Le critiche del Consiglio d’Europa alla polizia non sono una novità

Un nuovo rapporto, che non è piaciuto al governo, parla della “profilazione razziale” delle forze dell’ordine italiane. Le stesse osservazioni sono state mosse ad altri Stati, tra cui al nostro in passato
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Un rapporto pubblicato il 22 ottobre dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), che fa parte del Consiglio d’Europa, ha suscitato le critiche di vari esponenti del governo italiano. «L’ECRI accusa le forze di polizia italiane di razzismo? Le nostre forze dell’ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie», ha commentato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Sulla questione è intervenuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che al capo della polizia Vittorio Pisani ha espresso «stupore per le affermazioni contenute nel rapporto» della Commissione ECRI.

Ma che cosa c’è scritto davvero in questo contestato rapporto? Abbiamo controllato, scoprendo che negli anni scorsi le osservazioni nei confronti delle forze dell’ordine italiane sono state fatte anche verso altri Paesi europei.

Che cosa fa l’ECRI

Innanzitutto, chiariamo brevemente che cos’è e che cosa fa l’ECRI. Questa commissione, come detto, fa parte del Consiglio d’Europa, un’istituzione che non rientra nell’Unione europea e che non va confusa né con il Consiglio europeo né con il Consiglio dell’Unione europea. Il Consiglio d’Europa, infatti, è un’organizzazione internazionale che ha sede a Strasburgo, in Francia, e si occupa di promuovere i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto in tutto il continente europeo. Al Consiglio d’Europa aderiscono 46 Paesi, tra cui tutti i 27 Stati membri dell’Ue (nel 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è uscita dal Consiglio d’Europa).

La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (abbreviata con la sigla “ECRI”) è un «organo indipendente di monitoraggio in materia di diritti umani». Questa commissione, spiega la stessa ECRI, «è specializzata in questioni relative alla lotta contro il razzismo, la discriminazione (basata su “razza”, origine etnica, colore della pelle, cittadinanza, religione, lingua, orientamento sessuale e identità di genere), la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza». La commissione «è composta da membri indipendenti e imparziali, designati per la loro autorità morale e la loro riconosciuta competenza in materia».

Tra i suoi compiti, periodicamente l’ECRI deve monitorare la situazione Paese per Paese per quanto riguarda il razzismo e l’intolleranza. Al termine del monitoraggio, la commissione ha il compito di fornire raccomandazioni e suggerimenti – che in ogni caso non sono legalmente vincolanti – ai singoli Paesi per risolvere i problemi che sono stati individuati durante il monitoraggio. Le attività di controllo dell’ECRI non sono fatte di «indagini o prove testimoniali», ma si basano «su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti», tra cui «fonti scritte nazionali e internazionali». Durante il periodo di monitoraggio, alcuni rappresentanti della commissione visitano il Paese monitorato per incontrare «le parti interessate», sia governative sia non.

Questa attività di monitoraggio è iniziata nel 1998 e viene svolta nell’arco di cinque anni. Passato questo periodo, il monitoraggio ricomincia. Il sesto ciclo di monitoraggio è iniziato nel 2018 e il rapporto pubblicato il 22 ottobre dall’ECRI sull’Italia fa parte proprio di questo ciclo di monitoraggio. Secondo le verifiche di Pagella Politica, fino a oggi la commissione ha pubblicato i rapporti del sesto ciclo di monitoraggio per 23 Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa, tra cui l’Italia.

Il sesto ciclo di monitoraggio dell’ECRI si basa, in particolare, su tre temi comuni a tutti i Paesi: l’effettiva parità e l’accesso ai diritti; il discorso d’odio e la violenza per motivi di odio; l’integrazione e l’inclusione, a cui si aggiungono temi propri di ciascun Paese.

Che cosa dice il rapporto sull’Italia

Il recente rapporto dedicato all’Italia è aggiornato all’11 aprile 2024. Nel documento, come prima cosa l’ECRI ha sottolineato i progressi fatti dal nostro Paese rispetto al precedente rapporto, condotto nel 2016, appartenente al quinto ciclo di monitoraggio. Tra le altre cose, l’ECRI ha evidenziato che l’educazione civica «è stata introdotta come materia autonoma da insegnare nelle scuole primarie e secondarie»; che «è stato sviluppato un sistema di raccolta dati sugli episodi di bullismo nelle scuole, anche per motivi di etnia e orientamento sessuale»; che «sono stati fatti progressi con il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso»; e che «è stato sviluppato un quadro istituzionale volto a contrastare l’antisemitismo».

Oltre ai progressi, nella sintesi iniziale del rapporto l’ECRI ha evidenziato le questioni che destano ancora preoccupazione. Per esempio, ha scritto la commissione, in Italia «ci sono numerose testimonianze di profilazioni razziali da parte delle forze dell’ordine, che prendono di mira soprattutto i Rom e le persone di origine africana». Al razzismo e all’intolleranza all’interno delle forze dell’ordine italiane è dedicata poi una sezione del rapporto. Qui l’ECRI ha scritto di essere venuta a conoscenza di «frequenti fermi e controlli», fatti dalle forze dell’ordine, «basati sull’origine etnica». La profilazione razziale è, appunto, la pratica di fermare o controllare persone basandosi principalmente sulla loro razza o etnia, piuttosto che su comportamenti sospetti o prove concrete.

A sostegno di questa conclusione, l’ECRI ha citato un rapporto pubblicato nel 2022 dall’European Roma Rights Centre (ERCC), un’organizzazione non governativa che si occupa della discriminazione contro i Rom, e due rapporti, pubblicati nel 2022 e nel 2017 dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) delle Nazioni Unite. 

Le autorità italiane «non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale», ha scritto l’ECRI nel suo rapporto. «La profilazione razziale ha effetti notevolmente negativi, in quanto genera un senso di umiliazione e ingiustizia per i gruppi coinvolti provocando stigmatizzazione e alienazione. È inoltre dannosa per la sicurezza generale in quanto diminuisce la fiducia nella polizia e contribuisce a non denunciare reati». Per questo motivo, la commissione ha raccomandato all’Italia di realizzare uno studio per studiare e affrontare il problema della profilazione razziale. Secondo l’ECRI, un’indagine di questo tipo potrebbe servire a «sensibilizzare» le forze dell’ordine ed evitare così pratiche con «effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia».

Il rapporto di ECRI contiene anche una breve risposta del governo italiano alle osservazioni della commissione del Consiglio d’Europa. Il governo ha risposto che l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) del Ministero dell’Interno ha tra i suoi obiettivi sia quello di «facilitare le segnalazioni e contrastare» la sottodenuncia di atti discriminatori, sia quello di «monitorare, sensibilizzare, formare e aggiornare le forze di polizia per affrontare» questo fenomeno.

Ricapitolando: nel suo rapporto l’ECRI non dice esplicitamente che tutte le forze dell’ordine sono razziste, ma le ha accusate di ricorrere alla pratica della profilazione razziale, chiedendo all’Italia di trovare una soluzione a questo problema.

I precedenti rapporti

Nonostante il dibattito di queste ultime ore, osservazioni simili sono state fatte dal Consiglio d’Europa anche nei precedenti rapporti di monitoraggio dedicati all’Italia. 

Per esempio, nel secondo rapporto – pubblicato oltre vent’anni fa, nel 2002 – si parlava di «controlli discriminatori, linguaggio insultante ed ingiurioso, maltrattamenti e violenza» delle forze dell’ordine verso i Rom, gli stranieri e i cittadini italiani di origine immigrata. Nel terzo rapporto, uscito nel 2006, l’ECRI aveva ribadito l’invito alle autorità italiane di creare una commissione indipendente per indagare le «presunte violazioni dei diritti umani da parte della polizia», tra cui gli atti di razzismo e di discriminazione razziale. 

Il quarto rapporto, pubblicato nel 2012, aveva evidenziato che un organismo di questo tipo non era stato creato. «L’ECRI invita le autorità italiane a condannare pubblicamente e senza ambiguità qualsiasi comportamento razzista o qualsiasi forma di discriminazione razziale da parte di agenti delle forze dell’ordine», si legge nel quarto rapporto. Una raccomandazione simile era contenuta nel quinto rapporto, pubblicato nel 2016. In risposta, il governo italiano aveva replicato all’ECRI dicendo che erano stati organizzati seminari tra le forze dell’ordine per sensibilizzare, tra le altre cose, sulla discriminazione razziale.

Il monitoraggio degli altri Paesi

Le osservazioni dell’ECRI sulla discriminazione razziale praticata in alcuni casi dalle forze dell’ordine italiane non riguardano solo l’Italia. Abbiamo controllato tutti gli altri 22 rapporti pubblicati finora su altrettanti Paesi per il sesto ciclo di monitoraggio: in molti di questi si parla delle pratiche di discriminazione razziale mese in atto dalle forze dell’ordine.

Per esempio, nel rapporto dedicato all’Austria c’è un’intera sezione dedicata alla pratica della profilazione razziale condotta dalle forze dell’ordine austriache. Lo stesso discorso vale per la Germania: «L’ECRI raccomanda che le autorità di polizia dei Länder [gli Stati federati tedeschi, ndr] commissionino e partecipino a uno studio sulla profilazione razziale con l’obiettivo di sviluppare e attuare misure che eliminino il profiling razziale esistente e lo prevengano in futuro», si legge nel rapporto dedicato alla Germania. Anche all’Islanda l’ECRI ha raccomandato di «fornire una formazione più mirata agli agenti di polizia sulla questione della profilazione razziale». 

In generale, si parla di profilazione razziale o di discriminazione razziale delle forze dell’ordine nei rapporti dedicati a Norvegia, Polonia, Slovacchia, Svizzera, Belgio, Francia, Grecia e Ungheria.

Tra gli altri grandi Paesi europei, l’ultimo rapporto dedicato alla Spagna fa riferimento al quinto ciclo di monitoraggio ed è stato pubblicato nel 2018. «La profilazione razziale da parte delle autorità di polizia è un problema costante», si legge nel documento. «Per quanto riguarda la discriminazione strutturale, i rappresentanti di diverse organizzazioni della società civile hanno informato l’ECRI di percepire come discriminatorie alcune differenziazioni basate sull’origine nazionale dei migranti».

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