Il comune con più candidati che abitanti. E molti sono poliziotti

A Bisegna vivono poco più di 200 persone, ma alle comunali ci saranno 25 liste. C’entrano i permessi retribuiti per gli agenti delle forze dell’ordine
Una veduta di Bisegna – fonte: comune di Bisegna
Una veduta di Bisegna – fonte: comune di Bisegna
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Tra i 117 comuni dove si terranno le elezioni comunali il 25 e 26 maggio, ce n’è anche uno con poco più di 200 abitanti, ma con circa 340 elettori. Si tratta di Bisegna, un comune in provincia dell’Aquila, immerso tra le montagne del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

In vista del voto, sono state presentate 25 liste di candidati al consiglio comunale, come risulta dall’Albo pretorio consultabile sul sito ufficiale del comune. L’elenco completo dei candidati non è ancora disponibile, ma nei comuni con meno di tremila abitanti le liste devono contenere da un minimo di sette a un massimo di dieci candidati. Questo significa che alle prossime elezioni comunali a Bisegna potrebbero esserci fino a 250 candidati: più degli abitanti stessi.

La notizia non è passata inosservata: è stata rilanciata da alcune testate locali e dal Comitato Civico Cittadini e Territorio, un’associazione attiva nella zona. Silvano Di Pirro, uno dei suoi esponenti, ha espresso su Facebook «fortissime preoccupazioni» per l’anomala situazione. «Preoccupazione e senso di smarrimento sono i sentimenti prevalenti fra gli abitanti di Bisegna. Preoccupazione inerente alla difficoltà di esercitare il diritto democratico di voto, vista la chilometrica composizione della scheda elettorale», ha scritto Di Pirro.
Secondo varie fonti stampa, la presenza di così tante liste e candidati a Bisegna si spiegherebbe con la candidatura in massa di agenti delle forze dell’ordine non residenti nel comune. Tra le 25 liste, almeno venti sarebbero infatti composte in prevalenza da membri della polizia che hanno ben poco a che fare con il territorio.

Quello di Bisegna non è un caso isolato: da anni si registrano episodi simili in altri piccolissimi comuni, dove il numero di candidati supera di gran lunga quello degli abitanti. In molti di questi casi, i candidati provenivano dalle forze dell’ordine e spesso si sono dimessi subito dopo essere stati eletti.

Il fenomeno è favorito dalle regole elettorali che disciplinano la presentazione delle liste nei piccoli comuni. Per candidarsi come sindaco o consigliere comunale, infatti, non è necessario essere residenti nel comune in questione: chiunque può candidarsi in qualunque comune d’Italia, purché sia cittadino italiano e abbia almeno 18 anni. In ogni comune, inoltre, è obbligatorio raccogliere un certo numero di firme per presentare una lista, ma il numero varia a seconda della popolazione: per esempio, nei comuni con oltre un milione di abitanti servono da mille a 1.500 firme; in quelli tra 500 mila e un milione, da 500 a mille; e così via, con soglie più basse per i comuni più piccoli.

Nei comuni con meno di mille abitanti, come Bisegna, non è invece richiesto un numero minimo di firme. Questo permette la presentazione di liste composte da persone che non hanno alcun legame con il territorio.

Aspettative retribuite

La ragione per cui tra i candidati compaiono molti appartenenti alle forze dell’ordine è legata ai permessi elettorali previsti dalla legge italiana per il personale della polizia.

Secondo l’articolo 81 della legge che regola l’amministrazione della pubblica sicurezza, chi appartiene alle forze di polizia deve mantenere imparzialità, non può fare propaganda elettorale e non può candidarsi rimanendo in servizio. Se decide di candidarsi, deve mettersi in aspettativa: un periodo di assenza retribuita che consente di fare campagna elettorale, a partire dall’accettazione della candidatura fino al giorno del voto. Dopo le elezioni, l’agente non può prestare servizio nella circoscrizione dove si è candidato, e se il comune fa parte della zona in cui lavora, deve essere trasferito.

Negli anni, la combinazione tra aspettativa retribuita e assenza dell’obbligo di raccolta firme nei piccoli comuni ha spinto molti agenti a candidarsi solo per ottenere il permesso retribuito, generando anche inchieste. Nel 2020, per esempio, alcuni agenti del reparto mobile di Reggio Calabria si candidarono nel piccolo comune di Carbone (Potenza) e si dimisero subito dopo essere stati eletti, venendo poi sanzionati.

Nonostante il problema sia noto, nessuna norma è mai stata modificata per evitarlo. Dal 2014 a oggi, alcuni parlamentari hanno proposto leggi per limitare le candidature fittizie da parte di agenti, ma nessuna di queste è arrivata all’approvazione.

Un problema irrisolto

«L’intento originario di questa legislazione non è di per sé sbagliato, perché il principio era la promozione della partecipazione politica, soprattutto nei comuni più piccoli. Il problema è l’abuso che ne è stato fatto negli anni», ha raccontato a Pagella Politica Gianni Melilla, deputato di Sinistra Italiana e del Movimento Democratico e Progressista (MDP) tra il 2013 e il 2018. «Per questo io ho presentato diverse proposte di legge ed emendamenti per porre un limite e cambiare le norme sull’aspettativa elettorale degli agenti di polizia, ma non sono mai stato ascoltato da nessuno, né a sinistra né a destra». 

Nel 2014 Melilla presentò una proposta per abolire l’aspettativa retribuita per gli agenti candidati, sostituendola con un semplice permesso non retribuito. Ma il testo non è mai stato discusso in Parlamento.

Lo stesso destino è toccato alla proposta presentata nel 2020 dal deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin, che chiedeva di prevedere solo permessi non pagati. «Avevo presentato quella proposta dopo quello che era successo quell’anno a Posina, un piccolo comune in provincia di Vicenza, dove era stata creata una lista di persone che nulla c’entravano con il comune e che poi una volta elette si sono dimesse, creando non poche difficoltà al consiglio comunale», ha spiegato Zanettin, originario proprio del vicentino e parlamentare di lungo corso.

Nel settembre 2020, alle elezioni comunali di Posina (circa 500 abitanti), si era presentata una lista chiamata “L’altra Italia”, di destra e composta da candidati di origine foggiana. Nonostante sia arrivata ultima, la lista è riuscita comunque a eleggere in consiglio comunale la candidata sindaca, che si è dimessa subito per motivi personali. A catena si sono poi dimessi tutti gli altri candidati della lista. A ottobre di quell’anno l’allora sottosegretario al Ministero dell’Interno Achille Variati (Partito Democratico) rispose a un’interrogazione di Zanettin, chiarendo che nel caso di Posina non si trattava di agenti di polizia. Ma confermò le responsabilità della polizia nel caso di Carbone, in Basilicata.

Zanettin è convinto che sia giunto il momento di intervenire. «Penso che come maggioranza e governo troveremo un modo per intervenire per modificare la norma sulle aspettative retribuite della polizia in caso di elezioni. È una questione di etica pubblica», ha detto il senatore di Forza Italia, che a ottobre 2022 ha ripresentato il suo disegno di legge in Senato.

Per contro, i rappresentanti delle forze di polizia non sembrano del tutto convinti sulla necessità di cambiare le regole. «Il fatto di svolgere una funzione pubblica anche come amministratore è sempre importante e dobbiamo essere grati agli agenti di polizia che si spendono anche sul piano politico», ha detto a Pagella Politica Stefano Paoloni, segretario del Sindacato Autonomo di Polizia (SAP). «È chiaro che se qualcuno nella polizia sfrutta questa possibilità di candidarsi per finalità diverse, è certamente discutibile e deprecabile. Detto questo, non credo che ci sia la necessità di cambiare le regole sulle aspettative retribuite per le elezioni. E se ci sono da fare più controlli, ben vengano».

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