Che cos’è il Piano strutturale di bilancio approvato dal Parlamento

Il documento contiene gli impegni che l’Italia intende prendere per rispettare il nuovo Patto di stabilità
Ansa
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Oggi la Camera e il Senato hanno approvato il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psb), il nuovo documento di programmazione economica che potrebbe sostituire la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef). Questo nuovo documento stabilisce gli obiettivi e le prospettive della finanza pubblica fino ai prossimi sette anni e la sua pubblicazione è stata prevista dalla riforma del Patto di stabilità e crescita, sottoscritto dai 27 Stati membri dell’Unione europea per controllare le loro politiche di bilancio ed evitare, tra le altre cose, squilibri nei conti pubblici con debiti eccessivi.

Dopo l’esame da parte delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, questa mattina il Piano strutturale di bilancio è stato esaminato dalle due aule del Parlamento. In seguito, Camera e Senato hanno votato la risoluzione di maggioranza sul Psb, che è stata approvata con i voti favorevoli dei partiti che sostengono il governo Meloni, mentre tutti i partiti di opposizione hanno votato contro. Adesso il Psb sarà inviato alla Commissione europea per il via libera definitivo. 

A differenza della Nadef, che aggiorna gli indicatori della finanza pubblica contenuti nel Documento di economia e finanza (Def) approvato in primavera, il Psb impegna il Paese in un programma per cinque anni e fissa i livelli massimi della cosiddetta “spesa primaria netta” per i prossimi sette anni. Questa spesa primaria netta è una delle novità contenute nel Psb e rappresenta, in parole semplici, il totale della spesa pubblica dello Stato al netto di una serie di entrate o uscite, come la spesa per gli interessi sul debito, alcune risorse europee (esclusi i prestiti del Piano nazionale di ripresa e resilienza), e vari sussidi, tra cui quelli per la disoccupazione.

Il nuovo dato sulla spesa primaria netta sarà quindi importante nei prossimi anni per capire se l’Italia sta rispettando o meno le direttive dell’Ue per quanto riguarda il rientro del deficit (ossia la differenza in negativo tra quanto lo Stato incassa e quanto spende) e la progressiva riduzione del debito pubblico. Ogni anno il governo dovrà presentare entro il 30 aprile una relazione sull’attuazione del Psb, sostituendo documenti economici come il Def e la Nadef, che «potrebbero non essere più necessari dal prossimo anno», come ha specificato il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il piano esaminato dal Parlamento, precedentemente approvato dal Consiglio dei ministri, è stato trasmesso alla Camera e al Senato il 27 settembre scorso. «La nuova disciplina di bilancio europea è incentrata sulla sostenibilità del debito seguendo la cosiddetta Debt Sustainability Analysis (DSA) stabilita in sede Ue», si legge nella premessa al documento firmata dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti. «Gli Stati membri con deficit eccessivi o elevato debito pubblico [come appunto l’Italia, ndr] devono seguire un percorso di aggiustamento che al termine del piano, o anche oltre se necessario, li porti su un sentiero di riduzione sostenibile del debito pubblico». Una delle principali variabili nell’analisi DSA è il saldo primario strutturale, ossia la differenza tra le entrate e le spese della pubblica amministrazione, al netto del pagamento di interessi e degli effetti di alcune misure economiche temporanee. 

Passando ai numeri, gli obiettivi previsti dalla Commissione europea per i prossimi sette anni sono un aumento medio dell’1,5 per cento annuo della spesa primaria netta, a fronte di un miglioramento medio annuo dello 0,6 per cento del saldo primario strutturale. Detto altrimenti, la Commissione Ue chiede agli Stati di non aumentare più di un punto e mezzo percentuale annuo la spesa pubblica, che comunque dovrà servire ad aumentare il saldo della pubblica amministrazione di circa mezzo punto l’anno. 

Secondo il Psb, nei prossimi cinque anni il tasso annuale medio di crescita della spesa netta dell’Italia sarà pari all’1,6 per cento del Prodotto interno lordo (PIL). Questa percentuale si abbassa all’1,5 per cento se si considerano anche il 2030 e il 2031, raggiungendo quindi i limiti previsti dalla Commissione Ue. Il saldo primario, invece, passerà dal -0,5 per cento previsto per quest’anno al +2,7 per cento tra sette anni. 
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In concreto, questi numeri significano che nei prossimi anni l’Italia potrà ricorrere di meno allo strumento del debito per finanziare nuove misure previste dalle leggi di Bilancio. Di fatto il rispetto dei nuovi vincoli europei ridurrà le risorse a disposizione dei prossimi governi: l’obiettivo di questa stretta è migliorare entro il 2031 la situazione economica del Paese e far rientrare il deficit sotto un valore pari al 3 per cento del Pil, la soglia considerata “eccessiva” dall’Ue.

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