Il 26 gennaio abbiamo assistito in Emilia-Romagna alla vittoria – a detta di alcuni inaspettata – di Stefano Bonaccini su Lucia Borgonzoni. Il candidato del centro-sinistra è stato riconfermato alla guida della regione, imponendosi con 7,8 punti di distacco sulla sua avversaria.
Ma qual è stato l’elemento che lo ha condotto alla vittoria? Secondo alcuni sarebbe stato la situazione generalmente positiva dell’economia emiliano-romagnola, terra che offrirebbe un livello di benessere superiore al resto delle regioni italiane.
Tra coloro che dicono che «in Emilia-Romagna siamo più avanti degli altri» c’è anche Romano Prodi, bolognese, professore di economia e due volte presidente del Consiglio. In un’intervista rilasciata il 15 gennaio 2020 al quotidiano La Stampa, Prodi ha infatti elogiato le condizioni economiche della Regione con una serie di affermazioni sull’occupazione, la crescita e gli investimenti.
Ma questi dichiarazioni sono corrette? Abbiamo verificato e Prodi esagera in più di un’occasione.
«L’Emilia-Romagna cresce più delle altre regioni italiane»
Prodi non è il primo politico a rilasciare una dichiarazione sbagliata sulla crescita dell’Emilia-Romagna. Prima di lui, anche il presidente Bonaccini aveva riportato dati inesatti, dicendo che «l’Emilia-Romagna è da cinque anni la prima regione per crescita in questo Paese».
In quell’occasione avevamo visto come negli ultimi 5 anni la crescita della regione non sia stata la migliore d’Italia (i migliori risultati ottenuti sono stati la quarta posizione del 2014 e quella del 2016). Inoltre, gli ultimi dati Istat disponibili (qui riassunti) mostrano come, con un tasso del 2,21 per cento, l’Emilia-Romagna si sia piazzata nel 2017 in settima posizione su venti regioni in termini di crescita.
«Ha meno disoccupati, ha un’occupazione femminile che non ha confronti»
Le affermazioni di Prodi sono leggermente imprecise quando si tratta di disoccupazione e occupazione femminile. La situazione occupazionale dell’Emilia-Romagna è sì tra le migliori, ma non la migliore d’Italia.
Secondo i dati Istat, nel 2018 (ultimo dato annuale disponibile) il tasso di disoccupazione nella regione emiliana era pari al 5,9 per cento, il secondo miglior dato in Italia dietro al 3,8 per cento del Trentino Alto–Adige e davanti a Lombardia (6 per cento) e Veneto (6,4 per cento).
Discorso analogo per l’occupazione femminile, che fa sì registrare in Emilia-Romagna valori superiori alla media italiana ma che non è senza confronti (come invece sostenuto da Prodi).
L’Istat certifica che nel 2018 il tasso di occupazione femminile dell’Emilia-Romagna era del 62,7 per cento contro il 49,5 per cento nazionale. La regione si trovava così terza sul podio, alle spalle del Trentino Alto–Adige (64,8 per cento) e dalla Val d’Aosta (64,1 per cento), seguita a breve distanza dalla Toscana (60,5 per cento).
Possiamo comunque dire che, tolte le regioni più piccole, l’Emilia-Romagna sia in effetti la prima tra quelle medio-grandi e grandi.
«Ha speso bene tutti i fondi europei»
Senza volersi addentrare nel modo in cui queste risorse sono state impiegate, siamo andati a verificare se l’Emilia-Romagna, rispetto alle altre regioni, abbia speso una percentuale superiore dei fondi europei a lei assegnati.
Dai dati raccolti (qui consultabili) risulta che nel 2019 l’Emilia-Romagna abbia speso il 46 per cento dei fondi assegnati dall’European European Social FundSocial Fund (terza regione in Italia), il 49 per cento dei fondi per lo sviluppo rurale (terza regione in Italia) e il 43 per cento dei fondi proveniente dall’European Regional Devolepment Fund (seconda regione in Italia).
L’Emilia-Romagna si piazza quindi tra le prime tre posizioni per la percentuale di fondi spesi sul totale.
«Ha conseguito investimenti nuovi dall’estero»
Con «investimenti nuovi dall’estero» è probabile che Prodi si riferisca agli Investimenti diretti esteri (Ide), cioè gli investimenti che provengono dall’estero e che hanno come fine l’acquisto di partecipazioni di un’impresa italiana o lo stabilimento di una nuova impresa a controllo estero in Italia.
Allo scopo di attrarre nuovi investimenti dall’estero, l’Emilia-Romagna si è dotata di un’apposita legge nel 2014 (Legge Regionale n.14/2014). Secondo le informazioni rilasciate dalla regione emiliano-romagnola, dall’entrata in vigore della suddetta legge sino a dicembre 2019, sono stati finanziati 32 programmi di impresa, 11 dei quali riguardano imprese a controllo estero. Si stima che a fronte di un finanziamento di 72 milioni, siano stati investiti 210 milioni sul territorio regionale.
Allo stesso tempo, secondo i dati (qui raccolti) sugli investimenti diretti esteri forniti dall’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese (Ice) aggiornati al 31 dicembre 2015 , l’Emilia-Romagna si posiziona in quinta posizione tra le regioni italiane in termini di numero di imprese a partecipazione estera (972 imprese, pari al 7,6 per cento del totale), di numeri di dipendenti (81.556 dipendenti, pari al 6,7 per cento del totale) e fatturato (30,5 miliardi di euro, pari al 5,3 per cento del totale).
La sorpassano infatti Lombardia (5.904 imprese, 572.458 dipendenti e 256,8 miliardi di fatturato), Lazio (1.172 imprese, 155.866 dipendenti e 118,5 miliardi di fatturato), Piemonte (1.008 imprese, 10.5.896 dipendenti e 39,3 miliardi di fatturato) e Veneto (1.066 imprese, 93.284 dipendenti e 34 miliardi di fatturato).
In conclusione
L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha esaltato l’operato del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, basandosi su una serie di dati di natura economica.
I dati citati da Prodi mostrano come l’Emilia-Romagna si posizioni nelle prime tre posizioni in termini di occupazione femminile, tasso di disoccupazione e percentuale di fondi europei spesi.
Allo stesso tempo, la regione guidata da Bonaccini non è la prima in Italia per nessuno degli indicatori menzionati dall’ex presidente del Consiglio. Inoltre, in termini di Investimenti diretti esteri (quinta in Italia) e di crescita del Pil (settimana in Italia), la regione si piazza fuori dal podio.
Centrodestra
Maggioranza e opposizione fanno a gara a chi diserta di più il Parlamento