Come arrivare preparati alle elezioni negli Stati Uniti

Dalle regole agli orari dello scrutinio, abbiamo messo in fila le cose da sapere per chi vuole seguire la sfida tra Harris e Trump
EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH
EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH
Nella notte italiana tra martedì 5 e mercoledì 6 novembre inizierà lo spoglio dei voti per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. La candidata del Partito Democratico è l’attuale vicepresidente Kamala Harris, mentre il candidato del Partito Repubblicano è l’ex presidente Donald Trump. Chi vincerà le elezioni prenderà il posto di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti e rimarrà in carica per quattro anni. Insieme alle elezioni presidenziali, gli elettori statunitensi sono stati chiamati a votare anche per rinnovare i 435 seggi della Camera dei rappresentanti (l’equivalente della nostra Camera dei deputati) e 34 dei 100 seggi del Senato, oltre a molte elezioni locali.

Dal come si vota al funzionamento dello spoglio, abbiamo raccolto tutto quello che c’è da sapere per arrivare informati alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Come funzionano le elezioni

Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali non si vincono ottenendo la maggioranza dei voti a livello nazionale, ma ottenendo almeno 270 “grandi elettori” su 538. I “grandi elettori” sono persone delegate a eleggere il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti sulla base dei risultati delle elezioni. In altre parole, alle elezioni presidenziali i cittadini statunitensi, votando per il candidato presidente e per il candidato vicepresidente, eleggono i “grandi elettori” che poi eleggono il presidente dopo le elezioni. 

Ognuno dei 50 Stati che compongono gli Stati Uniti elegge un determinato numero di “grandi elettori”. Ma dato che molti dei 50 Stati che compongono il Paese sono a netta maggioranza democratica o repubblicana, a ogni tornata elettorale le elezioni sono decise da un singolo gruppo di Stati (chiamati swing states), i cui risultati sono considerati in bilico. Salvo poche eccezioni, il candidato che prende anche solo un voto in più del suo avversario si garantisce il sostegno di tutti i “grandi elettori” messi in palio da uno Stato.

In queste elezioni presidenziali gli swing states sono sette: il Michigan (che elegge 15 “grandi elettori”), il Wisconsin (10), la Pennsylvania (19), la Georgia (16), la Carolina del Nord (16), l’Arizona (11) e il Nevada (6). I primi tre sono Stati del Midwest, una regione nel Nord al confine con il Canada che negli ultimi anni si è spostata verso posizioni più vicine ai repubblicani. Georgia e Carolina del Nord si trovano sulla costa orientale, mentre Nevada e Arizona si trovano a Sud-Ovest. 

Dando per certa la vittoria negli Stati non in bilico, Harris può contare sul supporto di 226 “grandi elettori”, mentre Trump su quello di 219. La strada più semplice per Harris è vincere i tre Stati del Midwest che con i loro 44 voti le permetterebbero di arrivare esattamente ai 270 necessari per l’elezione. Per Trump l’obiettivo principale è vincere in Georgia, Carolina del Nord e Pennsylvania e arrivare così a 270. Come detto, non importa quale sarà il distacco tra i due candidati principali alla presidenza negli Stati in bilico: chi prende più voti in uno Stato ne prende anche tutti i “grandi elettori”.
Secondo i principali modelli che tentano di prevedere l’esito delle elezioni, la Pennsylvania sarà lo Stato in bilico decisivo per decidere il vincitore di queste elezioni presidenziali.

Che cosa dicono i sondaggi

I sondaggi più affidabili e aggiornati mostrano uno scenario di sostanziale parità nelle probabilità di vittoria tra Harris e Trump, in cui risulta quasi impossibile dire chi vincerà le elezioni. Le medie dei sondaggi nei sette Stati in bilico riportano un vantaggio massimo per Trump pari al 2,5 per cento, mentre quello per Harris è un po’ più basso, pari allo 0,8 per cento.

Secondo la media elaborata da FiveThirtyEight, uno dei più importanti aggregatori di sondaggi, Harris è avanti di 0,8 punti percentuali in Michigan e di 0,7 punti in Wisconsin. Trump è avanti invece di 0,2 punti in Pennsylvania, di 0,7 punti in Nevada, di 1,5 punti in Georgia, di 1,6 punti in North Carolina e di 2,6 in Arizona. La media di FiveThirtyEight è in linea con quelle calcolate dal giornalista e statistico Nate Silver e dal quotidiano New York Times.
Le differenze tra le varie medie sono dovute soprattutto a come sono pesati i singoli sondaggi nei modelli, ma tutti i dati sono compresi entro l’inevitabile margine di incertezza che ha ogni rilevazione statistica. Per essere sicuri di essere fuori dal margine di errore servirebbe avere vantaggi tra i 6 e i 7 punti, invece di pochi decimali. Sulla base di questi numeri, è dunque possibile che sia Harris sia Trump possano vincere in tutti e sette gli Stati in bilico.

Come funziona lo spoglio dei voti

Negli Stati Uniti lo scrutinio dei voti funziona diversamente rispetto all’Italia. Innanzitutto i seggi negli Stati Uniti non chiudono tutti insieme, ma ogni Stato ha regole diverse e anche all’interno dello stesso Stato le contee (l’equivalente delle province italiane) possono avere orari di chiusura diversi. Di norma, lo scrutinio dei voti procede velocemente in alcuni Stati, mentre in altri va più a rilento. Per esempio, in Arizona e Nevada in passato lo scrutinio ha richiesto alcuni giorni. Non esiste un ente centrale che mette insieme tutti i dati: questa attività è condotta principalmente da Edison Research e NORC/AP, due società che lavorano per i principali giornali e le principali emittenti televisive del Paese.

A mezzanotte i primi Stati a chiudere i seggi sono l’Indiana e metà del Kentucky, mentre gli ultimi sono Alaska e le Hawaii, che terminano il voto tra le sei e le sette del mattino. Gli Stati in bilico però chiuderanno durante la notte: all’una in Georgia, all’una e mezza in Carolina del Nord, alle due in Pennsylvania e Michigan, alle tre in Wisconsin e Arizona e alle quattro in Nevada. 

Lo scrutinio non è semplice da seguire perché arrivano prima i voti espressi via posta o in anticipo che tendono in maggioranza a essere per il Partito Democratico, e poi quelli espressi il 5 novembre, che di solito sono più per il Partito Repubblicano. Le contee rurali sono più veloci nello scrutinio, ma queste votano più per il Partito Repubblicano. Per questi motivi, non è raro che lo spoglio dei voti indichi risultati che poi, con il passare delle ore, cambiano completamente. 

Negli Stati Uniti non esistono gli exit poll per come li intendiamo noi: le rilevazioni all’uscita dai seggi vengono fatte, ma i risultati non sono diffusi e i media aspettano di avere i dati reali. Le emittenti televisive fanno poi delle proiezioni e quando sono certe che un candidato ha vinto le elezioni (o singoli Stati) fanno la cosiddetta “chiamata”, assegnandogli la vittoria. Oltre ai media televisivi, l’ente più importante ad assegnare le vittoria è l’agenzia di stampa Associated Press. Il sito del New York Times è uno di quelli che andranno monitorati perché hanno il cosiddetto “needle” (in italiano “ago”), una proiezione in tempo reale che si aggiorna continuamente per stimare le probabilità su chi vincerà le elezioni. 

Alle scorse elezioni presidenziali del 2020 sono serviti quattro giorni per capire chi avesse vinto ufficialmente tra Biden e Trump. La vittoria del candidato democratico è stata annunciata solo il sabato successivo al martedì di voto, perché lo scrutinio è andato a rilento e i margini di vantaggio sono stati minimi. Escludendo il caso del 2020 e quello del 2000, per cui servirono 34 giorni, dal 1960 in poi il vincitore delle elezioni è stato annunciato in media alle ore 6:50 italiane del mattino di mercoledì. Ma potrebbe servire anche più tempo nel caso in cui i margini di vantaggio di un candidato sull’altro dovessero essere minimi.

Le altre elezioni

Oltre alla presidenza, gli elettori statunitensi dovranno eleggere 435 deputati della Camera dei rappresentanti e 34 membri del Senato. Negli Stati Uniti, infatti, ogni due anni si rinnova tutta la Camera, mentre il mandato dei senatori dura sei anni, e a rotazione ogni due anni si elegge un terzo del Senato.

Il numero di deputati è proporzionale alla popolazione dello Stato che li elegge e ogni deputato è eletto in un distretto congressuale. I senatori sono due per Stato, indipendentemente dalla popolazione, e sono eletti da tutti gli elettori che vivono in quello Stato. Questo fa sì che, per esempio, la California con i suoi 39 milioni di abitanti esprima lo stesso numero di senatori del Wyoming, che ha poco più di mezzo milione di abitanti.

Negli Stati Uniti vige un bicameralismo simile a quello italiano e le leggi devono essere approvate da entrambe le camere, ma il Senato è più importante perché si occupa anche di confermare le scelte del presidente sui giudici federali, sui giudici della Corte Suprema, sulle nomine presidenziali per il governo e della ratifica dei trattati internazionali.

Secondo le previsioni degli esperti e dei modelli probabilistici, al Senato è molto probabile che i repubblicani avranno la maggioranza in quanto ci sono alcuni senatori democratici uscenti in Stati tendenzialmente repubblicani, e che quindi probabilmente perderanno. Va comunque considerato che al Senato, in una situazione di parità con 50 senatori democratici e 50 senatori repubblicani, è il partito del presidente ad avere la maggioranza in quanto il vicepresidente può votare per rompere la parità. Alla Camera, invece, la situazione è più in bilico e parte del risultato dipenderà anche da quello delle elezioni presidenziali: se Harris o Trump dovessero andare molto bene in alcuni Stati, è possibile che indirettamente aiuteranno i candidati del proprio partito a essere eletti. 

Avere una maggioranza in entrambe le camere è fondamentale per il presidente in quanto gli permette di far passare le sue proposte senza dover scendere a continui compromessi con l’altro partito.

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