Davvero Amato ha detto «fake news» sui referendum per cannabis ed eutanasia?

Ansa
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Il 15 e il 16 febbraio la Corte costituzionale ha giudicato inammissibili i due quesiti referendari sulle cosiddette “eutanasia legale” e “cannabis legale”. Al momento della pubblicazione di questo articolo, non sono ancora state pubblicate le sentenze, che saranno depositate nei prossimi giorni e che faranno chiarezza sulle motivazioni giuridiche delle decisioni della Consulta.

Ma in una conferenza stampa del 16 febbraio, il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ha anticipato alcuni degli elementi che hanno giustificato la scelta dei giudici. Il giorno dopo, durante una conferenza stampa dei comitati promotori dei referendum, il tesoriere dell’Associazione “Luca Coscioni”, Marco Cappato, ha accusato (min. 9:48) Amato di aver detto «cose non vere», «fake news» sui referendum.

Tra le altre cose, Cappato ha criticato alcuni esempi citati dal presidente della Corte costituzionale a sostegno delle scelte dei giudici. Vediamo meglio le due questioni su cui si sta parlando di più nelle ultime ore.

L’esempio poco azzeccato sull’eutanasia

Partiamo dal quesito sull’eutanasia legale. Secondo Amato, questo referendum avrebbe depenalizzato reati che vanno al di là, per esempio, del suicidio assistito di una persona malata terminale.

Tra i vari esempi citati, il presidente della Corte costituzionale ha fatto quello di un «ragazzo maggiorenne» che, «per una ragione qualunque, arriva a decidere che la vuole fare finita e che trova un altro ragazzo come lui», disposto a ucciderlo, «in una sera in cui hanno un po’ bevuto». Con queste parole Amato ha lasciato intendere che, a referendum approvato, il secondo ragazzo non sarebbe perseguibile dalla legge nel caso in cui uccidesse il primo. Secondo Cappato, si tratta (min. 15:45) di «un esempio falso che non corrisponde alla lettera del quesito». Chi ha ragione?

Il quesito referendario chiedeva di abrogare una parte dell’articolo 579 del Codice penale che punisce il reato di “omicidio del consenziente”. In particolare, il referendum voleva eliminare la pena dai 6 ai 15 anni di carcere per chi uccide una persona con il suo consenso.

Ci sono però alcune eccezioni. Il reato sarebbe comunque rimasto perseguibile se la persona uccisa è un minore, una persona «inferma di mente», oppure inferma «per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti», oppure infine una persona il cui consenso è stato estorto con le minacce o con la forza.

L’esempio di Amato non è molto chiaro – non si capisce bene se la decisione omicida venga presa dai due ipotetici ragazzi in preda all’ubriachezza – e proprio qui si inserisce la critica di Cappato: come abbiamo visto, infatti, in caso di persone sotto l’influsso di alcol o droghe il reato rimaneva punibile anche dopo la riformulazione dei promotori del referendum.

Dunque il caso ipotetico citato da Amato, se l’alcol fosse stato un fattore decisivo, rientra in realtà tra quelli che sarebbero rimasti puniti dall’articolo sull’omicidio del consenziente.

La confusione sulla cannabis

Passiamo adesso al quesito sulla cannabis. Secondo Cappato, il presidente della Corte costituzionale avrebbe detto (min. 17:00) il «falso», sostenendo che il referendum sulla cannabis legale riguardava in particolare le «droghe pesanti» e, paradossalmente, non la stessa cannabis. Qui le cose sono piuttosto complicate: proviamo a fare chiarezza con ordine.

La questione delle tabelle

In conferenza stampa Amato ha commentato in particolare il primo dei tre sottoquesiti di cui era composto il quesito referendario sulla cosiddetta “cannabis legale”, accusando i promotori di aver commesso un «errore».

In breve: secondo il presidente della Corte costituzionale, il referendum avrebbe depenalizzato, tra le altre cose, la coltivazione dell’oppio e delle foglie di coca, ma non la coltivazione della cannabis. È vero che il referendum riguardava anche la coltivazione di altre sostanze stupefacenti (obiettivo non tenuto nascosto dai promotori), oltre alla cannabis. Ma non è vero che la cannabis era esclusa dalla richiesta del referendum, come lasciato intendere da Amato.
Qui è necessario inoltrarsi nei commi della legge attuale. Il primo sottoquesito del referendum sulla cannabis legale chiedeva infatti di modificare il comma 1 dell’articolo 73 del “Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope”, la legislazione di riferimento sulle droghe in Italia. Questa legge è stata promulgata con il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 9 ottobre 1990 e poi modificata più volte da diversi interventi del Parlamento e sentenze della magistratura.

L’obiettivo del primo sottoquesito era quello di eliminare la parola «coltiva» dal comma 1. L’effetto sarebbe stato quello di depenalizzare la coltivazione – ma non la produzione, raffinazione, vendita e simili – delle sostanze stupefacenti elencate da quel comma. Di quali sostanze stiamo parlando? Davvero qui non rientra la cannabis, come dichiarato da Amato?

L’articolo 73, comma 1, da consultare non è quello che si trova al momento disponibile, per esempio, su Normattiva, una piattaforma che raccoglie i testi delle leggi del nostro Paese. Con una sentenza del 2014, la Corte costituzionale ha infatti dichiarato incostituzionale la modifica dell’articolo 73 introdotta nel 2006 dalla cosiddetta “legge Fini-Giovanardi”, riportando in vigore la formulazione precedente. In questa versione, si legge [1] che è punibile con il carcere chi coltiva le sostanze contenute nelle Tabelle I e III.

Secondo Amato, in queste due tabelle non sarebbe contenuta la cannabis. È vero: nelle due tabelle, previste [1] dall’articolo 14, in effetti il termine “cannabis” non compare, mentre è contenuto invece nella Tabella II, insieme ai suoi derivati.

Ma ci sono due osservazioni da fare, che rendono la questione più sottile e meno netta. La prima: nella Tabella I, oltre all’oppio, le foglie di coca e altre sostanze psicotrope, sono comunque contenuti [1] anche i tetraidrocannabinoli. Stiamo parlando di sostanze stupefacenti, come il Delta-8-trans-tetraidrocannabinolo e il Delta-9-trans-tetraidrocannabinolo (dette più comunemente “Thc”), ossia i principi attivi della cannabis.

Rimane il dubbio quanto da un punto di vista giuridico queste sostanze siano equiparabili o meno alla cannabis vera e propria, come contenuta nella Tabella II. Su questo punto aiuteranno a chiarire le sentenze scritte della Corte costituzionale. In ogni caso, subentra poi la seconda osservazione, che riguarda il secondo sottoquesito del referendum.

Che cosa c’entra il secondo sottoquesito

Questo chiedeva di eliminare dall’articolo 73, comma 4, del Testo unico sulle droghe (nella versione tornata [1] in vigore dopo la decisione della Corte costituzionale) le parole «la reclusione da due a 6 anni». Con questa pena si puniva chi commetteva i comportamenti previsti dal comma 1, ma relativamente alle tabelle II (quella con la cannabis) e la IV. Oltre al carcere, era prevista anche una multa.

Secondo la difesa data dai promotori del referendum, l’obiettivo del primo sottoquesito era quello di eliminare la parola «coltiva» dal comma 1 proprio per rendere efficace la richiesta contenuta nel secondo sottoquesito: quella di eliminare la pena del carcere per le condotte illecite relative alla cannabis. «Se non si fosse eliminato l’inciso “coltiva” dal comma 1, sarebbe rimasta la sanzione pecuniaria elevatissima prevista dal comma 4 per tutte le condotte legate alla cannabis», hanno scritto i promotori del referendum. «Mentre l’intento dei promotori era quello di decriminalizzare del tutto la coltivazione a uso personale».

Ricapitolando: Amato ha correttamente sottolineato che il quesito sulla cannabis legale riguardava anche la coltivazione di altre sostanze stupefacenti, ma non è vero che la cannabis c’entrava in minima parte con il referendum. Per di più questa cosa era già nota da tempo e difesa attivamente dai promotori.

Ribadiamo però che al momento, senza la pubblicazione completa delle sentenze, resta difficile analizzare più nel dettaglio le ragioni che hanno spinto la Corte costituzionale a giudicare inammissibili entrambi i quesiti.



[1] Selezionare in alto a sinistra, nel menù a tendina “vigente al”, la data anteriore alle modifiche introdotte nel 2006.

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