L’Italia spende male i fondi europei – o meglio, non è in grado si spenderli. Questo è il refrain, costante, da parte dei nostri politici. Dal Primo Ministro Renzi, che lamenta come altri Paesi membri dell’Unione Europea siano molto più efficaci dell’Italia, a Grillo che denuncia come queste risorse svaniscano quasi totalmente nelle regioni del sud del Paese, in mano alla criminalità organizzata.


A cosa servono i fondi europei?


Nel 2013 l’Italia ha versato all’Unione Europea 17,5 miliardi di euro, e ne ha ricevuti in cambio 12,6. Le risorse che Bruxelles destina alle nostre regioni, incamerate all’interno dei programmi di coesione europei, vengono distribuite all’interno di un periodo di sette anni, e la destinazione ed uso sono concordati dal governo e dalla Commissione Europea all’interno del cosiddetto “Quadro Strategico Nazionale”. L’ultimo, relativo al settennato 2007-2013, prevedeva un totale di risorse stanziate a favore di Roma pari a 27,9 miliardi di euro, in 790.000 programmi volti ad accelerare la crescita economica e sociale delle zone di destinazione.


Le risorse sono veicolate attraverso due fondi:


il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), volto a sostenere programmi per lo sviluppo regionale, di potenziamento della competitività, di ricerca e sviluppo. – 40,9 miliardi di euro stanziati per il periodo 2007-2013


il FSE (Fondo Sociale Europeo), un fondo che si concentra su programmi di “inclusione sociale” e che, secondo il sito della Commissione Europea, è volto a “trovare posti di lavoro migliori e assicurare opportunità lavorative più eque per tutti”. – 13,8 miliardi di euro stanziati per il periodo 2007-2013.


Nel caso in cui non vi tornassero i conti, lo Stato concorre ai programmi di coesione europei co-finanziando i fondi europei – l’ammontare totale dei cofinanziamenti italiani ai programmi sponsorizzati dal FESR e dal FSE raggiunge i 26,9 miliardi di euro.


Questa è una prassi inserita per incrementare il senso di responsabilità del Paese beneficiario delle risorse elargite dall’Unione Europea, che effettua i trasferimenti delle risorse stanziate solamente ad ultimazione del progetto. Ed è qui che sorge il problema dell’Italia, che sembrerebbe incapace di ultimare per tempo i progetti concordati all’interno del Quadro Strategico Nazionale e, quindi, ricevere i trasferimenti europei.


L’Italia ultima della classe


Ed effettivamente, a consultare il sito della Commissione Europea sui Fondi di Coesione, l’Italia si trova se non ultima, tra gli ultimi Paesi in quanto a capacità di spesa delle risorse stanziate.



Con appena il 54,3% delle risorse stanziate spese per tempo, l’Italia si trova in sestultima posizione, sopra Slovacchia, Malta, Bulgaria, Romania e Croazia. I Paesi più virtuosi sono invece l’Estonia e, a sorpresa, il Portogallo e la Grecia, tutti e tre capaci di spendere attorno all’80% delle risorse stanziate dall’Europa.


Le regioni più e meno virtuose


Ci sono tre diverse modalità di gestione (espresse in sigle vagamente onomatopeiche) dei fondi di coesione europei:


– i PON (Programmi Operativi Nazionali) sono quei programmi di spesa che hanno come autorità di gestione un’amministrazione centrale nazionale, come ad esempio in ministero


– i POR (Programmi Operativi Regionali) sono invece i programmi di spesa gestiti dalle autorità regionali


– i POIN (Programmi Operativi Inter-Regionali) sono programmi di gestione congiunta, sia regionale che centrale e nazionale, e coinvolgono diverse regioni nell’ambito dello stesso programma di finanziamento


Per analizzare l’efficienza delle singole regioni nella gestione della moltitudine di progetti racchiusi all’interno dei due fondi di coesione europei abbiamo considerato soltanto i programmi a diretta gestione regionale, ovvero i POR, ed abbiamo osservato quanto riescano ad ottenere in trasferimenti sul totale stanziato.



Ovviamente, come ci aspettavamo, esistono evidenti disparità. Se, per esempio, la Campania è stata in grado di spendere soltanto il 34% delle risorse stanziate nel periodo 2007-2013, il virtuosissimo Abruzzo ha invece raggiunto l’82%. Tra i due fondi, sembrano essere i programmi FSE quelli a maggior probabilità di adempimento (i progetti FSE hanno ottenuto in media il 74,6% delle risorse stanziate, contro il 48,7% dei progetti FESR).


Ma i fondi di coesione sono utili?


Lo analizza un articolo su lavoce.info di Roberto Perotti e Filippo Teoldi. Oltre a rilevare il non funzionamento del co-finanziamento italiano (finanziamenti provenienti dalla Ue e dallo Stato centrale, ma attuazione ad opera regionale – una situazione che non genererebbe incentivi ad attuare i progetti nelle tempistiche accordate) l’articolo tenta di imbastire una valutazione delle centinaia di migliaia di progetti di formazione professionale finanziati dal FSE.


La metodologia immediatamente consigliata sarebbe la più semplice: selezionare due gruppi di persone disoccupate, uno iscritto ad un corso di formazione professionale finanziato dai programmi di coesione e l’altro senza, ed osservare se trovano un posto di lavoro 12 o 24 mesi dopo. Non sono mai stati fatti degli esperimenti simili in Italia, anche se in data di stesura dell’articolo (luglio di quest’anno) esistevano ben 280 documenti di valutazione del FSE prodotti dai centri studi regionali – documenti inevitabilmente criticati dall’articolo.


Insomma, non esiste attualmente una valutazione imparziale dell’impatto sociale ed economico della marea di soldi che viene indirizzata alla regioni italiane, l’unica cosa che si può osservare con chiarezza, attualmente, è la pesante inefficacia del nostro Paese, in confronto alle altre nazioni europee, nell’utilizzare le risorse disponibili. Un classico caso di “vorrei ma non posso”.