Perché ha poco senso citare Falcone e Borsellino sulla separazione delle carriere dei magistrati

Frasi attribuite ai due magistrati vengono spesso usate nel dibattito politico, ma il contesto dell’epoca le rende inaffidabili per valutare la riforma costituzionale
ANSA
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In queste settimane i sostenitori e i contrari alla riforma della separazione delle carriere dei magistrati sono tornati a citare alcune frasi – a volte autentiche, altre no – dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi dalla mafia nel 1992. Chi appoggia la riforma voluta dal governo Meloni vuole dimostrare che i due magistrati erano favorevoli a una distinzione più netta tra le carriere dei giudici e quelle dei pubblici ministeri. Al contrario, chi si oppone sostiene che Falcone e Borsellino non abbiano mai difeso questo principio, e che anzi fossero contrari a una netta separazione.

Questo uso contrapposto delle loro parole non è nuovo. Già nei mesi scorsi, durante il percorso parlamentare della riforma costituzionale, i partiti che sostengono il governo – come Forza Italia e Fratelli d’Italia – avevano pubblicato post sui social con frasi attribuite a Falcone. Di fronte a questa narrazione, vari esponenti dei partiti all’opposizione hanno reagito affermando che i due magistrati non avrebbero mai sostenuto la riforma.
Nel dibattito attuale, però, le posizioni di Falcone e Borsellino vengono spesso caricate di significati che non trovano riscontro nelle fonti disponibili. Come hanno confermato a Pagella Politica diversi esperti, le dichiarazioni autentiche dei due magistrati sono poche, appartengono a un contesto giudiziario molto diverso da quello odierno e non consentono di dedurre una posizione chiara sulla riforma proposta dal governo Meloni. Usarle per sostenere o contrastare la riforma finisce così per distorcere il loro pensiero, più che contribuire a chiarirne il contenuto.

Di che cosa stiamo parlando

Per orientarsi nel dibattito è utile ricordare che cosa prevede la riforma approvata in via definitiva dal Senato il 30 ottobre, che il prossimo anno sarà sottoposta a referendum confermativo.

Il testo stabilisce una separazione netta tra le carriere dei magistrati giudicanti e requirenti: all’inizio della carriera occorrerà scegliere se diventare giudice o pubblico ministero (pm), senza possibilità di cambiare ruolo, a differenza dell’attuale sistema che consente un passaggio nei primi dieci anni. I sostenitori ritengono che questa scelta rafforzi l’imparzialità dei giudici, mentre i critici temono un indebolimento dell’autonomia della magistratura.

La riforma ridisegna inoltre il modello di autogoverno della magistratura. Prevede la creazione di due Consigli superiori della magistratura (CSM) distinti – uno per giudici e uno per pm – entrambi presieduti dal presidente della Repubblica, con membri sorteggiati e non eletti. Infine introduce un’Alta Corte disciplinare indipendente per gestire i procedimenti disciplinari, sottraendoli all’attuale CSM. 

In questo contesto polarizzato, il ricorso alle parole di Falcone e Borsellino diventa un’arma retorica, ma proprio per questo richiede attenzione.

Interviste che non lo erano

Capire che cosa pensassero davvero Falcone e Borsellino non è semplice: le loro dichiarazioni più recenti risalgono a oltre trent’anni fa e non sempre le ricostruzioni circolate oggi sono attendibili.

Il 1° novembre, il Fatto Quotidiano ha pubblicato estratti di una presunta intervista di Falcone a la Repubblica datata 25 gennaio 1992, citati in tv il 4 novembre anche dal pm Nicola Gratteri, ospite a DiMartedì su LA7. «Una separazione delle carriere può andare bene se resta garantita l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero, ma temo che si voglia, attraverso questa separazione, subordinare la magistratura inquirente all’esecutivo. Questo è inaccettabile», ha detto Gratteri, citando le presunte parole di Falcone. Eppure quell’intervista, come hanno verificato Pagella Politica e prima ancora Il Dubbio, non è presente nell’archivio della Repubblica.
Lo stesso vale per la presunta intervista alla trasmissione televisiva Samarcanda del 23 maggio 1991 attribuita a Borsellino: abbiamo controllato e non esiste negli archivi RAI, e il magistrato non risulta essere mai ospite della trasmissione, come ha verificato Il Dubbio. In quell’occasione, Borsellino avrebbe detto che «separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura» e che «il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico». 

Il 13 novembre, il Fatto Quotidiano ha ammesso che quell’intervista di Borsellino non esiste, pur ribadendo che il magistrato si era espresso contro la separazione delle carriere in altre occasioni, come in un intervento durante un convegno tenuto l’11 dicembre 1987 a Marsala, in Sicilia. In un passaggio – consultabile in una raccolta di suoi scritti – il magistrato affermava: «Le ricorrenti tentazioni del potere politico, quali ne siano le motivazioni, di mortificare obiettivamente i magistrati del pm, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario, anche attraverso il primo passo della definitiva separazione delle carriere, non incoraggiano certo i giudici, che tali tutti sentono di essere, a indirizzare verso gli uffici di procura le loro aspirazioni».

Qui il contesto è fondamentale per capire le parole di Borsellino. Tra gli anni Ottanta e Novanta, la magistratura stava passando dal vecchio sistema inquisitorio al nuovo modello accusatorio, introdotto con il nuovo codice di procedura penale del 1988, promosso dall’allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli. «Fino a quel momento era ancora in vigore un sistema in parte inquisitorio, in cui il pubblico ministero effettivamente aveva un potere molto superiore rispetto alle parti. Fino ad allora, con il vecchio sistema il processo era di fatto squilibrato con un pubblico ministero con ampi poteri», ha spiegato a Pagella Politica Marco Fioravanti, docente di Storia del diritto all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. 

Le valutazioni di Borsellino riguardavano quindi soprattutto gli effetti immediati del nuovo codice, non una riforma costituzionale come quella varata oggi.

Frasi decontestualizzate

Per quanto riguarda Falcone, il quadro è altrettanto complesso. Pagella Politica ha verificato che il magistrato si espresse almeno una volta in modo rilevante sulla separazione delle funzioni, in un’intervista a la Repubblica del 3 ottobre 1991.

In quell’occasione, Falcone aveva detto che nel dibattimento il pm «non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice». Secondo Falcone, «contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm» sono di fatto «indistinguibili gli uni dagli altri». Al contrario, per Falcone giudice e pm dovevano essere «due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera». Aveva aggiunto, inoltre, che chiunque la pensava come lui veniva «bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo». 

Ma anche qui occorre prudenza a leggere nelle parole di Falcone un pieno sostegno alla separazione delle carriere dei magistrati, e oggi alla riforma costituzionale del governo Meloni. «La sua considerazione in quell’intervista era legata all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale», ha sottolineato Fioravanti.

«È una semplificazione prendere qualche frase decontestualizzata, per lo più di chi non è più tra noi e non può replicare, e cercare di utilizzarla a supporto del sì o del no», ha detto a Pagella Politica il professore Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale alla Statale di Milano e già consigliere dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia e vice presidente della Scuola Superiore della Magistratura. «Va tutto contestualizzato storicamente: trent’anni fa la stagione era diversa, il nuovo codice di procedura penale ispirato al modello accusatorio era appena stato adottato e per la prima volta le funzioni del giudice e del pm erano state separate, dando vita al pm come lo conosciamo oggi».

Secondo il professor Gatta, inoltre, usare Falcone per avvalorare o smentire la necessità della separazione ha poco senso perché alcune parti della riforma costituzionale non erano contemplate tra gli anni ‘80 e ‘90, cioè quando il magistrato era ancora in vita. «Il cuore della riforma costituzionale su cui andremo a votare con il referendum è la separazione del CSM perché la separazione delle carriere viene attuata creando un altro CSM per i pubblici ministeri. Su questo specifico tema Falcone non ha preso posizione», ha aggiunto Gatta. L’esperto ha quindi specificato che Falcone si era espresso solo sulla necessità di una «valorizzazione del pubblico ministero, nel senso della sua professionalità distinta da quella del giudice».

Pure in questo caso però è necessario contestualizzare. «Prima del 1988 c’era il giudice istruttore che era una figura di giudice e pm insieme, poi, con il nuovo codice di procedura penale, si è passati alla separazione di funzioni netta tra giudice e pubblico ministero. In quel periodo storico Falcone – in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata – valorizza quindi la necessità di specializzazione che deve avere il pubblico ministero», ha aggiunto Gatta.

«Già oggi, come si sa, sono pochissimi i passaggi di carriera da giudice a pm e viceversa, quindi di fatto chi inizia a fare il pubblico ministero poi si specializza sul campo continuando a fare il pm. E la Scuola Superiore della Magistratura – che non esisteva ai tempi di Falcone – organizza da tempo corsi di formazione riservati ai pubblici ministeri», ha spiegato il professore.

Il problema delle fonti

Oltre alle interviste, diverse forze politiche hanno diffuso materiali di provenienza incerta sulle posizioni dei due magistrati uccisi dalla mafia nel 1992 sulla separazione delle carriere dei magistrati.

Per esempio, a luglio Forza Italia ha pubblicato sui social un video – senza specificare la fonte – in cui si sente una voce che loro sostengono essere di Falcone. Nel video la voce dice: «Se sapremo dotarci di quel salto di qualità, senza del quale è impensabile che si possano ottenere risultati positivi. Saremo in presenza di una nettissima distinzione dell’azione rispetto alla giurisdizione. Il pubblico ministero non avrà più alcun potere giurisdizionale. A eccezione del potere di fermo, tutti gli altri poteri sono riservati al giudice terzo e imparziale».

Con tutta probabilità, l’audio è un estratto di una registrazione pubblicata da Il Giornale a giugno 2022, in occasione dei referendum abrogativi sulla giustizia. Anche in questo caso però non è possibile stabilire con certezza da dove provenga il materiale. Il Giornale aveva descritto quella registrazione come «una lezione straordinariamente attuale di Giovanni Falcone, che porta la data del marzo 1989, ritrovata dopo più di trent’anni». 

In ogni caso, pure queste parole di Falcone vanno contestualizzate. Se si ascolta l’audio completo, infatti, si comprende che il magistrato stava sempre commentando il nuovo codice di procedura penale, non sostenendo una riforma costituzionale delle carriere. «Più studio questo codice, più abbiamo modo di approfondire, per adesso a livello teorico, l’impostazione del nuovo codice, più mi rendo conto che senz’altro siamo di fronte a una svolta storica», dice Falcone all’inizio della registrazione. A seguire, il magistrato spiega in che cosa si sarebbe trattata questa «svolta» e che cosa avrebbe comportato per la magistratura, ossia per l’appunto «una nettissima distinzione dell’azione rispetto alla giurisdizione».

Le testimonianze dei colleghi

Il dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati non è nuovo: se ne parla da molti anni, sin dai tempi dei governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi.

Per esempio, ad agosto 2008 l’allora presidente del Consiglio aveva annunciato una riforma della giustizia per arrivare alla netta separazione delle carriere dei magistrati. Quella riforma non venne mai approvata, ma all’epoca Berlusconi affermò che il suo progetto sulla separazione delle carriere si ispirava alle idee di Falcone. «Si tratta di mettere in pratica molte delle idee di Giovanni Falcone: separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati, indirizzo dell’azione penale superando l’attuale ipocrisia della finta obbligatorietà, e criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati», aveva detto il leader di Forza Italia

All’epoca, diversi ex colleghi di Falcone smentirono che la separazione delle carriere voluta da Berlusconi si ispirasse alle idee del magistrato palermitano. «Bisogna storicizzare e contestualizzare quelle parole. Falcone parlava di separazione delle carriere in un contesto europeo, auspicava una separazione dei ruoli tra pm e giudici per difendere meglio il principio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura», aveva detto il 22 agosto 2008 in un’intervista con L’Unità Giuseppe Di Lello, ex magistrato e collega di Falcone del gruppo di magistrati antimafia di Palermo. 

In quegli anni si era espresso in modo simile anche l’ex magistrato Gerardo D’Ambrosio, che aveva definito le parole di Berlusconi su Falcone «stupidaggini inascoltabili». «Conoscevo Giovanni e con lui ho parlato tantissime volte dei problemi della giustizia. Lui aveva a cuore una cosa su tutte, e cioè l’indipendenza della magistratura. Non avrebbe mai messo la sua firma su un progetto che mette i pubblici ministeri sotto il controllo della politica», aveva detto D’Ambrosio in un’intervista con L’Unità.

Tiriamo le somme

Ricapitolando: Falcone e Borsellino si sono espressi, in epoche diverse, su temi che riguardano la questione della separazione delle carriere. Borsellino lo fece criticamente nel quadro della transizione dal vecchio codice di procedura penale al nuovo, mentre Falcone parlò della necessità di distinguere funzioni e professionalità tra giudici e pm, in un contesto di riforma processuale. Le loro parole, però, non riguardavano la riforma costituzionale odierna, né possono essere trasposte automaticamente nel dibattito attuale.

Come hanno ricordato diversi esperti, è fuorviante usare dichiarazioni decontestualizzate per legittimare o contestare la riforma voluta dal governo Meloni. Le considerazioni dei due magistrati nascevano da un sistema giudiziario e da un clima politico profondamente diversi da quelli odierni. Per questo attribuire loro un giudizio sull’attuale separazione delle carriere non è solo un errore storico: rischia di trasformare la memoria in un argomento di parte, perdendone il senso autentico.

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