Nell’ultimo periodo la destra italiana ha spesso criticato l’Unione europea accusandola di volerci imporre alimenti sintetici, modificati o decisamente stravaganti in sostituzione di ingredienti più tradizionali come il vino o il latte vaccino.
Il 10 maggio, per esempio, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha scritto su Twitter: «L’ultima follia dell’Europa: dopo gli insetti nel cibo e il vino diluito con acqua, arriva il latte sintetico creato in laboratorio con derivati di legumi». Commenti simili sono stati fatti anche dal sottosegretario per le Politiche agricole e alimentari Gian Marco Centinaio (Lega), il segretario della Lega Matteo Salvini, la senatrice Daniela Santanchè (Fratelli d’Italia) e diversi deputati e senatori appartenenti principalmente a partiti politici di destra. Segnaliamo comunque che anche politici di altri schieramenti, come Italia viva e Partito democratico, hanno parlato del tema, ma con toni meno accesi.
È un tema che ritorna ciclicamente nel dibattito italiano: ce ne siamo già occupati verificando notizie fuorvianti legate alla «carne finta» o, come vedremo, al vino presuntamente considerato «cancerogeno».
Ma che cosa c’è di vero, ora, in queste accuse e nelle notizie che collegano l’Unione europea al vino annacquato, agli insetti commestibili e al latte «finto» di origine vegetale? Abbiamo fatto il punto della situazione e molti post circolati sui social media raccontano una versione fuorviante della realtà. Vediamo meglio come stanno le cose.
Mangeremo gli insetti?
Un primo filone di disinformazione riguarda la notizia secondo cui l’Unione europea «vorrebbe» che noi ci cibassimo di insetti. Questa informazione è stata commentata anche dal sottosegretario Centinaio (Lega) che, ospite al Tg 2 il 5 maggio ha affermato (min. 00:30): «Se ho assaggiato le tarme della farine? Assolutamente no, ci mancherebbe altro».
Il tutto parte dalla decisione del Comitato europeo permanente su piante, animali e cibi – un gruppo interno alla Commissione europea composto da rappresentanti di tutti i Paesi membri – di approvare, in data 3 maggio 2021, un disegno di legge che autorizza la vendita di tarme della farina (il cui nome scientifico è Tenebrio molitor) come nuovo prodotto alimentare da consumarsi previa essiccazione come ingrediente o “snack”.
L’Unione europea considera le tarme della farina come un «nuovo alimento», categoria sotto la quale ricadono tutti i cibi che non erano consumati a livello significativo in Europa prima del 1997. Alcuni nuovi alimenti già approvati dalla Commissione europea sono per esempio i semi di chia, l’estratto di cacao a basso contenuto di grassi e l’estratto della corteccia di magnolia, spesso utilizzato in mentine o gomme da masticare.
Per poter ricevere l’approvazione finale le tarme hanno dovuto superare una rigida ispezione da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), in modo da assicurarsi che queste non pongano alcun rischio per la salute. ll 13 gennaio scorso l’Efsa ha pubblicato i risultati degli studi, affermando chiaramente che l’ingestione dell’insetto in questione non presenta rischi o particolari problemi, e che quindi questo può essere consumato dal «grande pubblico».
La Commissione europea approverà la misura a breve, rendendo ufficiale la qualifica delle tarme della farina come nuovo alimento e autorizzandone la vendita.
Se quindi i numerosi post di indignazione pubblicati sui social media hanno un fondo di verità, da qui al dire che l’Unione europea «vorrebbe» che noi ci cibassimo di insetti il passo è lungo.
Sebbene la vendita delle tarme sarà autorizzata, sul sito della Commissione europea si legge che «spetta completamente ai consumatori decidere se intendono o meno mangiare insetti». Nessuno, quindi, sarà obbligato a sostituire qualche alimento per far spazio alle tarme della farina. Inoltre, come per tutti i “nuovi alimenti”, l’eventuale presenza di tarme in qualsiasi prodotto alimentare dovrà essere indicata sull’etichetta.
La storia del vino annacquato
Una seconda notizia legata al rapporto tra cibo e Ue riguarda il vino. Secondo diversi politici italiani, infatti, Bruxelles vorrebbe farci bere vino diluito con acqua per «abbassarne il grado alcolico». Anche in questo caso l’informazione non è completamente inventata, ma la situazione è più complessa e non c’è ancora nulla di certo a riguardo.
La discussione sulle normative relative al trattamento e alla denominazione dei vini si muove nell’ambito della nuova Politica agricola comune (Pac), un insieme di norme che regolamentano le operazioni degli agricoltori in tutti i Paesi dell’Unione.
Tra il 2021 e il 2022 è in vigore un regolamento transitorio, in vista di un rinnovamento delle norme a partire dal 1 gennaio 2023. Sono quindi in corso i dialoghi e le contrattazioni per decidere il futuro delle politiche agricole europee che riguardano, tra molte altre cose, anche il mondo dei vini.
Tra i tanti argomenti interessati dal dibattito troviamo il nodo di quale definizione adottare per i vini che non contengono alcool (o ne contengono percentuali molto ridotte), e sulla possibilità di attribuire loro la Denominazione di origine controllata (Dop) o l’Indicazione geografica protetta (Igp).
Un cambiamento nelle norme riguardanti la definizione e lo status dei vini dealcolati rappresenta un’enorme possibilità per gli imprenditori interessati, che potrebbero così espandere il mercato anche nei Paesi dove il consumo di alcool è limitato o nullo, ad esempio nel mondo islamico.
Già nel 2018, però, i governi italiani e spagnoli sostenevano che l’introduzione di vini dealcolati, parzialmente dealcolati o di soluzioni ibride sarebbe «motivo di controversie» e «dovrebbe essere rivista».
Nel nostro Paese, in particolare, la proposta ha incontrato la ferma opposizione di Coldiretti – la principale associazione di rappresentanza per gli imprenditori agricoli – secondo cui in questo modo i consumatori si ritroverebbero «a pagare l’acqua come il vino». L’Unione italiana vini è invece parzialmente favorevole, principalmente per fare in modo che i vini dealcolati «rimangano all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli» e non vengano inglobati (e sfruttati) da altri settori produttivi.
Uno dei metodi più comuni per dealcolare il vino consiste proprio nella rimozione della parte alcolica tramite la filtrazione con l’acqua: da qui arriva la notizia strillata sui social media secondo cui l’Unione europea vorrebbe portarci a bere vino «annacquato».
L’affermazione è fuorviante: l’Unione europea non menziona direttamente l’acqua come metodo da utilizzare per la dealcolazione del vino, e sono attualmente in corso i negoziati per decidere come questi prodotti vitivinicoli a ridotto tasso alcolico dovranno essere denominati. Al momento quindi quindi non c’è nulla di confermato.
Inoltre, anche se l’Ue dovesse dichiararsi favorevole all’inclusione dei vini dealcolati tra i prodotti a cui è possibile attribuire le denominazioni Dop o Igp, l’ultima parola spetterebbe comunque ai singoli Stati. Lo ha spiegato a Repubblica Paolo De Castro (Partito Democratico), il coordinatore per l’agricoltura del gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo: «Ogni Stato avrà la possibilità di recepire questa opportunità o di scrivere una norma più restrittiva e in ogni caso la parola finale spetterà alle singole denominazioni e quindi ai consorzi».
In Italia, infatti, prima di arrivare alla Commissione europea le domande per ricevere una denominazione Dop o Igp devono essere valutate e approvate a livello regionale e nazionale.
Insomma, l’Unione europea non costringerà nessuno a bere vino annacquato.
Ricordiamo inoltre che il vino era finito al centro della polemica anche lo scorso febbraio, quando il leader della Lega Matteo Salvini aveva affermato che l’Unione europea intendeva «metterlo fuorilegge» perché considerato «pericoloso e cancerogeno». Il tema rientra nuovamente nella discussione in corso legata alla prossima Pac operativa dal 2023. In questo caso, la Commissione europea ha semplicemente proposto di introdurre l’obbligo di indicare gli ingredienti sulle confezioni di bevande alcoliche (tutte, non solo il vino) insieme a una tabella nutrizionale e, se necessario, etichette con avvertimenti per la salute. L’Ue non ha nessuna intenzione di bandire il vino, o di considerarlo come una bevanda potenzialmente pericolosa al pari delle sigarette.
E il latte «finto», cosa c’entra?
La notizia più recente entrata nel menu della disinformazione a tema Europa e tutela alimentare riguarda un «latte sintetico», ricavato dalla farina di piselli gialli, che è recentemente stato commercializzato dalla multinazionale svizzera Nestlé.
Iniziamo con il dire che la notizia in sé è vera: Nestlé ha ampliato la sua offerta di prodotti lanciando un nuovo brand, chiamato “Wunda”, di latti vegetali derivati dai piselli. In Europa, il prodotto è attualmente disponibile in Francia, Portogallo e Paesi Bassi.
Al contrario di quanto sostenuto in diversi post pubblicati principalmente da politici italiani di destra, però, l’Unione europea non ha avuto alcun ruolo particolare nella commercializzazione di Wunda.
Un’immagine diventata particolarmente popolare online – e condivisa anche da Giorgia Meloni e Daniela Santanché – afferma poi che questo nuovo latte vegetale «sarà premiato dal Nutri-score di Bruxelles che invece penalizza i prodotti italiani in quanto naturali».
Come abbiamo già spiegato, il cosiddetto “Nutri-score” consiste in un sistema di etichettatura frontale che riassume il contenuto nutrizionale di un prodotto confezionato attraverso una scala di cinque colori (dal verde al rosso) a cui corrispondono cinque lettere dell’alfabeto (dalla A alla E).
Il sistema è stato introdotto dalla Francia, che lo ha reso adottabile su base volontaria a partire dal 2017. Volontaria, appunto: Parigi non può obbligare gli altri Stati europei a utilizzare questa convenzione, e l’uso del Nutri-score rimane quindi puramente facoltativo.
I punteggi attribuiti ai diversi alimenti in base al sistema del Nutri-score sono disponibili sul sito Open Food Facts. Lì vediamo che, effettivamente, il nuovo latte vegetale Wunda ha ricevuto il “voto” massimo: A. Per fare un confronto, il latte vaccino ha ricevuto valutazioni tra A e B in base alla marca e alla tipologia. Valori simili anche per le bevande vegetali a base di mandorla, soia o riso, che in generale non sembrano particolarmente diverse dal latte di piselli.
Ancora una volta, però, questi punteggi non sono attribuiti dall’Unione europea ma vengono gestiti dall’Agenzia nazionale francese di salute pubblica. Inoltre, il Nutri-score non «penalizza i prodotti italiani in quanto naturali», ma si limita a valutare i valori degli alimenti in modo da rendere possibile un confronto immediato tra pietanze simili. Paragonare il punteggio ottenuto dal latte vegetale Wunda con i dati di un formaggio o di un insaccato italiano, quindi, non avrebbe senso.
In conclusione
Nel corso delle ultime settimane si è spesso sentito parlare di diversi alimenti stravaganti presuntamente approvati dall’Unione europea, dalle tarme della farina al vino annacquato, passando per il latte «finto». Abbiamo controllato e queste notizie distorcono la realtà.
Se infatti è vero che l’Unione europea, dopo i necessari accertamenti, ha approvato l’uso delle tarme della farina come “nuovo alimento” e ne autorizzerà la vendita, questo non obbliga nessuno ad acquistarle o consumarle. Le etichette saranno poi molto chiare in proposito.
La storia del «vino annacquato» invece rientra nelle negoziazioni per la nuova Politica agricola comune (Pac) che entrerà in vigore nel 2023. In questo contesto, le autorità europee e i singoli Paesi stanno discutendo sulla possibilità di attribuire le denominazioni Dop o Igp anche ai vini dealcolati, che potrebbero effettivamente avere una composizione diversa rispetto ai vini tradizionali.
Le contrattazioni sono ancora in corso, e al momento non c’è nulla di certo riguardo a come queste bevande verranno definite e alle norme relative alle etichette o alle pratiche necessarie per informare i consumatori della loro composizione. Inoltre, l’acqua non viene mai espressamente menzionata tra le pratiche da utilizzare per effettuare la dealcolazione. La confusione, quindi, si pone tra tra vino tradizionale e dealcolato, non «annacquato».
Infine, molti politici hanno sostenuto che l’Europa e la multinazionale Nestlé siano pronte a diffondere un «latte finto derivato dai legumi modificato in laboratorio». Si tratta in realtà di un latte vegetale recentemente commercializzato dalla compagnia svizzera in Francia, Portogallo e Paesi Bassi, che non ha nulla a che fare con le autorità di Bruxelles.
Inoltre, questo latte derivato dai legumi sembra non essere molto differente dalle altre bevande vegetali base di soia, riso, mandorla o avena che siamo ormai abituati a vedere in circolazione.
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