La legge sui lobbisti non c’è ancora, ma intanto è già cambiata

Alcuni emendamenti hanno reso più morbide le regole per i portatori di interesse, attenuando obblighi e scadenze previsti nella versione originaria del testo
ANSA
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Tempi più blandi per aggiornare i registri delle attività, niente obbligo di iscrizione per i sindacati e le organizzazioni di categoria, e percorsi più semplici per essere reintegrati in caso di cancellazione. Sono alcune delle modifiche approvate dalla Commissione Affari costituzionali della Camera alla proposta di legge per regolare l’attività dei rappresentanti di interessi, i cosiddetti “lobbisti”. Il testo, presentato ad aprile dal presidente della commissione Nazario Pagano (Forza Italia), interviene per la prima volta in Italia in un settore che riguarda chi, ricoprendo incarichi politici, influenza le decisioni politiche promuovendo gli interessi di grandi aziende, associazioni di categoria e gruppi organizzati. A differenza di altri grandi Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, l’Italia infatti non dispone di una legge nazionale in materia. 

Dopo anni di tentativi senza esito, la nuova proposta è tornata al centro dei lavori della Commissione Affari costituzionali della Camera. Il testo è il risultato di una lunga indagine conoscitiva con esperti e giuristi, iniziata a marzo 2023 e conclusa un anno e mezzo dopo. L’impianto generale prevede la creazione di un registro nazionale dei rappresentanti di interessi, con iscrizione obbligatoria e rendicontazione delle attività svolte. La gestione e il controllo del registro verrebbero affidati al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), un organo consultivo attualmente guidato dall’ex ministro di Forza Italia Renato Brunetta. 

L’esame della proposta è entrato nel vivo a giugno e il 27 novembre la Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato una serie di emendamenti, su cui il governo e il relatore del provvedimento, lo stesso Pagano, avevano già espresso parere favorevole un mese prima.

Eccezioni

Per capire la portata delle modifiche occorre ricordare che l’Italia è uno dei Paesi europei più indietro nel controllo delle attività di lobbying. In questo contesto, il capitolo delle eccezioni richiama molta attenzione, perché tocca uno dei nodi più delicati della riforma. Alcuni emendamenti infatti introducono norme più leggere rispetto al testo originario e negli ultimi giorni hanno suscitato varie critiche.

Due emendamenti identici – uno dei partiti di maggioranza e uno di Italia Viva – hanno stabilito che non saranno obbligati a iscriversi al registro dei lobbisti né i rappresentanti delle organizzazioni sindacali né quelli delle organizzazioni dei datori di lavoro. In origine solo i sindacati erano esclusi, mentre ora la deroga si estende anche agli enti che rappresentano i datori di lavoro. 

Questa novità è stata contestata da realtà che operano proprio nel campo della rappresentanza di interessi. Tra questi ci sono Lobbying4Change, una coalizione di oltre 50 organizzazioni e movimenti non profit, impegnata a rendere trasparenti e inclusivi i processi decisionali; la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana (FERPI): e UNA, due associazioni che rappresentano i professionisti delle relazioni pubbliche e della comunicazione. 

In un comunicato stampa congiunto, queste tre organizzazioni hanno sostenuto che «una legge sulla trasparenza non può valere solo per alcuni» e che «introdurre eccezioni significa ridurre in modo significativo l’efficacia e la credibilità». Preoccupazioni simili sono arrivate anche dal Sindacato rappresentanti di interessi parlamentari (SIRIP). «L’esclusione di sindacati e datori di lavoro andrebbe bene solo se fossero previsti vantaggi per l’accesso alle sedi istituzionali per chi decide invece di iscriversi al registro. Se non si premia chi decide di iscriversi al registro, il rischio è di creare una situazione di disparità», ha detto a Pagella Politica Pietro Vivone, segretario del sindacato. 

Il dibattito è reso ancora più complesso dal fatto che l’esclusione dei sindacati e dei datori di lavoro contraddice le norme interne della Camera, una delle poche istituzioni italiane che si è già dotata di regole formali per l’accesso dei lobbisti. Alla Camera infatti devono iscriversi al registro non solo le associazioni professionali, le imprese, i gruppi di imprese, le organizzazioni non governative e i soggetti specializzati nella rappresentanza di interessi, ma anche i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro.

Nonostante questo, secondo i promotori della modifica la credibilità del nuovo registro non sarebbe compromessa. «Rivendichiamo l’emendamento, che dà maggiore coerenza al testo iniziale, visto che in origine era prevista l’esclusione delle sole organizzazioni sindacali. Noi pensiamo che in questa versione il testo sia più coerente e completo, e non credo che sminuisca la portata del nuovo registro», ha detto a Pagella Politica il deputato Alessandro Urzì, firmatario per Fratelli d’Italia dell’emendamento in questione.

Scadenze più morbide 

Accanto al tema delle eccezioni, un secondo blocco di modifiche riguarda le scadenze e gli obblighi di aggiornamento, che incidono in modo diretto sulla trasparenza delle attività di lobbying.

Un emendamento di Italia Viva ha reso meno stringente l’obbligo di rendicontare gli incontri tra lobbisti e politici. La versione originale della proposta di legge prevedeva un aggiornamento settimanale del registro, ora sostituito da una scadenza trimestrale. Parallelamente, un emendamento del centrodestra e uno del Partito Democratico hanno ridotto da due anni a un anno il periodo di attesa per la nuova iscrizione dopo una cancellazione, per esempio per mancato aggiornamento del registro.

Secondo Vivone, queste modifiche non indeboliscono il testo, perché si compensano. «La norma che prevede l’aggiornamento del registro ogni tre mesi è comunque più stringente rispetto alle regole attuali della Camera, che prevedono un aggiornamento annuale. Dall’altro lato, visto che l’aggiornamento dei registri diventa più stringente, è giusto dare più possibilità ai lobbisti cancellati di iscriversi», ha detto Vivone.

I dubbi delle opposizioni

Alla luce di queste novità, i partiti di opposizione hanno adottato una posizione articolata: pur riconoscendo la necessità di una legge sul lobbying, hanno evidenziato alcuni nodi ancora aperti. 

«La proposta è nata da un’indagine conoscitiva durata mesi e siamo convinti che il testo vada approvato per dare finalmente una regolazione a questo settore», ha detto a Pagella Politica la deputata del Partito Democratico Simona Bonafè, che ha seguito i lavori sul provvedimento in Commissione Affari costituzionali. «Allo stesso tempo, ci sono delle questioni per noi migliorabili e su cui nutriamo alcuni dubbi, come la scelta di affidare al CNEL il controllo sul registro dei lobbisti».

Non a caso, durante questa legislatura il Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, il Movimento 5 Stelle e Azione hanno presentato proposte alternative che prevedono un registro controllato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM). 

Il tema del soggetto che dovrà esercitare il controllo è stato uno dei più discussi anche durante l’indagine conoscitiva: alcuni esperti hanno suggerito di affidarlo direttamente al Parlamento, altri hanno considerato il CNEL un punto di intermediazione adeguato tra sindacati, datori di lavoro e realtà produttive.

Con il via libera agli emendamenti, il testo ora dovrà essere votato dall’aula della Camera e successivamente dal Senato. La proposta però non è stata inserita nel calendario dei lavori dell’aula per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio, circostanza che rende incerti i tempi della discussione finale.

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