Il salario minimo danneggia il mercato del lavoro?

Se lo chiedono da decenni gli economisti: secondo gli studi più recenti, grandi impatti negativi non ci sono, anzi
ANSA/LUCA ZENNARO
ANSA/LUCA ZENNARO
Uno degli argomenti più usati da chi è contrario all’introduzione del salario minimo legale in Italia è quello secondo cui una soglia retributiva minima, fissata per legge, danneggerebbe il mercato del lavoro e l’economia. Secondo alcuni, un salario minimo per legge avrebbe effetti negativi sull’occupazione, perché se un’impresa è costretta ad assumere un lavoratore con l’obbligo di pagarlo con una retribuzione minima, il rischio è che aumenterebbero i costi per le aziende, incentivando la non assunzione di personale. Secondo altri, il salario minimo danneggerebbe la contrattazione collettiva nazionale, ossia gli accordi siglati tra i sindacati e i datori di lavoro, una posizione sostenuta, tra gli altri, anche dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta (Forza Italia). 

Al momento l’Italia è uno dei sei Paesi dell’Unione europea dove non è in vigore un salario minimo, che è presente anche nella maggioranza dei Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che raggruppa le principali nazioni sviluppate del mondo. E proprio i Paesi che hanno un salario minimo sono da anni oggetto di molti studi da parte degli economisti che si chiedono se questa misura danneggi davvero oppure no il mercato del lavoro. 

Che cosa dice la letteratura scientifica su questo tema? Tenendo sempre a mente che ogni Paese ha le sue peculiarità (per esempio l’Italia è tra quelli con una maggiore diffusione della contrattazione nazionale collettiva), possiamo comunque dire che gli studi principali e più aggiornati non suggeriscono effetti particolarmente dannosi del salario minimo sull’economia e sul mercato del lavoro.

Che cosa dicono gli studi sul salario minimo

La svolta nella ricerca sugli effetti del salario minimo è arrivata all’inizio degli anni Novanta, quando gli economisti David Card e Alan Krueger evidenziarono in uno studio che l’aumento del salario minimo per i lavoratori nella ristorazione del New Jersey non fece diminuire l’occupazione rispetto alla vicina Pennsylvania, dove l’aumento della retribuzione non c’era stato. Proprio grazie alle sue ricerche sugli impatti causali delle misure sul mercato del lavoro, nel 2021 Card ha vinto il premio Nobel per l’economia. 

Negli ultimi trent’anni la ricerca empirica sul salario minimo ha fatto grandi passi in avanti. Una delle fonti più autorevoli è un report, realizzato nel 2019 da Arindrajit Dube, economista, professore di economia alla University of Massachusetts Amherst e tra i massimi esperti al mondo di salario minimo. 

Nel rapporto, commissionatogli dal governo britannico, Dube ha analizzato la letteratura scientifica internazionale sugli impatti del salario minimo, da quelli sull’occupazione a quelli sull’economia. Nell’introduzione, l’economista ha subito sottolineato che «complessivamente le ricerche più aggiornate dagli Stati Uniti, Regno Unito e altri Paesi sviluppati mostrano un tenue impatto dei salari minimi sull’occupazione, mentre hanno fatto aumentare significativamente gli stipendi dei lavoratori pagati di meno».

Più nel dettaglio, il lavoro di Dube ha messo in fila una serie di studi: alcuni hanno evidenziato un impatto negativo del salario minimo sull’occupazione, altri un impatto positivo, altri ancora un impatto nullo. Facendo una media, si scopre che gli impatti analizzati dagli economisti sono tutti più o meno contenuti: dunque le evidenze empiriche, raccolte finora, non sembrano supportare le tesi secondo cui una retribuzione minima sia particolarmente dannosa per il mercato del lavoro.

Un caso molto citato negli ultimi giorni riguarda poi la Germania, dove di recente è stato deciso di aumentare il salario minimo a 12 euro l’ora. Il salario minimo era stato introdotto nel 2015, con una soglia di oltre 9 euro l’ora, per contrastare l’aumento del numero di contratti atipici, il calo costante del tasso di sindacalizzazione e la riduzione della copertura della contrattazione collettiva. Quali effetti ci sono stati con l’introduzione del salario minimo? Negativi o positivi? «Le ripercussioni sul mercato del lavoro tedesco sono state un generale aumento dell’occupazione, il tempestivo allineamento dei minimi contrattuali all’importo legale e la diminuzione del numero dei lavoratori facente parte di contratti atipici», ha sottolineato un dossier della Camera dei deputati italiana uscito nel 2021.

Ogni Paese fa storia a sé, ma, come mostra il caso tedesco, ci sono diverse prove in base alle quali possiamo dire che, in generale, il salario minimo grandi danni non ne ha fatti, anzi.

Il salario minimo fa male alla contrattazione collettiva?

Restano comunque legittime le posizioni di chi sostiene che l’Italia ha una copertura dei contratti nazionali (circa l’80 per cento dei lavoratori coinvolti) superiore a quella di molti altri Paesi europei, e che dunque l’introduzione di un salario minimo deve tenere conto di questo fattore, più di quanto avvenuto altrove. 

Qui le esperienze internazionali mostrano che la contrattazione e il salario minimo non si escludono per forza a vicenda: per esempio, Francia, Spagna e Paesi Bassi hanno alte coperture di contrattazioni collettive, e parallelamente hanno un salario minimo legale.

In ogni caso, sembra logicamente scorretto sostenere che il salario minimo possa contemporaneamente danneggiare la contrattazione collettiva e far aumentare i costi delle imprese. Se una retribuzione minima fissata per legge, più bassa di quella fissata dai contratti nazionali, dovesse spingere le aziende a uscire da questi contratti per pagare meno i lavoratori, allora i costi si abbasserebbero.

Al di là delle posizioni in campo, per superare il blocco che c’è attualmente sulle proposte all’esame del Parlamento, negli ultimi mesi alcuni esperti hanno suggerito delle alternative. A novembre 2021, un gruppo di esperti del Ministero del Lavoro, coordinato dall’economista Andrea Garnero e concentrato sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia, ha per esempio suggerito di introdurre, coinvolgendo le parti sociali, un salario minimo «soltanto in via sperimentale e limitatamente ad alcuni settori dove la situazione è particolarmente complessa ed esistono oggettive evidenze di fragilità dei lavoratori». Sulla scia di quanto fatto in Germania, secondo gli esperti del ministero, successivamente si potrà valutare empiricamente i risultati ottenuti, per capire se si tratta di una misura efficace oppure no.

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