È vero che il governo vuole modificare la legge 194 sull’aborto?

Un emendamento al decreto “Pnrr-quater” è stato criticato da Elly Schlein e da altri partiti dell’opposizione. Abbiamo fatto un po’ di chiarezza
ANSA/CIRO FUSCO
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Nella serata di lunedì 15 aprile la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato su Facebook il governo Meloni di voler «toccare» la legge n. 194 del 1978, che contiene le norme per la «tutela sociale della maternità» e sull’«interruzione volontaria della gravidanza». Secondo Schlein, questo dimostrerebbe che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni «mentiva» quando in campagna elettorale diceva che «non avrebbe toccato la 194». 

«È molto grave il blitz della destra in Parlamento con questo emendamento, che vuole fare entrare nei consultori associazioni antiabortiste, per incidere psicologicamente e in modo inaccettabile, violento sulle donne che cercano di avere accesso alla interruzione volontaria di gravidanza», ha scritto Schlein. Un’accusa simile è stata fatta anche da altri esponenti di partiti all’opposizione, tra cui il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

Il 16 aprile il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani (Forza Italia) ha dichiarato in una conferenza stampa che la legge non sarà cambiata, aggiungendo però che «non bisogna criminalizzare chi è contro l’aborto». Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia, ha detto che il governo non vuole cambiare la legge n. 194, «ma applicarla nella sua interezza».

Come stanno davvero le cose su questa vicenda? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

L’emendamento al decreto sul Pnrr

Il 12 aprile la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento al disegno di legge per la conversione in legge del decreto “Pnrr-quater”, che contiene una serie di misure per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È stato ribattezzato “quater” perché è il quarto decreto di questo tipo.

L’emendamento, presentato dal deputato di Fratelli d’Italia Lorenzo Malagola, chiedeva di inserire nel decreto il seguente articolo: «Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6, Componente 1, del Pnrr e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». 

La Missione 6 del Pnrr è quella che contiene i finanziamenti per la sanità, mentre la Componente 1 di questa missione raggruppa i progetti per l’assistenza sanitaria territoriale. I consultori, spiega il sito del Ministero della Salute, sono stati creati nel 1975 e «costituiscono un importante strumento per attuare gli interventi previsti a tutela della salute della donna, più globalmente intesa e considerata nell’arco dell’intera vita».

L’emendamento di Malagola è stato approvato e inserito nel disegno di legge all’articolo 44-quinquies. Nel pomeriggio di martedì 16 aprile l’aula della Camera ha approvato la questione di fiducia posta dal governo Meloni sul disegno di legge. Dopo l’approvazione del testo, attesa per giovedì 18 aprile, il provvedimento dovrà passare all’esame del Senato.

Le posizioni dei favorevoli e dei contrari

Secondo i contrari all’emendamento, la modifica del decreto-legge vuole favorire l’ingresso delle associazioni che si oppongono all’aborto nei consultori. Questa intenzione sarebbe contenuta nel riferimento ai «soggetti del Terzo settore», ossia agli enti privati senza scopo di lucro, che «hanno una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Questo inciso, in effetti piuttosto vago e generico, potrebbe comprendere anche le associazioni antiabortiste. Tra gli altri, la presidente di Azione Mara Carfagna si è chiesta chi valuterebbe «l’idoneità» di «questi soggetti privati» ritenuti esperti nel sostegno alla maternità, una questione in effetti non affrontata dall’emendamento.

Secondo i favorevoli, invece, l’emendamento si inserirebbe in quanto già previsto dalla legge 194 del 1978. L’articolo 2 stabilisce che i consultori familiari «assistono la donna in stato di gravidanza» in una serie di casi. La informano sui suoi diritti e «sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio» e sulle «modalità idonee» per il rispetto della legge. Attuano «direttamente o proponendo all’ente locale competente, o alle strutture sociali operanti nel territorio, speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi». Infine, contribuiscono «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». «I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita», prosegue l’articolo 2 della legge. Secondo i promotori dell’emendamento al decreto “Pnrr-quater”, il coinvolgimento delle realtà del Terzo settore con «una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità» rientrerebbe proprio in quest’ultima casistica. 

La possibilità che grazie all’emendamento possano accedere ai consultori associazioni antiabortiste è fondata se si vanno ad analizzare le idee promosse dal deputato di Fratelli d’Italia che ha presentato l’emendamento.

Il deputato che ha proposto l’emendamento

Malagola è deputato di Fratelli d’Italia dal 2022 ed è il direttore (in aspettativa) delle relazioni istituzionali di Nexi, società attiva nel settore dei pagamenti digitali. Dal 2014 al 2022 Malagola è stato segretario generale della Fondazione De Gasperi, che si definisce «un’istituzione culturale d’ispirazione cristiana». 

Sul sito ufficiale di Malagola c’è una sezione dedicata alla famiglia. «Riportiamo il tema della famiglia nell’agenda pubblica. Credere nella famiglia significa credere nella crescita, nello sviluppo e nel futuro del nostro Paese. La crisi demografica richiede misure strutturali: aiutare chi vuole fare famiglia, incentivare la natalità, tornare a credere nella sussidiarietà e nella libertà educativa», si legge nel sito del deputato di Fratelli d’Italia. «Le politiche familiari possono incidere sulla vita concreta di tanti italiani: una cultura amica della famiglia può creare un clima favorevole alla crescita delle comunità. Anche per questo ci opponiamo a chi diffonde la cultura dello scarto e l’ideologia “woke” minando le basi fiduciarie della nazione».

A settembre 2022, pochi giorni prima delle elezioni, Malagola aveva rilasciato un’intervista all’associazione antiabortista “Pro Vita & Famiglia”, con cui il deputato dice sul suo sito di avere «legami» e un’«amicizia operativa». «Fratelli d’Italia sarà impegnata in atti di governo concreto affinché nessuna donna scelga di abortire per cause economiche. Sarà nostro impegno sostenere i Centri di aiuto alla vita e tutte quelle forme di assistenza economica alle donne che si trovano di fronte a questa scelta», aveva dichiarato Malagola. I Centri di aiuto alla vita sono associazioni di volontari che vogliono aiutare le donne alle prese con una gravidanza difficile o indesiderata. Questi centri fanno parte del Movimento per la vita italiano, un’organizzazione di ispirazione cattolica che – spiega il suo sito – «ha l’obiettivo di difendere e promuovere il valore della vita umana “dal concepimento alla morte naturale”, senza eccezioni». Nel 1981 questo movimento ha sostenuto il referendum abrogativo con cui si chiedeva di eliminare proprio la legge n. 194. Al voto, a cui partecipò quasi l’80 per cento degli aventi diritto di voto, vinsero però ampiamente i No, con il 68 per cento. 

Il caso del Piemonte

Come abbiamo raccontato in passato, a ottobre 2022 la Regione Piemonte, guidata da una giunta di centrodestra, ha stanziato con una delibera 400 mila euro per «progetti presentati da enti del Terzo settore iscritti agli elenchi approvati dalle Asl» e volti a promuovere una serie di azioni, tra cui: «ascolto e consulenza attraverso la presenza nei presidi sanitari; supporto alle donne in attesa per accompagnarle in una scelta individuale consapevole; progetti di sostegno alle mamme sia di natura economica sia attraverso la fornitura di beni di prima necessità; percorsi di sostegno psicologico individuale e di gruppo e di accompagnamento di auto mutuo aiuto». Anche in quel caso c’erano state polemiche e i partiti di opposizione avevano accusato l’amministrazione regionale di stanziare soldi per convincere le donne a non abortire.

Lo scorso agosto il Movimento per la vita ha firmato una convenzione con l’Ospedale Sant’Anna di Torino per aprire «una stanza per ascoltare le mamme in attesa», spiega il sito dell’organizzazione. La finalità di questa convenzione è «fornire supporto e ascolto a donne gestanti che ne abbiano necessità, nell’ambito di un più generale percorso di sostegno durante e dopo la gravidanza alle donne che vivono il momento con difficoltà e che potrebbero quindi prendere in considerazione la scelta dell’interruzione di gravidanza o che addirittura si sentono costrette a ricorrervi per mancanza di aiuti».

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