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Legge 194

Durante la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 si è tornato a discutere del tema dell’aborto, e in particolare della legge n. 194 del 1978, che contiene le norme sulla «tutela sociale della maternità» e sull’«interruzione volontaria della gravidanza» (Ivg).

Tra 2021 e 2022 alcune regioni amministrate dal centrodestra hanno tentato di rendere meno agevole l’accesso all’aborto. È il caso, per esempio, dell’Umbria e delle Marche. Anche per questo, la coalizione di centrodestra è stata accusata di voler cambiare questa legge, ma sia la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sia il segretario della Lega Matteo Salvini hanno respinto questa ipotesi. Meloni, per esempio, ha più volte ripetuto che la legge 194 va applicata così com’è.

Uno degli elementi più discussi della legge 194 è la possibilità per i ginecologi di ricorrere all’obiezione di coscienza e di rifiutarsi di effettuare aborti, per esempio per motivi etici o religiosi. Il diritto all’aborto dovrebbe essere sempre garantito, ma di fatto l’alto tasso di obiettori complica per molte donne l’effettiva possibilità di accedere alla procedura. Nel 2020, il 64,6 per cento dei ginecologi era obiettore e in alcune regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, la quota superava l’80 per cento (per esempio in Abruzzo, Sicilia e Molise, ma anche nella provincia autonoma di Bolzano).  

La legge stabilisce che le strutture sanitarie debbano comunque «assicurare» la possibilità di abortire, ma questo non sempre accade: due anni fa, l’Ivg era praticata nel 63,8 per cento delle strutture autorizzate, anche in questo caso con differenze rilevanti nelle diverse regioni, dal 100 per cento della Valle d’Aosta al 28,6 per cento di Bolzano.
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