Il governo ha un alleato inaspettato nell’eliminazione del divieto della pubblicità di scommesse

Dopo una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, la misura introdotta dal decreto “Dignità” può essere disapplicata da ogni tribunale
ANSA
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Nelle scorse settimane è stata criticata da più parti la risoluzione, approvata in Commissione Cultura del Senato con i voti dei partiti di maggioranza, che impegna il governo Meloni a modificare il divieto di pubblicità delle scommesse e dei giochi d’azzardo, introdotto nel 2018. Secondo i partiti all’opposizione, l’eliminazione del divieto indebolirebbe il contrasto alla ludopatia.

Uno sviluppo degli ultimi giorni, però, potrebbe portare un alleato inaspettato a favore dell’eliminazione del divieto, difesa da vari esponenti del governo. Stiamo parlando della Corte di giustizia dell’Unione europea, criticata spesso in passato proprio dai partiti che ora sono al governo per alcune sue sentenze. 

In breve: una recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Ue ha ribadito alcuni paletti, trascurati negli ultimi anni, per le norme che vietino la pubblicità dei giochi d’azzardo nei Paesi Ue, e quindi anche in Italia, rafforzando la posizione di chi vuole modificare il divieto entrato in vigore sette anni fa (sebbene sia costantemente aggirato). 

Ma procediamo con ordine, vista la complessità della materia.

La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue

La Corte di giustizia dell’Ue è l’istituzione a cui è affidata la funzione giudiziaria all’interno dell’Unione europea. In estrema sintesi, il suo compito è garantire che il diritto dell’Ue sia interpretato e applicato correttamente da tutti gli Stati membri e dalle altre istituzioni europee.

Il 13 marzo la Corte ha pubblicato una sentenza sulla regolamentazione del gioco d’azzardo online, dopo che era stata chiamata a dirimere una controversia in Lituania tra una società di gioco d’azzardo online e l’autorità lituana di vigilanza del settore.

La questione centrale era se una norma nazionale che vieta di promuovere il gioco d’azzardo online tramite il sito dell’operatore debba essere considerata una “regola tecnica”. Secondo la direttiva europea n. 1535 del 2015, è “regola tecnica” ogni specificazione o requisito obbligatorio per i servizi della società dell’informazione, cioè servizi forniti dietro pagamento, a distanza, via internet e su richiesta individuale.

Se una regola tecnica può ostacolare il mercato interno europeo, lo Stato che la adotta deve notificarla alla Commissione europea e agli altri Stati membri seguendo la “procedura TRIS”. Dopo la notifica, l’iter di approvazione nazionale è sospeso per tre mesi. Se emergono problemi di compatibilità con le norme europee sul mercato unico, la Commissione e gli altri Stati inviano un “parere circostanziato” e la sospensione può essere estesa a quattro mesi. Lo Stato interessato deve rispondere, indicando eventuali modifiche per adeguarsi.

Con la sentenza del 13 marzo, la Corte ha stabilito che una norma che vieta la pubblicità del gioco d’azzardo online è una “regola tecnica” e va quindi notificata alla Commissione Ue prima della sua approvazione.

La decisione è vincolante per tutti i giudici dell’Ue e ha un peso rilevante, considerando che nel 2017 la Commissione aveva deciso di non intervenire più sulle violazioni delle norme europee in tema di gioco d’azzardo.

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Che cosa aveva deciso la Commissione Ue

Nel 2014, con una raccomandazione, la Commissione Ue aveva indicato una serie di principi per proteggere i consumatori, in particolare i minori. Tra le altre cose, si affermava che la pubblicità non dovrebbe incentivare il gioco, per esempio con messaggi ingannevoli sulle probabilità di vincita o che presentino il gioco come soluzione a problemi economici.

Nel 2016 la European Gaming and Betting Association (EGBA), che rappresenta a livello europeo gli operatori del settore dei giochi e delle scommesse, aveva presentato una denuncia scritta alla Commissione Ue, lamentando l’incapacità di quest’ultima di assicurare che il quadro normativo dei giochi online di alcuni Stati membri rispettasse i principi del diritto europeo, in particolare la direttiva sulla procedura TRIS.

Nel 2017 la Commissione ha deciso di chiudere le sue procedure di infrazione nel settore, lasciando la gestione alle autorità nazionali. Questa decisione era anche legata al fatto che la Corte di giustizia dell’Ue aveva più volte riconosciuto il diritto degli Stati a imporre limiti per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei minori e la prevenzione della ludopatia.

Nel 2021 il commissario europeo per il Mercato interno e i Servizi Thierry Breton ha respinto la richiesta di 14 autorità di regolamentazione europee per il ripristino di un gruppo di esperti, il cui mandato era scaduto nel 2018, per concordare regole e standard comuni sul gioco d’azzardo. Nel 2024 Breton ha risposto ancora negativamente a un’interrogazione che chiedeva, tra l’altro, l’elaborazione di una regolamentazione europea del gioco d’azzardo, ribadendo che questa non era una priorità europea.
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Le regole in Italia

L’attuale divieto in vigore in Italia di pubblicizzare i giochi con vincite in denaro ha una storia iniziata oltre dieci anni fa.

Nel 2012 il cosiddetto “decreto Balduzzi” – da Renato Balduzzi, ministro della Salute del governo Monti – ha introdotto alcuni divieti per i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro. Negli anni successivi sono state introdotte altre limitazioni, fino ad arrivare al decreto “Dignità”, approvato nel 2018 durante il primo governo di Giuseppe Conte, supportato da Movimento 5 Stelle e Lega. È stato questo decreto a sancire il divieto assoluto per la pubblicità di giochi e scommesse, incluse le sponsorizzazioni. 

In particolare, l’articolo 9 del decreto “Dignità” vieta «qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media». 

Dal divieto sono escluse le lotterie nazionali a estrazione differita, le lotterie e le tombole organizzate a livello locale per beneficenza, e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Successivamente è stata esclusa dal divieto anche la “lotteria degli scontrini”, e nel 2019 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha pubblicato le linee guida da seguire per rispettare il divieto imposto l’anno prima.

Sin dalla sua introduzione, il decreto “Dignità” era sembrato in contrasto con la procedura TRIS prevista dall’Ue, dato che il governo italiano non aveva notificato la nuova misura alla Commissione Ue. Con tutta probabilità, la notifica non era stata fatta perché – come abbiamo visto – nel 2017 la Commissione Ue aveva fatto un passo indietro in materia di giochi e scommesse a favore delle giurisdizioni nazionali. Altri Stati Ue hanno comunque continuato a notificare all’Ue progetti di normative tecniche. 

In ogni caso, i giudici vanno oltre le decisioni politiche della Commissione Ue e applicano il diritto europeo, come ha dimostrato non solo la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Ue sul caso lituano, ma anche quelle di altri tribunali. L’ultimo provvedimento del governo Meloni che ha esteso fino a giugno 2027 il termine entro cui svolgere le gare per le concessioni balneari, infatti, è stato disapplicato dai giudici del Tribunale amministrativo regionale (TAR) della Liguria perché in contrasto con le norme europee, nonostante sulla proroga ci sia stato un accordo tra il governo italiano e la Commissione Ue.

L’intervento del Consiglio di Stato

Ricostruito quanto avvenuto finora anche a livello nazionale, presto la Corte di giustizia dell’Ue potrebbe pronunciarsi in senso analogo al caso lituano anche per una controversia italiana.

Il 7 marzo il Consiglio di Stato – il secondo e ultimo grado di giudizio nella giustizia amministrativa italiana – ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Ue di esprimersi sulla legittimità del divieto di pubblicizzare il gioco d’azzardo e le scommesse con vincite di denaro, perché in contrasto con la direttiva europea del 2015.

La questione nasce dal ricorso presentato da una società di gioco online contro una sentenza del TAR del Lazio che nel 2023 ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui l’AGCOM aveva dato alla società una multa da 50 mila euro per la diffusione di spot pubblicitari su giochi con vincite in denaro, violando il decreto “Dignità”. Secondo il TAR, il divieto non è soggetto all’obbligo di notifica alla Commissione Ue dal momento che non costituisce una “regola relativa ai servizi”. Il divieto, secondo i giudici del tribunale amministrativo, ha una portata generale e opera indipendentemente dal mezzo pubblicitario usato, non riguardando specificamente i servizi della società dell’informazione, ma vietando qualsiasi forma di pubblicità del gioco d’azzardo. Per questo motivo, il decreto “Dignità” non sarebbe incompatibile con il diritto dell’Ue.

Il Consiglio di Stato non ha accolto questa impostazione e, dati i dubbi interpretativi, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Ue se il divieto generalizzato di pubblicità del gioco d’azzardo rientri nell’ambito di applicazione della direttiva sulla procedura TRIS; se la normativa italiana debba essere considerata una “regola tecnica” ai sensi della stessa direttiva e se, in questo caso, l’Italia avrebbe dovuto notificarla preventivamente alla Commissione Ue prima dell’approvazione. 

La sentenza emessa sul caso lituano lascia immaginare la risposta che sarà fornita dalla Corte di giustizia dell’Ue per quello italiano, con conseguenze rilevanti per il settore.

La risoluzione del Senato

Come abbiamo anticipato, il 5 marzo la Commissione Cultura e Istruzione del Senato ha approvato una risoluzione che impegna il governo a intervenire sui giochi e sulle scommesse nel settore sportivo con vincite in denaro.

La risoluzione non prevede l’eliminazione del relativo divieto di pubblicità, ma la valutazione da parte del governo della «opportunità di destinare una quota annuale dei proventi derivanti da giochi sullo sport e scommesse sportive agli organizzatori degli eventi sui quali si scommette», ossia alle società sportive e agli organizzatori dei campionati di calcio. 

Più nello specifico, la risoluzione contempla la possibilità per il governo di destinare almeno l’1 per cento dei ricavi frutto delle scommesse sportive «a un fondo destinato alla costruzione di nuovi stadi e per l’ammodernamento di quelli vecchi». In più, dà la possibilità di riconoscere «un’ulteriore quota» per il finanziamento di specifici progetti sociali e sportivi e di formazione dei giovani all’interno delle società sportive, a patto che siano «in favore dei settori giovanili, dell’impiantistica sportiva, nonché del calcio femminile», del contrasto alla ludopatia e dei fenomeni di abuso, violenza e discriminazione nei confronti di atlete e atleti.

Entro sei mesi dall’approvazione della risoluzione, il governo dovrà inviare alle commissioni parlamentari competenti una relazione per dare conto delle iniziative legislative e dei provvedimenti per attuare gli impegni contenuti nella risoluzione stessa. 

L’intervento da parte del governo sulla normativa in tema di giochi e scommesse potrebbe essere l’occasione per adeguarsi a quanto previsto dalla direttiva europea del 2015. Anche perché, dopo la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, il divieto di pubblicità previsto dal decreto “Dignità” può essere disapplicato da ogni tribunale.

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