Finalmente il Parlamento è riuscito a eleggere i nuovi giudici della Corte Costituzionale

Dopo 14 tentativi, i parlamentari di Camera e Senato si sono accordati per sostituire i membri della corte che hanno terminato il loro mandato mesi fa 
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
La mattina del 13 febbraio il Parlamento riunito in seduta comune, ossia con deputati e senatori insieme, ha eletto quattro giudici della Corte Costituzionale, l’organismo che giudica la legittimità costituzionale delle leggi e risolve i conflitti tra lo Stato e le regioni. Si tratta di Francesco Saverio Marini, Roberto Cassinelli, Massimo Luciani e Maria Alessandra Sandulli, che hanno superato la soglia minima dei tre quinti dei voti di deputati e senatori. Il più votato è stato Luciani con 505 voti, seguito da Cassinelli con 503 voti e da Sandulli con 502 voti. Marini na ha ottenuti invece 500. Altri cinque voti sono andati al senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, mentre quattro sono andati al viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, sempre di Forza Italia. Le schede bianche sono state dieci, le nulle sono state quattro.

I quattro nuovi giudici entreranno in carica a tutti gli effetti dopo il giuramento al Palazzo del Quirinale di fronte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si terrà nei prossimi giorni.

La Costituzione prevede che i giudici costituzionali nominati dal Parlamento (cinque dei 15 totali) siano eletti con voto segreto, con la maggioranza dei due terzi dei deputati e dei senatori riuniti insieme. Questa soglia corrisponde a 403 parlamentari sul totale dei 605 tra deputati e senatori attualmente in carica. Se per tre votazioni il Parlamento in seduta comune non riesce a eleggere nessun giudice la soglia scende a tre quinti, ossia per l’appunto a 363 parlamentari. Questo numero di voti però sono superiori a quelli attualmente a disposizione dei partiti della maggioranza che sostiene il governo Meloni, quindi per eleggere i quattro giudici è stato necessario trovare un accordo tra gli schieramenti.

L’elezione di questi giudici è stata molto complicata, visto che in totale sono serviti 14 tentativi e quasi un anno e mezzo per riportare la Corte Costituzionale alla sua composizione originale. L’11 novembre 2023 è scaduto infatti il mandato di nove anni della giudice Silvana Sciarra, eletta dal Parlamento a novembre 2014 e poi divenuta presidente della stessa Corte Costituzionale a novembre 2022. A dicembre 2024 poi è scaduto il mandato di altri tre giudici costituzionali, tra cui quello dell’ex presidente Augusto Barbera. I partiti hanno allungato i tempi di elezione del sostituto di Sciarra per aspettare la scadenza degli altri tre giudici ed eleggerne così quattro nello stesso scrutinio.

Il motivo di questa scelta sta nel fatto che i giudici costituzionali eletti dal Parlamento sono espressione in qualche modo dei partiti che li hanno eletti, ed eleggere quattro giudici tutti insieme ha permesso ai vari schieramenti di trovare un accordo sulle nomine. Lo schema a cui si è arrivati è il seguente: due giudici designati dai partiti che sostengono il governo Meloni, uno dalle opposizioni e uno “indipendente”, ossia condiviso dalla maggioranza degli schieramenti. Dunque, il costituzionalista Francesco Saverio Marini è stato eletto “in quota” Fratelli d’Italia: da oltre due anni Marini è consigliere diplomatico della presidente del Consiglio Giorgia Meloni ed è l’autore della proposta di riforma costituzionale sul “premierato”, ossia l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Massimo Luciani, accademico dei Lincei e professore di diritto pubblico, è il nome proposto dal Partito Democratico e dai partiti di opposizione in generale, mentre il nome di Roberto Cassinelli è stato avanzato da Forza Italia. Genovese, avvocato cassazionista, Cassinelli è stato parlamentare del partito di Antonio Tajani dal 2008 al 2022. Infine, la giurista Maria Alessandra Sandulli è considerata come “indipendente”, non essendo vicina a nessun partito in Parlamento.

Trattative fino all’ultimo minuto

Le trattative per arrivare all’elezione dei giudici sono state condotte, come avviene in questi casi, dai capigruppo parlamentari e dai leader dei partiti e sono andate avanti fino al tardo pomeriggio del 12 febbraio. A queste trattative, come spesso capita, gran parte dei parlamentari non ha partecipato. «Ieri io stesso, insieme ad altri colleghi, stavamo per prendere i biglietti per tornare a casa. Poi però ci hanno allertato all’ultimo dicendo che si sarebbe raggiunto un accordo e che avremmo dovuto restare a Roma», ha raccontato a Pagella Politica il deputato di Azione Antonio D’Alessio poco prima dell’inizio della votazione, nel Transatlantico della Camera. Questo è stato confermato anche da Maria Cecilia Guerra, deputata del Partito Democratico, già viceministra e sottosegretaria dei governi Monti, Letta, Conte e Draghi. «Di fatto abbiamo saputo i nomi solo stamattina. Noi come opposizioni abbiamo cercato di convergere sul nome di Luciani da subito. Poi abbiamo atteso più che altro le decisioni del centrodestra. Sapevamo che Marini era sostanzialmente “blindato”, e la questione era capire chi l’avrebbe spuntata nel centrodestra per avere un altro giudice “in quota”», ha spiegato Guerra. 

Se il nome di Marini era certo da diversi scrutini, quello degli altri giudici è stato in bilico fino alla fine. In particolare, c’è stata un’accesa discussione all’interno del centrodestra riguardo il secondo giudice da esprimere oltre a Marini. Forza Italia ha rivendicato per sé il diritto di esprimere l’altro nome destinato ai partiti di centrodestra, ma per settimane il partito di Tajani è stato incerto sul candidato da proporre. In origine i nomi emersi come possibili candidati di Forza Italia erano almeno quattro, ossia l’attuale viceministro della Giustizia Sisto, il senatore Zanettin, l’avvocato Andrea Di Porto e l’amministrativista Gennaro Terracciano, ma alla fine ha prevalso Cassinelli.

Reazione a catena?

La Lega invece non è riuscita a far eleggere un giudice, ma secondo alcuni suoi esponenti questo non sarebbe un problema. «Il fatto che non abbiamo espresso un nostro nome non è un dramma. Ci saranno altre occasioni su cui poter convergere. Le partite vere sono altre», ha detto a Pagella Politica il deputato leghista Stefano Candiani, già sottosegretario nel primo governo Conte, oggi segretario della Commissione di vigilanza Rai.

La “partita vera”, come l’ha chiamata Candiani, potrebbe essere la conferma della nomina del nuovo presidente del Consiglio di amministrazione della Rai. Da mesi i partiti non riescono a trovare un accordo per confermare come presidente della Rai Simona Agnes. Figlia dell’ex direttore generale della Rai Biagio Agnes e con un passato in Telecom Italia, Agnes è stata indicata dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti il 26 settembre, ma da quel momento in poi la sua nomina non è mai stata confermata dalla commissione di vigilanza, come prevede la legge. I partiti di centrodestra da soli non hanno i voti necessari per raggiungere la maggioranza dei due terzi richiesta per confermare Agnes, e hanno bisogno dei voti dei partiti all’opposizione. 

Commentando lo scrutinio, la senatrice del Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione Vigilanza Rai Barbara Floridia ha espresso a Pagella Politica la speranza che «l’elezione dei giudici possa sbloccare qualcosa anche per la Rai». Secondo Floridia, l’accordo tra i partiti sui giudici costituzionali potrebbe avere degli effetti anche sul voto per la presidente Rai. «Sulla questione però dovranno confrontarsi i leader per arrivare al quorum richiesto», ha precisato comunque la presidente della Commissione Vigilanza.

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