Ma se la pressione fiscale aumenta, non significa che tutti paghino più tasse o che siano state introdotte nuove imposte. Il valore può crescere anche per motivi che non dipendono da scelte politiche. Per esempio, se il PIL sale poco ma il gettito rimane stabile, il rapporto aumenta comunque.
In un articolo pubblicato a ottobre su
lavoce.info, gli economisti Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo
hanno spiegato quali sono le cause principali dell’aumento della pressione fiscale e chiarito anche un equivoco diffuso nel dibattito politico. Il governo, infatti,
tende a presentare la crescita della pressione fiscale come un segnale positivo legato all’aumento dell’occupazione. Ma se cresce l’occupazione, cresce anche il PIL, cioè il denominatore del rapporto. Se la pressione fiscale sale comunque, significa che le entrate fiscali aumentano più del PIL, perché i redditi da lavoro sono tassati più degli altri redditi.
Secondo i due economisti, uno dei motivi dell’aumento della pressione fiscale nel 2024 è stato proprio l’andamento dei redditi da lavoro. I salari sono tassati molto più dei profitti: pur rappresentando circa il 38 per cento del PIL italiano, contribuiscono da soli a quasi la metà delle entrate fiscali. Per questo, quando crescono occupazione e retribuzioni, il gettito aumenta più rapidamente del PIL, facendo salire «meccanicamente» la pressione fiscale, cioè per un effetto automatico del sistema tributario, senza che il governo introduca nuove tasse o aumenti altre esistenti. Nel 2024 è accaduto proprio questo: i profitti sono rimasti stabili o in lieve calo, mentre i salari medi e il numero degli occupati sono aumentati, contribuendo all’aumento complessivo della pressione fiscale.
C’è anche una seconda ragione dietro la crescita della pressione fiscale nel 2024, «ancora più deprimente della prima», hanno aggiunto Bordignon e Rizzo. I redditi da lavoro dipendente sono “tassati” con due strumenti: i contributi, che sono proporzionali, e l’IRPEF, che è progressiva, cioè applica aliquote più alte a redditi più elevati. Questa progressività riguarda però quasi solo i lavoratori dipendenti, che costituiscono la gran parte della platea dei contribuenti soggetti all’IRPEF, mentre molti altri redditi – come quelli da capitale o degli autonomi che beneficiano della flat tax – sono tassati con aliquote fisse più basse.
Nel 2024, l’aumento dei salari dovuto ai rinnovi contrattuali ha portato a un prelievo medio più alto, anche se in molti casi si trattava di recuperare parte del potere d’acquisto perso con l’inflazione negli anni precedenti. Poiché il fisco considera questi incrementi come veri aumenti di reddito, li tassa di più, generando il cosiddetto fiscal drag (il “drenaggio fiscale”): un aumento automatico del prelievo medio, che ha contribuito alla crescita della pressione fiscale complessiva.
Questo non significa però che tutti abbiano pagato più tasse, perché magari il governo ha alzato le aliquote con cui sono calcolate imposte come l’IRPEF. Il drenaggio fiscale agisce solo su chi ha visto crescere il proprio reddito espresso in termini nominali (cioè in valore assoluto, senza tener conto dell’inflazione), mentre altri contribuenti non ne sono toccati. Insomma, l’aumento della pressione fiscale misura un effetto medio sull’economia, non un rincaro generalizzato per tutti i cittadini.
Va inoltre ricordato che il governo ha adottato misure, come il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote IRPEF, proprio per restituire in parte gli effetti del fiscal drag sui redditi da lavoro.