Politica, facendo riferimento al Pamir Project. «Gli studi prevedono che sulle Alpi perderemo però il 70 per cento delle masse di ghiaccio entro la fine del secolo anche se smettessimo di produrre emissioni oggi. I ghiacciai che si possono “salvare” sono quelli molto più grandi di altre regioni del mondo, tipo appunto l’Asia».

La destra e il cambiamento climatico

Oltre a Salvini, negli scorsi giorni altri rappresentanti del governo hanno messo in dubbio l’origine antropica del riscaldamento climatico. Per esempio il 27 luglio il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin (Forza Italia) ha detto a Sky TG24 che non sa in quale misura il cambiamento del clima «sia dovuto all’uomo o al cambiamento terrestre» e che sulle cause «c’è dibattito» tra gli scienziati. Come detto, le principali istituzioni internazionali e i più autorevoli studi sul clima hanno confermato l’impatto delle attività umane sul riscaldamento globale, nonostante vari membri della maggioranza che sostiene il governo Meloni continuino a metterlo in dubbio.

«Più che chiedere a noi studiosi che cosa sta succedendo, che ormai è ovvio, bisognerebbe chiedere a certi politici perché continuano a fare affermazioni di questo tipo», ha detto con una punta di sarcasmo Maggi. «Il mio stipendio da professore rimane identico, che cambi il clima o no. Magari chi sostiene posizioni così controverse ha interessi da difendere. Ma al di là di tutte le posizioni legittime o meno, alla fine su questi temi quello che conta è avere posizioni equilibrate e basate sui dati: noi di dati ne abbiamo una marea e tutti testimoniano l’impatto degli esseri umani sul clima», ha aggiunto. 

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