Tutti i dubbi che rimangono sul caso Paragon

Finora il governo ha dato spiegazioni diverse sulle possibili responsabilità nell’uso di un software di spionaggio ai danni di attivisti e giornalisti
Ansa
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Il 19 febbraio il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha risposto alla Camera a due interrogazioni presentate dal Partito Democratico e da Italia Viva sul caso Paragon. Paragon Solutions è l’azienda che produce il software di spionaggio Graphite, con cui negli scorsi mesi sono stati spiati i cellulari di alcuni giornalisti e attivisti italiani. 

La risposta alle interrogazioni è arrivata un po’ a sorpresa perché il giorno prima il governo aveva comunicato di non poter fornire nuovi dettagli sulla vicenda, aggiungendo che tutte le informazioni divulgabili erano già state fornite il 12 febbraio in un question time dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Nel giro di poche ore, il governo ha cambiato idea, decidendo di rispondere alle interrogazioni a patto che ne fosse modificato il testo. E così è stato: l’interrogazione del Partito Democratico è stata alla fine molto generica e ha citato solo marginalmente il caso Paragon. Rispondendo a quella di Italia Viva, Nordio ha invece negato possibili intercettazioni da strutture finanziate dal Ministero della Giustizia durante il 2024.

Punto per punto, ripercorriamo tutta la vicenda, dalla denuncia sui casi di spionaggio avvenuta a fine gennaio al question time del 19 febbraio.

Come funziona Graphite

Il caso Paragon è iniziato a fine gennaio, quando un portavoce di Whatsapp ha fatto sapere che la società Paragon Solutions aveva spiato alcune persone con uno spyware conosciuto con il nome di Graphite, ossia un software che raccoglie informazioni senza il consenso dell’utente. Paragon Solutions è stata fondata nel 2019 da un gruppo di ex ufficiali dell’intelligence israeliana e dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak, e a metà dicembre 2024 è stata venduta a un gruppo di investimento statunitense.

Tra le persone spiate attraverso Graphite ci sono il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e attivisti come Luca Casarini, co-fondatore dell’organizzazione non governativa (ONG) Mediterranea saving humans. Come ha spiegato lo stesso Cancellato nel suo podcast “Direct”, nel pomeriggio del 30 gennaio Whatsapp l’ha informato di aver interrotto le attività di uno spyware sul suo cellulare. Sul dispositivo era stato installato Graphite, uno “spyware zero-click”, ossia un software avanzato che si installa sul cellulare senza che l’utente faccia nulla. Il direttore di Fanpage ha detto di essere stato probabilmente inserito in un gruppo Whatsapp in cui è stato inviato un documento PDF. È bastato che lui entrasse in quel gruppo per innescare inconsapevolmente l’attività di spionaggio e di controllo del suo dispositivo.

Che cosa c’entra il governo

Le aziende che producono spyware come Paragon Solutions vendono i propri servizi solitamente ai governi, che li utilizzano per attività di protezione della sicurezza nazionale attraverso i propri servizi segreti. 

Il governo Meloni si è esposto per la prima volta sul caso Paragon il 5 febbraio e, con una nota pubblicata sul sito ufficiale, ha escluso che giornalisti e attivisti «siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence, e quindi del governo». Di fatto, inizialmente il governo ha detto di non c’entrare nulla con questa storia.

Il 6 febbraio il quotidiano inglese Guardian e quello israeliano Haaretz hanno smentito la versione del governo italiano, rivelando che Paragon Solutions avrebbe revocato il contratto con il governo italiano perché avrebbe «violato i termini e il quadro etico» concordato (notizia, come vedremo tra poco, smentita dal governo italiano). Nei giorni seguenti sono iniziati gli approfondimenti da parte del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (COPASIR). Quest’ultimo è una commissione bicamerale, composta da deputati e senatori, che ha il compito di vigilare sull’operato dei servizi segreti italiani. L’11 febbraio è stato ascoltato dal COPASIR Giovanni Caravelli, il direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE), l’agenzia che si occupa di coordinare l’attività dei servizi segreti italiani verso l’estero.

I contenuti delle due audizioni al COPASIR non sono pubblici, perché tutte le attività del comitato sono sottoposte a segreto, vista la natura delicata dei temi affrontati. In ogni caso, secondo fonti stampa, Caravelli avrebbe raccontato che almeno l’AISE ha usato Graphite in diverse occasioni in passato, ma non per spiare giornalisti o attivisti. Il giorno dopo, il 12 febbraio, il ministro Ciriani ha risposto a due interrogazioni presentate dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle sul caso Paragon. Ciriani ha negato le notizie divulgate dal Guardian e da Haaretz, dicendo che «nessuno ha rescisso, in questi giorni, alcun contratto nei confronti dell’intelligence», sostenendo quindi che «tutti i sistemi sono stati e sono pienamente operativi». 

Ricapitolando: dopo che lo spionaggio è stato reso noto, il governo ha detto di non c’entrare nulla. Secondo il Guardian e Haaretz, Paragon Solutions avrebbe rescisso il contratto con l’Italia perché il governo avrebbe «violato i termini e il quadro etico», ma il ministro Ciriani ha smentito questa ricostruzione dei fatti, dicendo che il contratto con Paragon Solutions è ancora in vigore.

Interrogazione sì o no?

Due giorni dopo il question time di Ciriani, c’è stata un’altra svolta. Secondo l’ANSA, che ha citato fonti dell’intelligence, i servizi segreti italiani e Paragon Solutions avrebbero concordato di sospendere l’attività operativa del sistema fino alla conclusione degli approfondimenti condotti dal COPASIR e dall’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, smentendo in sostanza quanto aveva dichiarato il ministro Ciriani. Da qui è arrivata la richiesta di ulteriori chiarimenti da parte dei partiti all’opposizione, che si è concentrata in particolare sulla polizia penitenziaria. Secondo fonti stampa, infatti, la polizia penitenziaria era l’unica forza di polizia che fino a quel momento non aveva smentito l’uso del software Graphite.

Il 18 febbraio il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Mantovano ha fatto sapere che il governo non avrebbe risposto alle nuove interrogazioni del PD e di Italia Viva sul caso Paragon durante il question time in programma il giorno dopo. Per motivare la decisione, Mantovano ha citato l’articolo 131 del regolamento della Camera, in base al quale «il governo può dichiarare di non poter rispondere» a un’interrogazione, «indicandone il motivo». In questo caso, Mantovano ha detto che il caso Paragon è già oggetto di approfondimenti da parte del COPASIR e che tutte le informazioni divulgabili sono già state diffuse durante le interrogazioni del 12 febbraio.

Dopo la comunicazione di Mantovano, i partiti all’opposizione hanno messo in dubbio la possibilità che il governo potesse effettivamente rifiutare di rispondere a un’interrogazione nel question time. Se il regolamento della Camera consente la possibilità per il governo di non rispondere a un’interrogazione a risposta immediata, è comunque raro che questo avvenga e una mancata risposta è considerata generalmente come una sorta di affronto al Parlamento. 

Subito dopo la comunicazione di Mantovano, il governo ha cambiato idea. Nel tardo pomeriggio del 18 febbraio si è tenuta una riunione dei capigruppo alla Camera, in cui il governo ha dato la disponibilità a rispondere alle interrogazioni del PD e di Italia Viva a patto che queste venissero modificate, eliminando ogni richiesta specifica riguardo Paragon e l’utilizzo dello spyware Graphite.
La parte conclusiva dell’interrogazione originaria di Italia Viva con la richiesta di chiarimenti su Paragon
La parte conclusiva dell’interrogazione originaria di Italia Viva con la richiesta di chiarimenti su Paragon
La parte conclusiva dell’interrogazione originaria del PD con la richiesta di chiarimenti su Paragon
La parte conclusiva dell’interrogazione originaria del PD con la richiesta di chiarimenti su Paragon

La giravolta di Nordio

Il fatto che ai partiti all’opposizione sia stato chiesto di modificare le loro domande ha suscitato critiche verso il governo: il regolamento della Camera prevede che i ministri sappiano in anticipo le interrogazioni a loro rivolte, ma non la possibilità per quest’ultimi di sindacare sul contenuto delle interrogazioni stesse.

In ogni caso, PD e Italia Viva hanno acconsentito alla modifica delle loro interrogazioni, e il giorno dopo il ministro della Giustizia Carlo Nordio si è presentato in question time per rispondere alle domande. La nuova interrogazione del PD ha chiesto a Nordio se fosse «in grado di assicurare alla polizia penitenziaria l’uso delle migliori tecnologie per svolgere tali compiti». Presentando l’interrogazione durante la seduta, la deputata del PD Debora Serracchiani ha citato comunque il caso Paragon, ma nella sua risposta Nordio non ha fatto alcun riferimento all’azienda, parlando solo dei finanziamenti stanziati per le tecnologie a disposizione delle forze dell’ordine.

La nuova versione dell’interrogazione di Italia Viva partiva dal caso Paragon, arrivando però a chiedere maggiori informazioni solo sulle intercettazioni e sui finanziamenti del Ministero della Giustizia al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), al Gruppo operativo mobile (GOM) e al Nucleo investigativo centrale (NIC). Rispondendo a Italia Viva, Nordio ha prima elencato le spese del suo ministero per le intercettazioni, precisando poi «nessuna persona è mai stata intercettata da strutture finanziate dal Ministero della Giustizia nel 2024» e che «nessuna persona è mai stata intercettata dalla polizia penitenziaria».

Quest’ultime affermazioni di Nordio sono sembrate ai deputati delle opposizioni come una sorta di contraddizione rispetto alla linea del governo. Nella serata del 18 febbraio, infatti, Mantovano aveva detto espressamente che il governo non avrebbe aggiunto altre informazioni che potevano riguardare in qualche modo il caso Paragon. Nonostante la risposta di Nordio, non è ancora chiaro chi abbia effettivamente utilizzato Graphite per spiare attivisti e giornalisti. In più, non è chiaro se con questo sistema siano state spiate indirettamente altre persone, tra cui anche parlamentari.

Il dubbio sul possibile spionaggio dei parlamentari è stato sollevato dal segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni e dal co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, che hanno detto di avere incontrato in diverse occasioni l’attivista Casarini, co-fondatore della Ong Mediterranea saving humans, spiato con il software di Paragon Solutions. «Vorrei sapere se mi hanno spiato», se «sono stati spiati anche i parlamentari della Repubblica», ha detto Fratoianni durante una conferenza stampa alla Camera. 

La questione è importante perché Fratoianni e Bonelli godono, come tutti i deputati e i senatori, delle immunità parlamentari. L’articolo 68 della Costituzione stabilisce che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» e che è necessaria un’autorizzazione di un’apposita giunta parlamentare per perquisire, arrestare, detenere o intercettare deputati e senatori. Su questo punto, Alleanza Verdi-Sinistra ha chiesto alla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni di presentarsi in Parlamento per fare chiarezza sulla vicenda.

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