Il 28 ottobre il deputato del Partito Democratico Arturo Scotto ha scritto su X che «il fallimento delle politiche sul lavoro di Giorgia Meloni sta in un dato solo: +80 per cento di contratti a termine nel 2024». «Insomma, cresce il lavoro precario, diminuisce quello stabile», ha aggiunto il capogruppo del PD nella Commissione Lavoro della Camera, citando come fonte l’INPS.
Fosse vero quello che scrive Scotto, vorrebbe dire che in un anno i contratti precari sono quasi raddoppiati. Ma i numeri dicono che ha torto.
Con tutta probabilità, Scotto ha fatto riferimento in modo scorretto a un dato specifico contenuto nel nuovo “Rendiconto sociale 2024” dell’INPS, presentato il giorno prima della sua dichiarazione, e rilanciato da alcuni giornali. Il “Rendiconto sociale” è un documento di analisi e trasparenza che riassume i risultati e le attività svolte dall’INPS in un anno, redatto dal Consiglio di indirizzo e vigilanza, l’organo di indirizzo strategico e di controllo dell’istituto, distinto dalla gestione amministrativa.
Per esempio, l’edizione cartacea di Repubblica del 28 ottobre titolava così un articolo nella sezione dedicata all’economia: «Più assunzioni ma per l’80 per cento sono a termine». Il testo specificava che «su 8,1 milioni di nuovi contratti, 6,5 milioni l’anno scorso erano a termine, pari all’80,4 per cento».
Dunque, già da queste parole si capisce che la percentuale dell’80 per cento non indica un aumento rispetto all’anno precedente, ma la quota di assunzioni a tempo determinato sul totale dei nuovi contratti registrati nel 2024, un dato che quindi descrive la composizione del mercato del lavoro, non la sua variazione.
La percentuale dell’80 per cento non è presente in modo esplicito dal “Rendiconto sociale” dell’INPS ma si ricava (pag. 44) dai dati sulle assunzioni avvenute nel 2024, divise per tipologia contrattuale. Su circa 8,1 milioni di assunzioni, quasi 1,6 milioni sono state a tempo indeterminato, quindi il 20 per cento. Il restante 80 per cento non è stato a tempo indeterminato. Qui dentro, però, rientrano quattro tipologie contrattuali: le assunzioni a tempo determinato (il 45 per cento sul totale); le assunzioni stagionali (13 per cento), cioè legate a lavori che si svolgono solo in determinati periodi dell’anno, come nel turismo o nell’agricoltura; le assunzioni in somministrazione (12 per cento), cioè effettuate tramite agenzie interinali che “prestano” i lavoratori alle imprese; e le assunzioni con contratto intermittente (10 per cento), cioè rapporti di lavoro discontinui, attivati solo quando il datore chiama il lavoratore.
Nel 2023 in totale le assunzioni erano state (pag. 43) circa 40 mila in più (-0,5 per cento). Quindi nel 2024 le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 6 per cento circa rispetto al 2023, mentre quelle a tempo determinato sono aumentate quasi dell’1 per cento, la stessa percentuale di crescita registrata nel complesso da tutte e quattro le tipologie di assunzioni non a tempo indeterminato.
In generale, nel 2023 le assunzioni a tempo indeterminato pesavano per circa il 21 per cento sul totale, un punto in più rispetto al 2024, anno in cui dunque non c’è stato un grande cambiamento.
Ricordiamo che qui stiamo parlando delle nuove assunzioni: dai dati appena visti, sarebbe scorretto pure sostenere che quasi otto lavoratori su dieci in Italia sono precari. Secondo i dati ISTAT più aggiornati, a settembre di quest’anno in Italia c’erano circa 19 milioni di occupati dipendenti, di cui il 13 per cento a termine. A ottobre 2022, questa percentuale era più alta, pari al 16,4 per cento. In valori assoluti, durante il governo Meloni gli occupati a termine sono calati da circa 3 milioni a quasi 2,5 milioni, mentre quelli a tempo indeterminato sono passati da 15,3 milioni a 16,5 milioni. Come abbiamo spiegato in altri articoli, questo aumento dell’occupazione era iniziato prima dell’insediamento di questo governo, ha interessato la maggior parte dei Paesi europei e soprattutto le fasce di lavoratori più anziani.
Fosse vero quello che scrive Scotto, vorrebbe dire che in un anno i contratti precari sono quasi raddoppiati. Ma i numeri dicono che ha torto.
Con tutta probabilità, Scotto ha fatto riferimento in modo scorretto a un dato specifico contenuto nel nuovo “Rendiconto sociale 2024” dell’INPS, presentato il giorno prima della sua dichiarazione, e rilanciato da alcuni giornali. Il “Rendiconto sociale” è un documento di analisi e trasparenza che riassume i risultati e le attività svolte dall’INPS in un anno, redatto dal Consiglio di indirizzo e vigilanza, l’organo di indirizzo strategico e di controllo dell’istituto, distinto dalla gestione amministrativa.
Per esempio, l’edizione cartacea di Repubblica del 28 ottobre titolava così un articolo nella sezione dedicata all’economia: «Più assunzioni ma per l’80 per cento sono a termine». Il testo specificava che «su 8,1 milioni di nuovi contratti, 6,5 milioni l’anno scorso erano a termine, pari all’80,4 per cento».
Dunque, già da queste parole si capisce che la percentuale dell’80 per cento non indica un aumento rispetto all’anno precedente, ma la quota di assunzioni a tempo determinato sul totale dei nuovi contratti registrati nel 2024, un dato che quindi descrive la composizione del mercato del lavoro, non la sua variazione.
La percentuale dell’80 per cento non è presente in modo esplicito dal “Rendiconto sociale” dell’INPS ma si ricava (pag. 44) dai dati sulle assunzioni avvenute nel 2024, divise per tipologia contrattuale. Su circa 8,1 milioni di assunzioni, quasi 1,6 milioni sono state a tempo indeterminato, quindi il 20 per cento. Il restante 80 per cento non è stato a tempo indeterminato. Qui dentro, però, rientrano quattro tipologie contrattuali: le assunzioni a tempo determinato (il 45 per cento sul totale); le assunzioni stagionali (13 per cento), cioè legate a lavori che si svolgono solo in determinati periodi dell’anno, come nel turismo o nell’agricoltura; le assunzioni in somministrazione (12 per cento), cioè effettuate tramite agenzie interinali che “prestano” i lavoratori alle imprese; e le assunzioni con contratto intermittente (10 per cento), cioè rapporti di lavoro discontinui, attivati solo quando il datore chiama il lavoratore.
Nel 2023 in totale le assunzioni erano state (pag. 43) circa 40 mila in più (-0,5 per cento). Quindi nel 2024 le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 6 per cento circa rispetto al 2023, mentre quelle a tempo determinato sono aumentate quasi dell’1 per cento, la stessa percentuale di crescita registrata nel complesso da tutte e quattro le tipologie di assunzioni non a tempo indeterminato.
In generale, nel 2023 le assunzioni a tempo indeterminato pesavano per circa il 21 per cento sul totale, un punto in più rispetto al 2024, anno in cui dunque non c’è stato un grande cambiamento.
Ricordiamo che qui stiamo parlando delle nuove assunzioni: dai dati appena visti, sarebbe scorretto pure sostenere che quasi otto lavoratori su dieci in Italia sono precari. Secondo i dati ISTAT più aggiornati, a settembre di quest’anno in Italia c’erano circa 19 milioni di occupati dipendenti, di cui il 13 per cento a termine. A ottobre 2022, questa percentuale era più alta, pari al 16,4 per cento. In valori assoluti, durante il governo Meloni gli occupati a termine sono calati da circa 3 milioni a quasi 2,5 milioni, mentre quelli a tempo indeterminato sono passati da 15,3 milioni a 16,5 milioni. Come abbiamo spiegato in altri articoli, questo aumento dell’occupazione era iniziato prima dell’insediamento di questo governo, ha interessato la maggior parte dei Paesi europei e soprattutto le fasce di lavoratori più anziani.