Perché in Italia la polizia non ha i codici identificativi

Se ne parla da più di vent’anni, ma le numerose proposte presentate in Parlamento non hanno ottenuto finora risultati 
Ansa
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In questi giorni, dopo che alcuni agenti della polizia hanno caricato giovani manifestanti durante due cortei pro Palestina a Pisa e a Firenze, si è tornati a parlare della possibilità di introdurre i codici per identificare i membri delle forze dell’ordine quando sono in servizio.

Da almeno vent’anni questa proposta divide i partiti e il dibattito pubblico. Semplificando, da un lato c’è chi sostiene – tra cui vari partiti di centrosinistra e sinistra – che i codici identificativi siano necessari per evitare comportamenti violenti della polizia. Dall’altro lato c’è chi si oppone a questo strumento, come i principali partiti di destra e centrodestra, dicendo che potrebbe addirittura mettere a rischio le stesse forze dell’ordine. 

Nelle scorse legislatura, e anche in quella attuale, in Parlamento sono state presentate varie proposte di legge su questo tema, che non hanno ottenuto finora risultati concreti. 

Le regole in vigore

Al momento in Italia gli agenti di polizia devono identificarsi soltanto quando sono “in borghese”, ossia in abiti civili. La legge obbliga i poliziotti a portare con sé la tessera di riconoscimento sia in uniforme che “in borghese”, ma non a esibirla. Solo nel caso di servizio “in borghese”, appunto, i poliziotti devono portare «sull’abito in modo visibile una placca di riconoscimento». Gli agenti “in borghese” sono figure diverse dagli agenti “sotto copertura”. Questi ultimi sono agenti che si infiltrano in attività criminali, come per esempio il traffico di droga, e lo fanno con documenti diversi dai propri, la cosiddetta “identità di copertura”. 

Il regolamento dell’Arma dei carabinieri impone ai carabinieri di portare con sé la tessera di riconoscimento nel caso di servizi svolti “in borghese”, insieme all’autorizzazione a usare l’abito civile.

Le richieste dell’Europa

Da tempo vari organismi internazionali hanno chiesto agli Stati di introdurre regole per identificare facilmente le forze dell’ordine durante le manifestazioni pubbliche. Questa richiesta si è fatta più forte dopo il G8 di Genova del 2001 e le violenze delle forze dell’ordine alla caserma Bolzaneto, definite come atti di tortura da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel 2017 ha condannato l’Italia.

Il 19 settembre 2001 il Consiglio d’Europa (che, ricordiamo, non è un’istituzione dell’Ue e non va confuso con il Consiglio dell’Ue e il Consiglio europeo) ha approvato con un raccomandazione il “Codice etico europeo di Polizia”. Questo documento invitava gli Stati membri a far sì che, nel corso di manifestazioni pubbliche, ciascun agente di polizia fosse riconoscibile e identificabile. Dieci anni dopo, il 12 novembre 2012, il Parlamento europeo ha esortato con una risoluzione gli Stati Ue a introdurre il numero identificativo per le forze dell’ordine. 

Entrambe queste raccomandazioni non sono vincolanti: l’Italia non ha quindi un obbligo specifico di introdurre i codici identificativi per le forze dell’ordine. 

In altri Paesi il quadro è vario. Per esempio in Francia la polizia deve portare sulla divisa un codice ben visibile, mentre nel Regno Unito gli agenti non hanno sulla divisa un codice, ma devono portare con sé un distintivo, da mostrare in caso in cui siano in borghese.   

Le proposte in Parlamento

Le proposte di legge per introdurre i codici di identificazione presentate finora in Parlamento non hanno avuto grande fortuna.

Una delle prime proposte era stata presentata alla Camera a settembre 2001 da Elettra Deiana, Giuliano Pisapia e Graziella Mascia, all’epoca deputati di Rifondazione comunista. Questa proposta chiedeva l’introduzione di una «sigla univoca» in entrambi i lati e nella parte posteriore del casco di poliziotti e carabinieri in servizio di ordine pubblico. L’esame di questa proposta di legge si era poi bloccato a maggio 2002, quando la Commissione Affari costituzionali ne respinse il testo. 

Le proposte sul tema si sono succedute di legislatura in legislatura e anche in quella attuale, sei parlamentari hanno presentato altrettanti disegni di legge per chiedere l’identificazione delle forze dell’ordine. Le proposte sono piuttosto simili tra loro. Tra queste, tre sono state depositate il 13 ottobre 2022, primo giorno dell’attuale legislatura: una è stata presentata dal segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, una dal segretario di Più Europa Riccardo Magi e una dal deputato del Partito Democratico Matteo Orfini. La proposta di Fratoianni non è stata assegnata a nessuna commissione parlamentare e il testo non è disponibile, mentre quelle di Magi e Orfini, assegnate alla Commissione Affari costituzionali della Camera, chiedono di introdurre sul casco e sulla divisa delle forze dell’ordine in servizio «un codice alfanumerico» visibile almeno a «15 metri», che renda possibile «l’immediata identificazione dell’operatore che lo indossa». 

«È ormai non procrastinabile la previsione di misure che consentano l’identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, anche perché episodi di uso ingiustificato della forza, come accaduto in passato, possono innescare pericolose generalizzazioni, specie se si riscontrano difficoltà rispetto all’accertamento delle responsabilità e delle relative sanzioni», si legge nell’introduzione della proposta di legge di Più Europa. 

Dopo l’avvio della legislatura si sono aggiunte altre tre proposte di legge simili: una presentata da quattro senatori di Alleanza Verdi-Sinistra, una da tre senatori del Partito Democratico, e una dalla deputata del PD Laura Boldrini. Anche per queste proposte di legge l’esame del testo non è iniziato.

I contrari ai codici

Uno dei motivi per cui finora non sono stati introdotti i codici identificativi per le forze dell’ordine è la contrarietà dei sindacati di polizia. 

Più volte in questi anni le principali sigle sindacali del settore – tra cui il Sindacato italiano unitario lavoratori polizia (Siulp), il Sindacato autonomo di polizia (Sap) e Federazione sindacale di polizia (Fsp) – si sono schierate contro i codici identificativi sulle divise e sui caschi della polizia. Secondo i contrari, questa iniziativa è ingiusta e pericolosa, perché renderebbe riconoscibili ai criminali i componenti delle forze dell’ordine. In breve, i sindacati vedono il codice identificativo come una sorta di attestazione di sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine, che contribuirebbe a colpevolizzare e criminalizzare la categoria agli occhi dei cittadini e delle istituzioni.
Immagine 1. Immagine presa da una nota pubblicata sul sito del Sindacato autonomo di polizia (Sap) - Fonte: Sap
Immagine 1. Immagine presa da una nota pubblicata sul sito del Sindacato autonomo di polizia (Sap) - Fonte: Sap
Sul piano politico le istanze dei sindacati di polizia sono state supportate dai partiti di destra e centrodestra. Per esempio, dopo i fatti avvenuti a Firenze e Pisa, il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri ha dichiarato che «i codici identificativi non ci saranno mai: servirebbero solo per false denunce». In questi anni Fratelli d’Italia si è detta contraria ai codici identificativi per le forze dell’ordine, definiti «una forma di schedatura». Una posizione simile è stata espressa dalla Lega.
Negli scorsi giorni un’apertura sui codici identificativi è stata avanzata dal segretario generale del sindacato di polizia Siulp, Felice Romano. Il 25 febbraio, in un’intervista a la Repubblica, Romano ha detto che il suo sindacato è favorevole agli identificativi «per mettere tutti alla pari» (tre anni fa però lo stesso Romano la pensava diversamente). I sindacati di polizia sono invece più favorevoli all’uso delle cosiddette bodycam, che lo stesso Romano ha detto di invocare «da dieci anni su tutte le uniformi». 

Le bodycam

L’introduzione delle bodycam è richiesta dalla proposta di legge presentata alla Camera da Orfini e dai due disegni di legge presentati al Senato. I testi chiedono l’impiego da parte delle forze dell’ordine di microtelecamere da apporre sulle divise per «l’eventuale ripresa di quanto avviene in situazione di criticità per l’ordine pubblico». Nello specifico questi dispositivi andrebbero attivati nei momenti di maggiore pericolo e le loro registrazioni sarebbero conservate in un server apposito e cancellate nel caso non siano oggetto di indagine. 

A oggi le bodycam sono già a disposizione delle forze dell’ordine. La possibilità di usare questi strumenti è stata autorizzata a gennaio 2022 dal Ministero dell’Interno attraverso una circolare. Il ministero ha disposto la fornitura ai reparti mobili della polizia e ai battaglioni dei carabinieri di 949 bodycam (700 per la polizia e 249 per i carabinieri). Secondo quanto comunicato nel documento, le microtelecamere devono essere montate sulla divisa all’altezza del petto e le registrazioni devono essere conservate per sei mesi, salvo che non siano oggetto di indagini. 

Secondo Orfini e gli altri parlamentari che hanno presentato proposte di legge sul tema, al momento l’uso delle bodycam da parte delle forze dell’ordine sarebbe ancora arbitrario ed è per questo che sarebbe necessaria l’approvazione di una legge nazionale. 

A ottobre 2023, pochi giorni dopo che a Torino una manifestazione di studenti contro il governo Meloni era stata caricata dalla polizia, durante un question time la senatrice di Alleanza Verdi-Sinistra Ilaria Cucchi aveva chiesto al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi se non ritenesse ormai «indifferibile l’introduzione di una norma che imponga l’adozione di codici identificativi e bodycam» per le forze di polizia in servizio. In quell’occasione Piantedosi aveva risposto che i nomi del funzionario di pubblica sicurezza e quelli dei singoli membri delle forze dell’ordine impiegati nei servizi d’ordine delle manifestazioni sono sempre pubblicati nelle ordinanze del questore e che le bodycam sono state introdotte già a gennaio 2022. 

Anche se i nomi dei poliziotti che compongono il servizio d’ordine delle manifestazioni sono pubblicati nelle ordinanze, spesso dalle immagini delle violenze non è possibile associare con certezza un volto a un nome dell’elenco senza la presenza di un codice identificativo. 

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