Il governo gonfia i benefici della flat tax sulle mance

Fratelli d’Italia e la ministra Santanchè dicono che la misura porta quasi mille euro ai lavoratori del turismo, ma questo numero è fuorviante
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Il 6 agosto, in una grafica pubblicata sui social network, Fratelli d’Italia ha scritto che «la mancia tassata al 5 per cento porta 943 euro a lavoratore». «Un piccolo ma importante obiettivo raggiunto», ha commentato il partito di Giorgia Meloni. «Le chiamano mance, ma la detassazione del 5 per cento ai lavoratori del turismo vale 943 euro annui. Purtroppo ancora pochi la applicano, si preferisce dar poco spazio al buon governo», ha scritto su X la ministra del Turismo Daniela Santanchè (su questa accusa torneremo più avanti).

A leggere questi annunci, sembra che quest’anno chi lavora nel settore del turismo incasserà quasi mille euro in più grazie a una misura introdotta dal governo Meloni. In realtà questo messaggio è fuorviante, per vari motivi.

Di che cosa stiamo parlando

La legge di Bilancio per il 2023, approvata dal Parlamento alla fine del 2022, ha introdotto una novità fiscale per le mance date dai clienti – anche attraverso i pagamenti elettronici – ai lavoratori nei settori della ristorazione e delle attività ricettive, come gli alberghi.

La legge di Bilancio ha stabilito che le mance, sebbene siano assimilabili al reddito da lavoro dipendente, possono essere sottoposte a un’unica imposta sostitutiva dell’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche), con un’aliquota pari al 5 per cento. In parole semplici, grazie alla legge di Bilancio per il 2023 chi lavora in ristoranti e strutture ricettive può pagare solo il 5 per cento di tasse sulle mance percepite. Per questo motivo, la misura è stata ribattezzata la “flat tax sulle mance”.

Questo regime di tassazione sostitutiva è applicabile nel rispetto di due condizioni: il reddito da lavoro dipendente di un lavoratore non deve superare i 50 mila euro nell’anno precedente e il valore complessivo delle mance percepite non deve superare il 25 per cento del reddito del lavoratore. 

In concreto, l’obiettivo dell’imposta sostitutiva introdotta l’anno scorso è ridurre il peso del fisco sulle mance. Nel 2021 infatti, accogliendo un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione ha stabilito che le mance devono essere tassate come reddito da lavoro. Ricordiamo che nel 2024 sono in vigore tre scaglioni di reddito per il pagamento dell’Irpef: nella fascia di reddito fino a 28 mila euro si applica un’aliquota del 23 per cento, tra 28 mila e 50 mila euro un’aliquota del 35 per cento, e oltre i 50 mila euro un’aliquota del 43 per cento. Dal 2025, se il governo Meloni non rinnoverà la misura introdotta temporaneamente per quest’anno, gli scaglioni torneranno a essere quattro.

I numeri

Come detto, secondo Fratelli d’Italia e il Ministero del Turismo «la mancia tassata al 5 per cento porta 943 euro a lavoratore». Ma dove viene questo numero? E come va letto correttamente? 

Il 5 agosto Il Sole 24 Ore ha pubblicato in un articolo i risultati di un’elaborazione commissionata dal quotidiano ai centri di assistenza fiscali “Caf Acli”. Sono stati analizzati 720 mila “modelli 730” di lavoratori dipendenti di tutti i settori, presentati quest’anno e relativi ai redditi dell’anno scorso. Il “modello 730”, lo ricordiamo, è il modello per la dichiarazione dei redditi dedicato ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Questa analisi, ha sottolineato l’articolo del Sole 24 Ore, è «la prima istantanea dell’utilizzo della tassazione agevolata del 5 per cento introdotta dalla legge di Bilancio per il 2023 sulle somme versate dai clienti».

I «943 euro» di cui parlano Fratelli d’Italia e il Ministero del Turismo fanno riferimento al valore delle mance dichiarate in media da chi nelle dichiarazioni dei redditi ha sfruttato la nuova misura introdotta dalla legge di Bilancio per il 2023. Ad agosto dello scorso anno l’Agenzia delle Entrate ha spiegato in una circolare come beneficiare della flat tax sulle mance e quale riga dedicata alla mance compilare nel 730. 

I 943 euro, dunque, non sono il beneficio netto percepito dai lavoratori che hanno beneficiato della flat tax sulle mance. Sui 943 euro dichiarati in media come mance, bisogna infatti applicare l’aliquota del 5 per cento: così l’imposta pagata si aggira intorno ai 47 euro, mentre il netto percepito è pari a 896 euro. Se la flat tax non fosse in vigore, ha spiegato Il Sole 24 Ore, un lavoratore «avrebbe ricevuto 200-300 euro in meno» a seconda del suo scaglione di reddito. In concreto, i benefici si aggirano intorno ai 200 euro, e non ai quasi mille euro rivendicati da Fratelli d’Italia e dal Ministero del Turismo. Tutto questo a patto che le mance percepite siano dichiarate al fisco.

Va comunque sottolineato che il campione su cui si basa l’analisi del Sole 24 Ore è limitato. «Fra le dichiarazioni analizzate dal Caf Acli, il rigo dedicato alle mance è compilato nello 0,33 per cento dei modelli», ha spiegato il quotidiano. Stiamo parlando quindi di circa 2.400 dichiarazioni dei redditi su 1,8 milioni di addetti nei settori ristorazione e attività ricettive. Non è detto che i «943 euro» dichiarati in media in mance restino gli stessi se fosse analizzato un campione più ampio di dichiarazioni.

In ogni caso, secondo Caf Acli, l’adozione dell’imposta sostitutiva tra tutti i lavoratori nel settore della ristorazione e delle attività ricettive è stata pari al 3,3 per cento, una percentuale limitata. In altre parole, poco più di tre lavoratori su cento nei settori interessati hanno sfruttato la nuova flat tax per pagare meno tasse sulle mance.

Sembra così discutibile l’accusa mossa da Santanchè, secondo cui – come abbiamo visto – «si preferisce dare poco spazio al buon governo». Al di là della legittima opinione della ministra sull’imposta sostitutiva, quest’anno la stragrande maggioranza dei lavoratori ha scelto di non adottarla, evidentemente per motivi validi secondo loro, e non per qualche complotto ai danni del governo.

A detta di alcuni rappresentati del settore intervistati da Il Sole 24 Ore, il punto è che serve ancora del tempo per far conoscere questa novità alle imprese e ai loro dipendenti. Non è da escludere però che molti lavoratori abbiano preferito percepire le mance “in nero”, senza dichiararle il fisco, per non pagarci sopra neppure il 5 per cento di imposta.

Ci sono infine aspetti tecnici da sistemare per aumentare la diffusione dell’imposta sostitutiva. «Non tutti i Pos sono stati adeguati per distinguere fra il pagamento del servizio e la mancia lasciata dal cliente. Questo è molto importante, per evitare che ci sia un disallineamento fra la ricevuta rilasciata al cliente e l’importo della transazione», ha spiegato Luciano Sbraga, direttore del centro studi e vicedirettore generale della Fipe, la federazione italiana pubblici esercizi.

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