Perché non sarà facile cambiare i trattati dell’Ue

Se ne parla da tempo, in particolare per quanto riguarda il superamento del diritto di veto, ma le procedure di riforma sono lunghe. Questo dibattito sarà al centro della prossima campagna elettorale
Ansa
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Da tempo ormai all’interno delle istituzioni europee si discute della necessità di riformare i Trattati fondativi dell’Unione europea per adattarli al nuovo contesto globale. Per esempio, nelle conclusioni del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Ue si sono impegnati ad adottare, entro questa estate, una tabella di marcia per i «lavori futuri» riguardanti la riforma delle istituzioni europee. Su questo tema si è espresso di recente anche il Parlamento europeo, che nella seduta plenaria dello scorso novembre ha chiesto formalmente al Consiglio europeo di avviare una procedura di revisione dei trattati. 

Nonostante l’urgenza delle riforme sia riconosciuta da più parti, il processo di modifica dei trattati è tutt’altro che semplice e sarà uno dei temi di discussione della campagna elettorale delle prossime elezioni europee di giugno.

L’Unione europea del futuro

L’Unione europea è disciplinata da due trattati: il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). I testi attualmente in vigore sono il risultato di progressive modifiche, l’ultima delle quali risale al 1° dicembre 2009. In seguito alle crisi e alle emergenze globali degli ultimi anni si è tornati a discutere della possibilità di riformare questi trattati, per dotare le istituzioni europee degli strumenti necessari per rispondere alle sfide contemporanee, come il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina.

In particolare, il dibattito sulle riforme si è riacceso in seguito alla convocazione di una Conferenza sul futuro dell’Europa, che tra aprile 2021 e maggio 2022 ha coinvolto cittadini provenienti da tutti gli Stati membri. I lavori della Conferenza si sono conclusi il 9 maggio 2022 con la presentazione di 49 proposte per cambiare l’Unione europea. «I cittadini europei hanno chiesto un’Europa più unita e capace di agire, ma anche un maggiore controllo democratico attraverso nuove forme di partecipazione diretta e, soprattutto, un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo», ha spiegato a Pagella Politica Luisa Trumellini, segretaria del Movimento Federalista Europeo (MFE), un movimento politico che si batte per una maggiore integrazione europea. «Alcune di queste richieste per essere esaudite necessitano di una riforma dei trattati. Il Parlamento europeo si è quindi messo al lavoro, elaborando una proposta che ha visto la collaborazione di tutti i partiti europeisti, dalla sinistra radicale al Partito popolare europeo».

Tra le principali novità, il Parlamento europeo ha chiesto di ottenere il diritto di iniziativa legislativa, cioè di proporre nuove leggi, prerogativa che a oggi resta in capo alla Commissione europea. Un’altra richiesta avanzata dal Parlamento è che all’Ue siano assegnate maggiori competenze in materia di ambiente, salute, energia, affari esteri e difesa. Il Parlamento vorrebbe quindi un peso maggiore nell’adozione di atti legislativi su questi temi, che seguirebbero la procedura legislativa ordinaria, anche detta di “codecisione”. In questa procedura un atto legislativo, per essere approvato, deve ricevere il consenso sia del Parlamento europeo sia del Consiglio dell’Unione europea. Al momento, invece, la maggior parte dei provvedimenti segue procedure legislative speciali, che prevedono un coinvolgimento minore da parte dei parlamentari europei. 

Inoltre queste procedure speciali richiedono solitamente che il Consiglio dell’Ue si esprima all’unanimità, attribuendo a ciascuno dei 27 Stati membri il cosiddetto “potere di veto”. Per esempio, l’Ungheria ha ostacolato a lungo l’adozione di un pacchetto di aiuti per l’Ucraina del valore di 50 miliardi di euro. Il Consiglio dell’Ue ha potuto prendere questa decisione solo lo scorso febbraio, dopo che tutti i 27 leader, incluso il primo ministro ungherese Viktor Orbán, hanno raggiunto un accordo sul provvedimento.

Il superamento dell’unanimità è un tema ricorrente nel dibattito sulla riforma dei trattati e l’anno scorso si era creato un gruppo informale di nove Paesi favorevoli a questa modifica, tra cui l’Italia. Ma non tutti i partiti italiani sono concordi su questo cambiamento. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia) e la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi hanno detto che bisogna superare il meccanismo del diritto di veto, mentre la Lega è apertamente contraria

Per quanto riguarda la Commissione europea, che sarebbe rinominata “Esecutivo europeo”, il numero dei componenti sarebbe ridotto dagli attuali 27, cioè uno per Stato membro, a 15. Questi non sarebbero più indicati dai governi nazionali, come avviene oggi, ma spetterebbe al presidente dell’Esecutivo selezionarli per garantire maggiore coesione politica. Inoltre, il presidente sarebbe nominato dal Parlamento europeo e approvato dal Consiglio europeo, a differenza della procedura attuale dove è il Consiglio europeo a proporre un candidato al Parlamento. Il presidente dell’Esecutivo assumerebbe poi i poteri attualmente in capo al presidente del Consiglio europeo, diventando a tutti gli effetti il “presidente dell’Unione europea”. «Il Consiglio europeo manterrebbe un ruolo di indirizzo generale, ma non sarebbe più un organo autogestito con un proprio presidente. I vantaggi della presidenza unica sarebbero da un lato una sinergia maggiore tra le due istituzioni, e dall’altro una rappresentanza molto forte dell’Unione europea in ambito internazionale», ha spiegato Trumellini.

Come si modificano i trattati

L’articolo 48 TUE stabilisce le modalità con cui i trattati possono essere riformati. Nel dettaglio, sono previste una procedura di revisione ordinaria e due procedure semplificate. La portata delle modifiche richieste dal Parlamento non è però compatibile con nessuna delle due procedure semplificate, che possono essere adottate soltanto in casi circoscritti.

La procedura di revisione ordinaria prevede che alla presentazione del progetto di modifica dei trattati faccia seguito la convocazione di una Convenzione da parte del Consiglio europeo. Per questo passaggio è necessaria la maggioranza semplice, ossia 14 Paesi su 27. «Il presidente del Consiglio europeo è tenuto a mettere all’ordine del giorno la questione della riforma dei trattati quando è sollevata dal Parlamento, ma non è prevista una scadenza temporale. A nostra richiesta il presidente Charles Michel ha risposto che è consapevole dell’importanza del tema e che lo porterà sul tavolo al momento opportuno. Se questo momento dovesse essere il Consiglio europeo di giugno, la Convenzione potrebbe essere inaugurata nel 2025», ha affermato Trumellini. Alla Convenzione partecipano rappresentanti del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, una delegazione della Commissione europea e un rappresentante per ciascun governo nazionale. I membri esaminano il progetto di modifica e adottano per consenso, ossia senza che nessuno si opponga, una raccomandazione rivolta a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (detta “conferenza intergovernativa” o CIG). A questo punto la CIG deve stabilire all’unanimità le modifiche da apportare ai trattati, che entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri.

«Il consenso e l’unanimità richiesti da questa procedura sono due ostacoli concreti alla revisione dei Trattati. Per questo si stanno ipotizzando delle alternative possibili nell’ottica di un’Europa a due velocità. La soluzione ideale sarebbe un compromesso tra gli Stati membri che desiderano una maggiore integrazione e quelli che vogliono mantenere lo status quo, per cui si elabori una struttura capace di tenere conto delle differenze a garanzia di tutti. L’alternativa è lo strappo: i Paesi disponibili adottano le modifiche necessarie con una diversa modalità di ratifica e in un secondo momento negoziano con gli altri le condizioni per mantenere l’Ue. Per questa seconda strada servirebbe però una forte volontà politica, che oggi manca», ha concluso Trumellini.

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