La vecchia Meloni si arrabbierebbe con il governo Meloni

Anni fa la leader di Fratelli d’Italia criticava il rinvio in commissione delle proposte dei partiti all’opposizione. La stessa strategia è usata oggi da chi la sostiene
Giorgia Meloni durante la discussione generale sulla proposta di legge sulla riduzione delle indennità dei parlamentari alla Camera, 25 ottobre 2016. ANSA/ANGELO CARCONI
Giorgia Meloni durante la discussione generale sulla proposta di legge sulla riduzione delle indennità dei parlamentari alla Camera, 25 ottobre 2016. ANSA/ANGELO CARCONI
«Questa tecnica che la maggioranza utilizza sempre di fare finta di discutere i provvedimenti dell’opposizione ma poi di fatto non li porta mai a definitiva discussione in aula, perché vengono puntualmente rispediti in commissione, è una roba che deve finire». Queste parole non sono della segretaria del PD Elly Schlein, né del presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, e nemmeno del segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni o del portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli. Queste parole sono state pronunciate alla Camera da Giorgia Meloni quasi nove anni fa, quando Fratelli d’Italia era all’opposizione del governo di Matteo Renzi (Partito Democratico).

Il 25 ottobre 2016 Meloni era intervenuta in aula per protestare contro la richiesta dei partiti della maggioranza – poi approvata – di rinviare in commissione l’esame di una proposta di legge del Movimento 5 Stelle, partito all’opposizione, per ridurre l’indennità dei parlamentari. Secondo Meloni, quello era l’ennesimo stratagemma della maggioranza per non discutere le proposte dei partiti di opposizione.
Oggi che Meloni è al governo, Fratelli d’Italia e gli altri partiti della maggioranza stanno adottando lo stesso identico sistema rispetto ad alcune proposte dell’opposizione.

Il caso della settimana lavorativa corta

Per esempio, il 12 febbraio l’aula della Camera ha rinviato in commissione una proposta di legge sulla “settimana lavorativa corta” firmata dai leader di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. Tra le altre cose, il testo dei partiti di opposizione prevede l’esonero di una parte dei contributi a carico dei datori di lavoro, se questi decidono di applicare contratti che prevedono un orario di lavoro ridotto a parità di salario. 

A ottobre dell’anno scorso, in Commissione Lavoro alla Camera i partiti che sostengono il governo Meloni si erano detti contrari alla settimana lavorativa corta, presentando un emendamento [1] che cancellava tutti gli articoli della proposta di legge, tranne quello sull’istituzione di un osservatorio nazionale sull’orario di lavoro.

A quel punto i rappresentanti delle opposizioni avevano protestato contro l’emendamento, chiedendo al presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) di discutere il testo almeno in aula e di rimandare l’esame degli emendamenti. La richiesta è stata accordata e il testo è arrivato in aula il 28 ottobre per la discussione generale. 

Tre mesi dopo, il 12 febbraio Rizzetto ha chiesto il rinvio del testo in commissione perché, secondo la maggioranza e il governo, sono necessari approfondimenti sulle coperture finanziarie del provvedimento. La richiesta è stata approvata dall’aula, dopo le proteste dei partiti all’opposizione. «Siccome non ce la fate a bocciare una proposta che è popolare, scegliete di mandarla alle calende greche. Lo avete fatto con il salario minimo, mettendolo su un binario morto», ha detto durante la discussione il deputato del PD Arturo Scotto. «Presidente, la informo che sono 14 mesi che la vostra delega marcisce in Commissione al Senato. Eravate talmente preoccupati dell’emergenza salariale che avete deciso di non parlarne più. Oggi lo fate con la proposta dell’opposizione sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario», ha aggiunto Scotto.

«Questa maggioranza non si è mai sottratta perché, lo dico ai colleghi che hanno utilizzato il termine “scappare”, questa maggioranza, in realtà i problemi li affronta e non scappa. Proprio questo è il motivo per il quale viene richiesto il ritorno in Commissione di merito, affinché non ci sia unicamente la propaganda d’aula ma ci sia, invece, un dibattito serio nel merito di questa questione», ha risposto la deputata di Fratelli d’Italia Ylenia Lucaselli, che ha precisato come in Italia esistano già aziende che stanno sperimentando la settimana lavorativa corta. Un esempio portato da Lucaselli è SACE, il gruppo assicurativo-finanziario italiano controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che da dicembre 2023 ha iniziato a sperimentare la settimana lavorativa di quattro giorni a parità di stipendio per i dipendenti che lo richiedono.

Il rinvio del salario minimo 

Come ricordato da Scotto, non è la prima volta che i partiti della maggioranza hanno frenato l’esame di una proposta dei partiti all’opposizione, rinviandola in commissione. In passato, la stessa strategia è stata usata per rallentare l’esame del testo per l’introduzione del salario minimo orario. 

La proposta di legge per introdurre un salario minimo di 9 euro lordi l’ora è stata presentata a luglio 2023, sottoscritta da tutti i partiti all’opposizione, tranne Italia Viva. I partiti di maggioranza hanno più volte rimandato l’esame del testo e il 18 ottobre 2023 ha rinviato l’esame del provvedimento alla Commissione Lavoro della Camera. All’epoca, il relatore del provvedimento, sempre il deputato Rizzetto, aveva spiegato che era necessario un ulteriore esame da parte della commissione alla luce dell’approfondimento sul salario minimo pubblicato pochi giorni prima dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). Il CNEL è un organo previsto dalla Costituzione e svolge una funzione di consulenza nei confronti del Parlamento e del governo. Il suo attuale presidente è Renato Brunetta, ex parlamentare di Forza Italia e ministro nei governi Berlusconi. Il compito di approfondire la questione del salario minimo era stato assegnato al CNEL proprio da Meloni ad agosto del 2023.

A ottobre, al termine del suo approfondimento, il CNEL ha suggerito che il salario minimo non sarebbe la soluzione migliore per risolvere il problema del lavoro povero. In ogni caso, la maggioranza ha approfittato del rinvio del testo in commissione per riscriverlo: il 28 novembre 2023 il relatore del testo in Commissione Lavoro alla Camera Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) ha fatto approvare [2] un emendamento che ha trasformato la proposta in un disegno di legge delega, dando al governo il compito di legiferare sulla materia entro due anni. Come abbiamo spiegato in passato, questa è un’altra tecnica utilizzata in diverse occasioni dalla maggioranza per smontare le proposte delle opposizioni. 

In seguito, a dicembre 2023 la proposta di legge sul salario minimo è passata al Senato e il suo esame non è ancora stato concluso.

Che cosa dicono i regolamenti parlamentari

La strategia messa in atto dalla maggioranza per rinviare in commissione le proposte dei partiti all’opposizione non è vietata dai regolamenti parlamentari, ma è stata comunque criticata da vari parlamentari dei partiti di opposizione, secondo cui la maggioranza non rispetterebbe i loro diritti. Come abbiamo visto in precedenza, i partiti di maggioranza hanno respinto queste accuse, giustificando in vari modi il rinvio dei provvedimenti.

«È una questione di metodo. Noi non chiediamo che le nostre proposte siano per forza approvate: chiediamo solo che una volta arrivate in aula non vengano frenate attraverso questi stratagemmi regolamentari. Se sono contrari, preferiamo che la maggioranza lo esprima apertamente con un voto in aula», ha detto a Pagella Politica il deputato del PD Federico Fornaro, tra i componenti della Giunta del regolamento della Camera. 

Nel 2016, nel suo discorso in aula quando era all’opposizione, Meloni aveva espresso lo stesso concetto. «Le opposizioni hanno diritto di discutere una quota del 20 per cento dei provvedimenti che arrivano in quest’aula. E che alla maggioranza piacciano oppure no, a noi non interessa: quando fanno il loro iter in commissione e arrivano in aula devono essere discussi», aveva detto all’epoca la leader di Fratelli d’Italia.
Il deputato del PD Federico Fornaro con la capogruppo alla Camera Chiara Braga – Fonte: Ansa
Il deputato del PD Federico Fornaro con la capogruppo alla Camera Chiara Braga – Fonte: Ansa
Effettivamente, il regolamento della Camera stabilisce che una parte dei lavori dell’aula sia dedicata all’esame di proposte dei partiti all’opposizione. In particolare, il regolamento prevede che almeno «un quinto» degli argomenti del calendario mensile dell’aula siano proposte di legge, ordini del giorno o altri atti presentati dai partiti di opposizione. Il calendario dei lavori è stabilito dalla conferenza dei gruppi parlamentari e il presidente della Camera deve quindi garantire che sia discusso un numero minimo di proposte delle opposizioni. Al Senato non è previsto invece un tempo specifico da dedicare ai progetti delle opposizioni. Il regolamento del Senato prevede che, oltre a quelli del governo, siano inseriti nel programma dei lavori dell’aula i disegni di legge che hanno raggiunto la sottoscrizione di almeno un terzo dei senatori.

Il fatto che i regolamenti parlamentari prevedano la discussione in aula di una quota minima di proposte delle opposizioni non vieta però che queste possano essere rinviate in commissione dalla maggioranza. Il regolamento della Camera prevede infatti in maniera generica che il relatore di qualsiasi disegno di legge può disporne il rinvio in commissione dopo il via libera dell’assemblea. E lo stesso vale per il Senato, dove l’unica differenze è che il rinvio in commissione può essere chiesto dai gruppi parlamentari.

Una questione irrisolta 

Il problema dei rinvii in commissione delle proposte dei partiti all’opposizione nasce dunque da una questione che non è mai stata risolta.

«La questione sorge perché su questo punto i regolamenti parlamentari sono molto generici e si finisce nel campo della “creatività”, dell’interpretazione», ha spiegato a Pagella Politica Pino Pisicchio, ex sottosegretario dei governi Amato e Ciampi e più volte deputato tra il 1987 al 2018. «Il rinvio in commissione di una proposta di legge di per sé non è qualcosa di negativo, dato che può essere un modo per un ulteriore approfondimento di una materia. Il problema è come viene utilizzato di solito questo potere, e cioè in maniera strumentale, non per approfondire le proposte ma per insabbiarle», ha aggiunto Pisicchio, che nella sua carriera da deputato si è occupato in varie occasione di questioni legate ai regolamenti parlamentari. 

Rinviare in commissione un provvedimento arrivato in aula vuol dire praticamente annullare l’esame fatto in precedenza, obbligando la commissione a rifare tutto da capo e allungando inevitabilmente i tempi.

Come anticipato, anche i partiti oggi all’opposizione hanno fatto ricorso a questo stratagemma quando erano al governo. A ottobre 2016, per l’appunto, il PD e il Nuovo Centrodestra rinviarono in commissione la proposta del Movimento 5 Stelle per ridurre le indennità parlamentari, perché di fatto non ritenevano che fosse quello il momento più adatto per discuterne. Quel rinvio fu criticato, oltre che dal Movimento 5 Stelle, proprio da Fratelli d’Italia, che aveva rivendicato con la sua leader i diritti delle opposizioni. La proposta del Movimento 5 Stelle è stata poi assorbita in un unico testo insieme ad altre proposte di altri partiti. Quest’ultimo testo è stato approvato dalla Camera a luglio 2017 ma poi si è bloccato al Senato.
La protesta degli allora deputati del Movimento 5 Stelle Carlo Sibilia e Alessandro Di Battista contro il rinvio della loro proposta sulle indennità parlamentari, 25 ottobre 2016 – Fonte: Ansa
La protesta degli allora deputati del Movimento 5 Stelle Carlo Sibilia e Alessandro Di Battista contro il rinvio della loro proposta sulle indennità parlamentari, 25 ottobre 2016 – Fonte: Ansa
Pochi mesi prima, ad aprile, la stessa maggioranza aveva rinviato in commissione una proposta di legge della Lega, all’epoca all’opposizione, che chiedeva norme più stringenti sulla legittima difesa. Come la proposta del Movimento 5 Stelle, anche quella della Lega è stata poi assorbita in un unico testo insieme ad altre proposte, che è stato approvato dalla Camera a maggio 2017, per poi bloccarsi al Senato.

Più di recente, a luglio del 2020, i partiti che sostenevano il secondo governo Conte – tra cui il PD e il Movimento 5 Stelle – avevano rinviato in commissione una proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare che chiedeva la separazione delle carriere dei magistrati, sostenuta anche dai partiti di centrodestra. L’esame in commissione di questa proposta è proseguito fino a settembre 2021, per poi bloccarsi definitivamente.

Ricapitolando: quando era all’opposizione, Meloni criticava l’abitudine del governo di rinviare in commissione le proposte dei partiti all’opposizione per frenarle. Ora però i partiti che sostengono il suo governo hanno adottato lo stesso metodo in almeno due occasioni, prima sulla proposta sul salario minimo e di recente sulla settimana lavorativa corta. Ciò è possibile perché i regolamenti parlamentari sono troppo generici sulla possibilità di rinviare le proposte di legge, e la maggioranza di turno spesso se ne approfitta.

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[1] L’emendamento è l’1.4


[2] L’emendamento è l’1.6

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