Davvero l’Italia sta guadagnando più di tutti dalle guerre?

Lo sostiene Europa Verde, sulla base di una stima fatta da un centro di ricerca svedese. I numeri, però, vanno letti con attenzione
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Il 12 marzo Europa Verde ha scritto su Facebook che «l’Italia è il Paese che sta guadagnando di più dalle guerre in corso». Questa affermazione sarebbe giustificata dal fatto che l’Italia «ha aumentato più di ogni altro Paese le sue esportazioni di armi: l’86 per cento tra il 2019 e il 2023», una statistica rilanciata sui social network anche da Sinistra Italiana, che insieme a Europa Verde compone il gruppo di Alleanza Verdi-Sinistra in Parlamento.

La dichiarazione pubblicata da Europa Verde è stata attribuita al portavoce del partito, Angelo Bonelli, e come fonte è stato citato il quotidiano il manifesto

Ma davvero il nostro Paese è quello che sta beneficiando più di tutti a livello economico dai conflitti nel mondo? Numeri alla mano, abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza. In breve: la dichiarazione rilanciata da Europa Verde rischia di essere fuorviante.

Che cosa calcola SIPRI

L’11 marzo è stato pubblicato il nuovo rapporto sul commercio di armamenti nel mondo, realizzato dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Nato nel 1966, SIPRI è un centro di ricerca indipendente che si occupa di studiare i conflitti nel mondo e i traffici di armamenti. I principali finanziatori di SIPRI sono il governo svedese e l’Unione europea, a cui si aggiungono altre istituzioni e governi nazionali.

Nel nuovo rapporto, SIPRI ha stimato come è cambiato il commercio di armamenti nel quinquennio 2019-2023 rispetto ai cinque anni precedenti, ossia al quinquennio 2014-2018. Questa stima viene fatta ogni anno: per esempio l’anno scorso SIPRI aveva considerato il periodo tra il 2018 e il 2022, mentre nel 2022 il periodo esaminato era quello tra il 2017 e il 2021. 

Qui va subito chiarita una cosa importante: per analizzare il commercio di armamenti nel mondo, SIPRI non prende in considerazione il valore economico delle importazioni e delle esportazioni di armi, ma usa un particolare indicatore, chiamato trend-indicator value (abbreviato con la sigla “TIV”). Questo indicatore, spiega SIPRI, è stato creato «per permettere il confronto tra le consegne di armi e per identificare tendenze generali». In questo modo, nelle intenzioni del centro di ricerca, si ha a disposizione «un sistema unico per misurare il volume dei trasferimenti internazionali delle principali armi convenzionali usando un’unità comune», il TIV appunto.

Il TIV si basa sui costi di produzione dei singoli armamenti, siano essi armi, munizioni, mezzi militari o missili, e non va confuso con il valore finanziario del trasferimento di armamenti. Per quantificare il valore in TIV degli armamenti, SIPRI prende in considerazione altri fattori oltre al costo di produzione, quando quest’ultimo non è noto.

Il database aggiornato di SIPRI (SIPRI Arms Transfers Database) contiene tutti i TIV degli armamenti consegnati nei vari Stati del mondo in un determinato periodo di tempo. L’obiettivo di questo database è individuare «tendenze nel flusso di armi verso particolari Paesi e regioni nel corso del tempo». «Le cifre TIV di SIPRI non rappresentano i prezzi di vendita per i trasferimenti di armi», spiega il centro di ricerca sul suo sito. «Pertanto non devono essere direttamente confrontate con il Prodotto interno lordo (PIL) di un Paese, la sua spesa militare, i valori di vendita o il valore finanziario delle licenze di esportazione nel tentativo di misurare l’onere economico delle importazioni di armi o i benefici economici delle esportazioni».

Che cosa dice SIPRI

SIPRI ha stimato che nel periodo tra il 2019 e il 2023 il volume di armi commerciate a livello internazionale, espresso in TIV, è leggermente calato rispetto ai cinque anni precedenti, registrando un -3,3 per cento. Questo calo è dovuto, tra le altre cose, al fatto che sono considerati il 2020 e il 2021, due anni segnati a livello internazionale dalla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19.

Per quanto riguarda le esportazioni di armi, tra il 2019 e il 2023 12 Paesi tra i primi 25 esportatori hanno visto aumentare le consegne di armamenti all’estero rispetto al periodo tra il 2014 e il 2018. Tra questi Paesi c’è l’Italia: il valore delle esportazioni di armamenti italiani, espresso in TIV, è aumentato dell’86 per cento nei cinque anni considerati rispetto ai cinque anni precedenti. Nello stesso periodo le esportazioni italiane sono passate dal rappresentare il 2,2 per cento di tutte le esportazioni mondiali al 4,3 per cento. I tre Paesi che hanno beneficiato di più delle consegne di armamenti italiani sono stati il Qatar (27 per cento sul totale delle esportazioni italiane), l’Egitto (21 per cento) e il Kuwait (13 per cento). 

Sulla base di questo +86 per cento, dire che l’Italia «è il Paese che sta guadagnando di più dalle guerre in corso» è fuorviante per almeno due motivi. In primo luogo, almeno cinque Paesi hanno registrato percentuali di crescita più alte dell’Italia: la Turchia, undicesimo esportatore al mondo, ha registrato un +106 per cento, il Belgio un +430 per cento, l’Australia un +88 per cento, l’Iran un +276 per cento e la Polonia addirittura un +1.138 per cento. In secondo luogo, come abbiamo detto prima, anche se le esportazioni italiane sono quasi raddoppiate (+86 per cento), questo non significa che siano quasi raddoppiati anche i guadagni per le aziende italiane che esportano armi nel mondo. I TIV, lo ribadiamo, non equivalgono al valore economico e finanziario degli armamenti esportati. Tra l’altro, va aggiunto che nelle esportazioni di armi SIPRI considera pure quelle “regalate” all’Ucraina, dopo l’invasione russa iniziata a febbraio 2022. Il 96 per cento degli armamenti esportati dalla Polonia è andato in Ucraina, questo spiegherebbe il forte aumento registrato dal Paese dell’Est Europa.

Che cosa dicono i dati del governo

Fino al 2022 abbiamo a disposizione i dati sul valore degli armamenti esportati dall’Italia che mostrano sì un aumento, ma non un raddoppio.

Ogni anno il governo deve presentare in Parlamento la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Il documento, lungo centinaia di pagine, spiega verso quali Paesi ha venduto armamenti l’Italia, quali sono le tipologie di armi più vendute e quali sono le principali aziende coinvolte in questo commercio.

La relazione più aggiornata è stata pubblicata a maggio 2023 e contiene i dati aggiornati al 2022. In quell’anno il valore complessivo delle autorizzazioni per esportare armamenti dall’Italia ha raggiunto un valore pari a quasi 5,3 miliardi di euro, in aumento rispetto ai circa 4,6 miliardi di euro annui registrati nel 2021 e nel 2020. Nel 2019 questa cifra aveva superato i 5,1 miliardi di euro. Secondo i dati più aggiornati, dunque, il valore delle esportazioni di armamenti verso l’estero da parte di aziende italiane è tornato ad aumentare, superando seppur di poco i livelli raggiunti prima della pandemia di Covid-19.

Se si va ancora indietro nel tempo, si scopre però che prima del 2019 i numeri erano superiori rispetto a quelli del 2022: nel 2018 le autorizzazioni a esportare avevano raggiunto i 5,3 miliardi di euro, nel 2017 oltre 10,3 miliardi, nel 2016 quasi 15 miliardi e nel 2015 oltre 8,2 miliardi. Il 2014 e il 2013 avevano registrato numeri sensibilmente più bassi, rispettivamente pari a 2,9 miliardi e a 2,1 miliardi. Nel 2013, spiega la relazione annuale dedicata a quell’anno, si era verificata «una flessione del settore della difesa a livello internazionale»: nel 2012 il valore delle autorizzazioni a esportare armamenti dall’Italia aveva infatti raggiunto i 4,2 miliardi.

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