Il 21 novembre, ospite a Piazzapulita su La7, il segretario del sindacato CGIL Maurizio Landini ha criticato (min. -1:51:07) il governo Meloni, sostenendo che dietro alla crescita del numero degli occupati ci sia in realtà un calo delle ore lavorate e una crescita del cosiddetto “part-time involontario”. In un altro fact-checking abbiamo spiegato che è scorretto sostenere che ci sia stato un calo generale delle ore lavorate, nonostante la crescita degli occupati. Ma che cosa ci dicono i numeri sugli occupati che affermano di avere un lavoro part-time (ossia a tempo parziale) perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno? Anche in questo caso, è scorretto dire che c’è stata una crescita degli occupati part-time involontari.
I dati Istat più aggiornati sul part-time involontario fanno riferimento al 2023 e sono contenuti nel “Rapporto sul Benessere equo e sostenibile” (BES), pubblicato ad aprile 2024. Lo scorso anno in Italia il 9,6 per cento di tutti gli occupati ha dichiarato di svolgere un lavoro a tempo parziale perché non ne aveva trovato uno a tempo pieno. Il 2023, ha sottolineato Istat nel suo rapporto, è stato «il quarto anno consecutivo» in cui si è registrato un «calo della quota di occupati in part-time involontario». Nel 2019 infatti la percentuale di part-time involontario era pari al 12,1 per cento, ed è poi costantemente scesa negli anni successivi.
I dati Istat più aggiornati sul part-time involontario fanno riferimento al 2023 e sono contenuti nel “Rapporto sul Benessere equo e sostenibile” (BES), pubblicato ad aprile 2024. Lo scorso anno in Italia il 9,6 per cento di tutti gli occupati ha dichiarato di svolgere un lavoro a tempo parziale perché non ne aveva trovato uno a tempo pieno. Il 2023, ha sottolineato Istat nel suo rapporto, è stato «il quarto anno consecutivo» in cui si è registrato un «calo della quota di occupati in part-time involontario». Nel 2019 infatti la percentuale di part-time involontario era pari al 12,1 per cento, ed è poi costantemente scesa negli anni successivi.