Il decreto “Aiuti” cambia il reddito di cittadinanza, ma i tempi potrebbero essere lunghi

Il testo vuole aumentare il numero di beneficiari che accettano un’offerta di lavoro. I dettagli dovranno essere stabiliti dal Ministero del Lavoro, che è ancora in ritardo sulle novità contenute nell’ultima legge di Bilancio 
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 6 luglio il governo guidato da Mario Draghi ha posto alla Camera la questione di fiducia sulla conversione in legge del decreto “Aiuti”, approvato lo scorso maggio dal Consiglio dei ministri. In questo modo, i deputati non hanno potuto votare nuove modifiche al testo arrivato in aula, che tra le altre cose contiene alcune novità per il reddito di cittadinanza.

L’obiettivo del governo è quello di rendere più efficace il sussidio nell’incentivare i beneficiari a trovare un lavoro, ma ci sono dubbi sull’efficacia di questo intervento.

Che cosa cambia con il decreto “Aiuti”

Il decreto “Aiuti” prevede due novità per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, agli articoli 34 e 34-bis. 

Con uno stanziamento di 13 milioni di euro, il primo articolo stabilisce che l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), che coordina gli interventi per aiutare i disoccupati a trovare lavoro, debba rinnovare i contratti di circa 1.800 navigator, le figure assunte per seguire i percettori del reddito di cittadinanza nella ricerca di un’occupazione. Il rinnovo del contratto avrà una durata di due mesi, a partire dal 1° giugno, e potrà essere prorogabile al massimo per altri tre mesi. 

Il secondo articolo in questione, introdotto durante l’esame del decreto “Aiuti” nelle commissioni parlamentari, stabilisce che un datore di lavoro privato può fare un’offerta di lavoro direttamente ai beneficiari del reddito di cittadinanza, senza passare per i centri per l’impiego. L’offerta deve essere considerata “congrua”, una definizione che prende in considerazione diversi fattori, dal livello della paga ai tempi di trasporto necessari per raggiungere il luogo di lavoro.

Nel caso in cui il beneficiario rifiuti l’offerta di lavoro congrua, il datore di lavoro può comunicare la rinuncia ai centri per l’impiego. In questo modo il rifiuto sarebbe ufficialmente conteggiato e andrebbe a incidere sulla possibilità o meno del beneficiario di mantenere il sussidio. In base alla legge, infatti, un beneficiario perde il reddito di cittadinanza se non accetta almeno una tra due offerte di lavoro congrue ricevute o se rifiuta la prima offerta congrua ricevuta dopo aver beneficiato del reddito di cittadinanza per un periodo di 18 mesi.

Sull’efficacia di questa nuova misura non mancano i dubbi. Per esempio, il 7 luglio, in un articolo pubblicato su lavoce.info, Lucia Valente, professoressa di Diritto del lavoro alla Sapienza di Roma, si è per esempio chiesta «quale mai possa essere l’interesse del datore di lavoro privato a denunciare il rifiuto, dal momento che dalla denuncia possono derivargli solo adempimenti burocratici e obblighi di testimonianza».

In ogni caso, il decreto “Aiuti” ha tracciato solo un principio generale per modificare il funzionamento del reddito di cittadinanza: il testo stabilisce che sarà compito del Ministero del Lavoro adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della nuova legge, un decreto per definire «le modalità di comunicazione e di verifica della mancata accettazione dell’offerta congrua». Quanto fatto finora dal governo, però, mette in dubbio che questo provvedimento possa essere adottato in tempi brevi.

I ritardi sui decreti attuativi

In gergo tecnico, il decreto che dovrà approvare il Ministero del Lavoro è chiamato “decreto attuativo”: come suggerisce il nome, si tratta di un provvedimento che permette di concretizzare quanto stabilito da una legge. Per esempio, la legge di Bilancio per il 2022, approvata dal Parlamento alla fine dello scorso anno, contiene 151 decreti attuativi, di cui 89 sono stati finora approvati, secondo i dati dell’Ufficio per il programma di governo, un dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri. 

Tra i 62 decreti attuativi non ancora adottati, ce ne sono due che riguardano proprio il reddito di cittadinanza. L’ultima legge di Bilancio ha infatti introdotto, tra le altre cose, alcune novità per il sussidio, per esempio riducendo da tre a due il numero di offerte rifiutate per vedersi perdere l’assegno mensile. In più, la legge prevedeva che fossero introdotti maggiori controlli sui beneficiari, per evitare che chi non avesse diritto al sussidio lo percepisse indebitamente. 

Qui entrano in gioco due decreti attuativi, entrambi non ancora adottati dal Ministero del Lavoro nonostante siano passati oltre sei mesi. Il primo decreto, con scadenza a 60 giorni, riguarda l’approvazione di un piano di verifica dei requisiti patrimoniali dichiarati nella dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) ai fini del controllo dei requisiti per ricevere il reddito di cittadinanza. Il Dsu è un documento che contiene una serie di informazioni necessarie per descrivere la situazione economica del nucleo familiare. 

La legge di Bilancio ha inoltre stabilito che, con un secondo decreto attuativo del Ministero del Lavoro, le modalità di precompilazione della richiesta del reddito cittadinanza debbano tenere conto delle informazioni disponibili negli archivi dei comuni, che sono titolari dei dati per la verifica dei requisiti di residenza e di soggiorno. L’obiettivo era quello di ridurre il rischio che il sussidio possa finire a persone che non vivono in Italia.

Come abbiamo anticipato, al 7 luglio questi due decreti attuativi, pensati per rendere più efficiente il reddito di cittadinanza, non sono ancora stati adottati. Un destino simile potrebbe dunque toccare anche al decreto attuativo che il Ministero del Lavoro dovrà approvare sulla base di quanto stabilito dal decreto “Aiuti”.

In generale, secondo un’analisi pubblicata a fine maggio da Openpolis, fondazione che promuove maggiore trasparenza nella politica, il governo deve ancora pubblicare 510 decreti attuativi, accumulatisi nel tempo. 

Prima di concludere, ricordiamo che a novembre scorso un comitato di esperti, nominato dal Ministero del Lavoro, ha pubblicato un rapporto con dieci suggerimenti per migliorare il reddito di cittadinanza. Ad oggi questi consigli non sono stati seguiti dal governo.

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