Il 4 novembre 2019, la multinazionale dell’acciaio ArcelorMittal ha comunicato la volontà di recedere dal contratto di affitto dello stabilimento ex-Ilva di Taranto.
Negli ultimi giorni, si parla molto di una delle motivazioni con cui l’azienda ha giustificato la sua decisione: la rimozione da parte dell’esecutivo del cosiddetto “scudo penale”, introdotto per proteggere da eventuali accuse di reato gli amministratori dell’ex-Ilva nel loro percorso di messa a norma dell’acciaieria.
Nel 2012, lo Stato italiano ha infatti dichiarato l’ex-Ilva stabilimento di interesse strategico nazionale, avviando un percorso per regolarizzare un’acciaieria che da tempo si trovava – come lo è tutt’oggi – in una situazione irregolare, per mantenere attiva la produzione e salvaguardare i posti di lavoro coinvolti.
«Il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso», ha scritto ArcelorMittal in un comunicato stampa del 4 novembre giustificando la sua decisione di recesso.
Ma che cos’è questo “scudo” o immunità penale? È corretta chiamarla così? E che cosa vogliono i sindacati? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza, verificando cinque dichiarazioni di politici di vari schieramenti.
Che cosa hanno fatto Renzi e il Pd?
Carlo Calenda (Siamo Europei, 7 novembre): «Pensate a Renzi e il Pd che hanno votato per l’abolizione dello scudo che hanno messo loro»
Matteo Renzi (Italia Viva, 4 novembre): «Lo scudo penale è stato cancellato dall’esecutivo Lega-Cinque Stelle»
Partiamo dai fatti degli ultimi giorni: la ricostruzione dell’ex ministro dello Sviluppo è quella corretta.
Il 31 ottobre scorso, la Camera ha convertito definitivamente in legge il cosiddetto “decreto Salva imprese”, voluto dal precedente governo Lega-M5s e approvato con la fiducia dal Senato il 23 ottobre, con i sì del Pd e di Italia Viva di Matteo Renzi.
Prima di passare alla Camera, a Palazzo Madama il testo del decreto è stato modificato (sulla base di due emendamenti presentati dal M5s) con la soppressione dell’articolo 14, che aveva di fatto reintrodotto lo scudo penale, di cui tanto si parla e che analizzeremo meglio più avanti.
Come spiega un dossier del Senato, questo articolo aveva l’obiettivo di escludere «la responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente (e dei soggetti da questi delegati) dell’Ilva di Taranto in relazione alle condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale».
La storia dello “scudo” aveva avuto importanti precedenti sia durante il governo Lega-M5s che durante il governo Renzi. Durante lo scorso governo, il provvedimento era stato inserito nel “decreto Salva imprese” da Lega e M5s, dopo che il “decreto Crescita” (articolo 46) di luglio 2019 – dunque dello stesso governo – aveva di fatto depotenziato lo scudo penale in vigore all’epoca, attirando le minacce di ArcelorMittal di abbandonare l’Ilva a partire da settembre 2019.
Come riporta correttamente Calenda, il primo decreto che aveva introdotto l’immunità penale per i gestori dell’acciaieria di Taranto era stato approvato dal governo Renzi, con il decreto-legge n. 1 del 5 gennaio 2015 (art. 2, comma 6).
In breve: a ottobre 2019 Renzi e il Pd – a supporto del governo Conte II con il M5s – hanno votato a favore di un testo che sopprimeva la reintroduzione di un’immunità penale per ArcelorMittal, proposta negli ultimi giorni di governo da Lega e M5s, che a luglio 2019 avevano a loro volta depotenziato lo scudo introdotto nel 2015 proprio dal Pd e Renzi. Confusi? Come darvi torto.
È corretto parlare di immunità penale?
Alessia Morani (Partito democratico, 4 novembre): «…l’eliminazione della tutela legale (qualcuno la chiama impropriamente immunità penale)»
Secondo la sottosegretaria del Pd al Ministero dello Sviluppo economico, parlare di immunità penale è scorretto. È davvero così? Abbiamo verificato.
Vediamo meglio nel dettaglio che cos’è questo scudo, partendo da dove tutto è cominciato: il decreto del 2015.
Come spiega un dossier della Camera su questo testo, il decreto aveva introdotto «una presunzione di liceità delle condotte del commissario straordinario e dei funzionari da lui delegati, purché le condotte siano finalizzate a dare attuazione all’Aia e alle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità pubblica o amministrativa e siano osservate le disposizioni contenute nel Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria relativo allo stabilimento Ilva di Taranto».
In parole semplici, l’obiettivo di questa norma era proteggere gli amministratori dell’ex-Ilva dal rischio di essere coinvolti in cause legali per i problemi di sicurezza e ambientali creati dalle gestioni precedenti dell’acciaieria ed ereditati dalla gestione attuale.
Da un lato, è dunque vero che non si tratta di una vera e propria immunità penale, che protegge da qualsiasi tipo di reato, ma ci sono dei limiti (per questo motivo, secondo il Gip di Taranto, sarebbe più corretto parlare di “scriminanti speciali”, ossia di cause di esclusione del reato, piuttosto che di immunità in senso stretto).
Secondo il decreto del 2015, inoltre, non sono tutelati legalmente tutti i comportamenti, ma quelli messi in campo per attuare l’Aia e il cosiddetto “Piano ambientale”.
La sigla Aia sta per “Autorizzazione integrata ambientale”, un provvedimento con cui lo Stato autorizza l’utilizzo di un impianto. Nell’ottobre 2012 – anno del sequestro dell’ex Ilva – il Ministero dell’Ambiente aveva concluso il riesame dell’autorizzazione rilasciata all’acciaieria con un decreto nel 2011.
Il cosiddetto “Piano ambientale” fa invece riferimento al “Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria”, adottato con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri a marzo 2014. Questo piano prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell’Aia.
Ad oggi, la data di scadenza di questo piano è stata fissata al 23 agosto 2023.
Dall’altro lato, è anche vero – usando le parole di un dossier del Senato – che nella sostanza il decreto del 2015 ha riconosciuto ai commissari straordinari (e ai soggetti da questi funzionalmente delegati) una sorta di «immunità penale ed amministrativa» per le condotte poste in essere in attuazione del cosiddetto “Piano ambientale”. Parlare dunque di “scudo penale” è corretto, anche per le varie modifiche avvenute negli ultimi mesi.
L’articolo 46 del “decreto Crescita”, approvato da Lega-M5s, aveva depotenziato quanto previsto dal decreto del 2015, in due modi: limitava «dal punto di vista oggettivo l’esonero da responsabilità alle attività di esecuzione del “Piano ambientale” escludendo l’impunità per la violazione delle disposizioni a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro»; e individuava una data di scadenza: ovvero il 6 settembre 2019 (un anno esatto dopo l’accordo tra il governo Lega-M5s, ArcelorMittal e sindacati) «il termine ultimo di applicazione dell’esonero da responsabilità».
L’articolo 14 del “decreto Salva imprese” ha invece tentato – senza successo, come abbiamo visto – di reintrodurre una forma di scudo penale, con alcune differenze rispetto ai decreti precedenti.
L’esonero della responsabilità penale e amministrativa riguardava le condotte connesse all’attuazione del Piano ambientale (e non più dell’Aia); manteneva la scadenza dell’immunità penale del 6 settembre 2019 per i commissari straordinari, ma prorogava quella per gli acquirenti e affittuari (ArcelorMittal, insomma) alla scadenza delle prescrizioni del Piano ambientale; esplicitava che lo scudo penale non copriva comunque le violazioni di norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Le altre leggi tutelano già oggi i dirigenti ex-Ilva?
Barbara Lezzi (Movimento 5 stelle, 4 novembre): «L’articolo 51 del codice penale e il decreto 231 del 2001 sulla responsabilità degli amministratori tutelano anche quelli dell’ex-Ilva. Non si accampino pretesti sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini di Taranto»
L’ex ministra per il Sud è stata la prima firmataria di uno dei due emendamenti con cui il Senato ha soppresso la reintroduzione dello scudo penale con il “decreto Salva imprese”. Lezzi ha giustificato la sua posizione dicendo che le leggi vigenti già tutelano gli amministratori dell’ex-Ilva di Taranto.
Vediamo brevemente che cosa dicono i due riferimenti normativi citati da Lezzi.
Da un lato, l’articolo 51 del Codice penale stabilisce che «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità».
È un principio molto generale (e di buon senso) del nostro ordinamento. Per esempio, se un poliziotto ammanetta e porta in carcere un sospettato, non può essere accusato di sequestro di persona: sta esercitando un diritto conferitogli dalla legge.
In questo caso, Lezzi fa probabilmente riferimento al fatto che se gli amministratori dell’ex-Ilva rispetteranno quanto stabilito dal Piano ambientale – quindi un ordine legittimo della pubblica autorità – non rischieranno appunto di essere punibili per eventuali reati.
Dall’altro lato, il decreto legislativo n. 231 del 2001 ha introdotto la responsabilità delle aziende per reati commessi – o tentati – a vantaggio dell’azienda stessa da singole persone, come amministratori, dirigenti o dipendenti.
In altre parole, se un dipendente o un dirigente commette uno dei reati coperti dal decreto n. 231 (come, per esempio, quelli contro la salute e la sicurezza sul lavoro), non ha una responsabilità penale solo la persona fisica, ma anche l’azienda, che è così punibile dalla legge, con sanzioni di varia natura.
Il collegamento fatto da Lezzi tra il decreto n. 231 e lo scudo penale non è una novità: il decreto stesso del 2015 cita espressamente il decreto del 2001 sulla responsabilità delle aziende quando prova a definire i limiti di applicazione dell’immunità penale introdotta.
Bastano i due riferimenti normativi per dire che lo scudo è irrilevante, come dice Lezzi? Vista la complessità della materia, non è possibile a priori stabilire se l’ex ministra per il Sud abbia ragione: sarà eventualmente compito dei giudici verificare responsabilità e stabilire quali sono le norme da applicare.
Qual è la posizione di operai e sindacati?
Enrico Rossi (Partito democratico, 8 novembre): «Ripristinare subito lo scudo penale, come chiedono gli operai e il sindacato…»
Il 22 ottobre, fonti stampa hanno riportato le preoccupazioni dei tre sindacati maggiori dopo l’approvazione degli emendamenti che, al Senato, impedivano di fatto il ritorno dello scudo penale.
In un comunicato, Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm avevano criticato la scelta del governo, sostenendo che con il no a una nuova immunità penale ad ArcelorMittal ci si trovava di fronte «nella migliore delle ipotesi il rischio di una drastica riduzione dell’occupazione, nella peggiore il prologo ad un disimpegno a lasciare il nostro Paese».
«Quello che viene chiamato impropriamente scudo penale va ripristinato», ha detto il 10 novembre in un’intervista a La Repubblica Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. «Con lo strumento che il governo ritiene più opportuno. Anche per decreto se serve».
I sindacati più rappresentativi sembrano dunque essere compatti nel loro supporto a ripristinare l’immunità penale, come dice Rossi. E gli operai?
Il 3 novembre, fonti stampa hanno riportato i risultati di una consultazione dell’Unione sindacale di base (Usb) di Taranto, basata su un questionario anonimo, con sette quesiti, consegnato durante le assemblee dei lavoratori svolte nei giorni precedenti.
I voti ritenuti validi sono stati 1.254: «Per 1.211 lavoratori (96,6 per cento) – spiega Il Sole 24 Ore – non è giusto “garantire ad ArcelorMittal o ad altri lo scudo o l’immunità penale fino alla scadenza delle attività Aia”».
Una rilevazione di questo tipo – condotto da un sindacato non confederale – non basta però a riassumere la posizione della maggioranza dei dipendenti dell’ex-Ilva di Taranto, dal momento che il numero totale dei lavoratori impegnati nell’acciaieria è di oltre 8 mila (senza considerare l’indotto).
Giustizia
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