Il fact-checking dell’intervista con cui Calenda ha rotto con il Pd

Abbiamo verificato quattro dichiarazioni fatte a Mezz’ora in più dal leader di Azione, che in alcuni casi è stato impreciso
ANSA/CLAUDIO PERI
ANSA/CLAUDIO PERI
Il 7 agosto, in un’intervista a Mezz’ora in più su Rai3, il leader di Azione Carlo Calenda ha annunciato l’intenzione di uscire dalla coalizione di centrosinistra, a cui aveva aderito pochi giorni prima. Dalla sua carriera politica alla questione delle firme necessarie per la presentazione delle liste, abbiamo verificato quattro affermazioni del leader di Azione, che in alcuni casi è stato impreciso. 

Calenda è in politica da più tempo di quanto pensa

«Io ho deciso di fare politica dopo le elezioni dove il Pd aveva preso la quota più bassa in assoluto, nel 2018»

Questa dichiarazione va divisa in due parti, una delle quali è corretta mentre l’altra contiene alcune imprecisioni. 

Innanzitutto, è vero che il risultato del Partito democratico alle elezioni politiche del 2018 è stato il peggiore di sempre. Il Pd, nato nel 2007, ha partecipato a sei elezioni a livello nazionale: le politiche del 2008, 2013 e 2018 e le europee del 2009, 2014 e 2019. Solo alle politiche del 2018 il Pd è sceso sotto il 20 per cento, ottenendo il 18,72 per cento dei voti.

Calenda ha annunciato il suo ingresso nel Pd il 6 marzo 2018, due giorni dopo le elezioni in cui il partito ha preso «la quota più bassa in assoluto». Per l’attuale leader di Azione quella con il Pd non è stata però la prima esperienza politica: già alle elezioni del 2013 Calenda era stato candidato nella circoscrizione Lazio 1 con Scelta civica, il partito dell’ex presidente del Consiglio Mario Monti, risultando il primo dei non eletti. In seguito, il 2 maggio 2013 Calenda è stato nominato viceministro dello Sviluppo economico del governo Letta, incarico che gli venne confermato nel luglio 2014 anche dal successivo governo, quello guidato da Matteo Renzi. 

Nel 2016 gli è stato affidato il ruolo di Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea, un incarico che destò alcune polemiche, perché ritenuta una nomina politica in un ruolo di competenza diplomatica. Il 10 maggio 2016, Calenda è diventato ministro dello Sviluppo economico, carica che ha mantenuto anche nel successivo governo Gentiloni fino all’insediamento del governo Conte I a giugno 2018.

Dunque, essendo stato prima candidato, poi viceministro e infine anche ministro, non è vero che Calenda è entrato in politica solo nel 2018, con il suo ingresso nel Pd.

L’ignoranza in Italia

«Noi siamo oggi uno dei Paesi più ignoranti d’Europa, dove meno gente in assoluto frequenta musei ed eventi culturali»

Quello dell’ignoranza italiana è uno dei cavalli di battaglia di Calenda, che abbiamo già verificato diverse volte, per esempio nel suo ultimo libro (qui il nostro fact-checking) e in alcune interviste. Il concetto di “ignoranza” è piuttosto vago, ma considerando ambiti come la percezione più o meno distorta della realtà, l’analfabetismo funzionale e il livello medio di istruzione, è vero che l’Italia è messa peggio di quasi tutti gli altri Paesi europei.

Per quanto riguarda la partecipazione a eventi culturali e musei, Calenda è invece impreciso, anche se è vero che l’Italia non è messa bene in confronto agli altri 27 Stati membri dell’Ue. Nell’intervista del 7 agosto a Mezz’ora in più, il leader di Azione ha affermato che le attività culturali e i musei in Italia sono frequentati da «meno gente in assoluto». In questo caso, Calenda esagera un po’: secondo i dati Eurostat più aggiornati, pubblicati nel 2021, nel 2015 circa due terzi della popolazione dai 16 in su nell’Ue aveva dichiarato di aver partecipato nei 12 mesi precedenti ad attività culturali, per esempio visitando un museo, andando al teatro o al cinema. In Italia la percentuale era pari al 46,9 per cento, la quarta più bassa davanti a Croazia, Bulgaria e Romania.

Sinistra italiana e la sfiducia a Draghi

«Oggi io mi trovo di fianco a delle persone che hanno votato 54 volte la sfiducia a Draghi più dei 5 stelle»

Le persone a cui fa riferimento Calenda sono i parlamentari di Sinistra italiana ed Europa verde e, in particolare, il segretario di Si Nicola Fratoianni, che da deputato è sempre stato all’opposizione del governo Draghi. Nei 17 mesi in cui è stato in carica, il governo Draghi ha posto il voto sulla fiducia 55 volte tra Senato e Camera (la cinquantacinquesima è stata quella del 20 luglio al Senato, dopo la quale il presidente del Consiglio ha confermato le sue dimissioni), ma non è semplice stabilire quante volte gli appartenenti ai due partiti da poco alleati del Pd abbiano effettivamente partecipato a queste votazioni e votato la sfiducia al governo.

Durante i 17 mesi del governo Draghi diversi parlamentari sono entrati o hanno lasciato Sinistra italiana in seguito al mancato sostegno al governo, quindi non è facile capire se almeno un deputato e un senatore di Si abbiano votato contro il governo tutte le volte che è stata posta la fiducia.

Allo stesso modo, Europa verde è una formazione politica nata dopo l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi, e non ha avuto rappresentanti in Parlamento fino al gennaio 2022, quando tre deputati ex M5s sono entrati nel partito. Attualmente, i deputati della componente parlamentare Europa verde-Verdi europei, costituito l’11 febbraio 2022, sono cinque, tutti eletti tra le fila degli ex Movimento 5 stelle.

Per quanto riguarda Fratoianni, il segretario di Si, essendo un deputato, ha potuto partecipare a soltanto 26 dei 55 voti sulla fiducia richiesti dal governo (i restanti 29 sono stati posti al Senato). Abbiamo verificato l’esito di alcuni dei voti di fiducia e il segretario di Si a volte ha votato contro, a volte invece è risultato assente.

Azione dovrà raccogliere le firme per partecipare alle elezioni?

«Il ministero degli Interni non chiede al Parlamento [sulla questione firme] e il Parlamento non chiede al ministero, perché è la prima volta che succede»

Dopo la rottura dell’alleanza con il Pd, uno dei nodi da risolvere per Azione è quello della presentazione delle liste elettorali, per le quali non è chiaro se il partito debba o meno raccogliere le firme necessarie per presentare una lista autonoma (come accade per i diversi partiti nati durante la legislatura in corso). Se così dovesse essere, per riuscire a candidarsi con una propria lista in tutti i collegi, Azione dovrebbe raccogliere almeno 56.250 firme in meno di due settimane, entro il 22 agosto, data ultima per la presentazione delle liste. L’operazione non è semplice ed è resa ancora più difficile dal periodo estivo, durante il quale molta gente è in ferie.

Secondo alcune fonti stampa, Azione potrebbe essere esentata dall’obbligo perché alle elezioni europee del 2019 Calenda è stato eletto al Parlamento europeo con la lista “Pd-Siamo europei”.

In breve, la normativa in vigore prevede l’esonero dalla raccolta firme per alcuni partiti e gruppi politici che si sono presentati alle elezioni europee del 2019, ma non chiarisce se questi soggetti debbano essersi presentati con una lista autonoma o anche in una lista formata con altri partiti, come nel caso di “Siamo europei”. Su questa questione, Pagella Politica ha contattato l’ufficio stampa del Ministero dell’Interno, che per il momento ha preferito non esprimere un parere sulla vicenda.

In ogni caso, è vero che questa è la prima volta che si presenta una questione del genere, visto che l’attuale legge elettorale è stata applicata soltanto una volta, per le scorse elezioni di marzo 2018. Per evitare ogni dubbio, Calenda ha comunque annunciato l’inizio delle operazioni di raccolta firme.

In alternativa, Azione potrebbe formare un’unica lista con Italia viva che, avendo formato un gruppo parlamentare alla Camera prima del 31 dicembre 2019, è esonerata dall’obbligo di raccolta firme oppure potrebbe presentare le proprie liste solo in alcune zone d’Italia, quelle in cui riuscirà a raccogliere le firme necessarie. 

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