I codici identificativi per la polizia sono ancora lontani

Le proposte discusse in Parlamento non hanno portato a risultati concreti e i sindacati sono divisi
Ansa/Massimo Percossi
Ansa/Massimo Percossi
Nelle ultime settimane, complici gli scontri tra polizia e studenti durante alcune manifestazioni contro l’alternanza scuola-lavoro, è tornato al centro del dibattito il tema dell’identificazione delle forze dell’ordine. Diversi politici – tra i quali anche il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni – hanno denunciato un’eccessiva violenza da parte delle forze dell’ordine durante le recenti manifestazioni degli studenti e sono tornati a chiedere l’introduzione di un codice identificativo per individuare con maggiore facilità gli agenti di pubblica sicurezza. Questa proposta è stata sostenuta anche dall’associazione umanitaria Amnesty international, che a gennaio ha presentato una petizione con 155 mila firme al capo della Polizia Lamberto Giannini. 

Come vedremo tra poco, diversi Paesi europei e del mondo hanno adottato da tempo i codici o i numeri di identificazione per le forze dell’ordine. In Italia, il tema ritorna da ormai vent’anni ed è oggetto di diverse proposte di legge, che al momento però non hanno portato a risultati concreti. Se alcuni sindacati di polizia chiedono l’introduzione di una legge che disciplini le manifestazioni pubbliche in generale, altri sindacati sono apertamente contrari ai codici identificativi, preferendo le cosiddette “bodycam”, ossia le microtelecamere da portare sulla divisa. 

Riconoscibili sì, ma solo in borghese

Prima di analizzare le varie proposte di legge e le posizioni in campo, è bene precisare che, ad oggi, in Italia gli agenti di polizia sono obbligati a identificarsi soltanto in caso di servizio “in borghese”, ossia in abiti civili. Il decreto del presidente della Repubblica n. 782 del 1985 che regola l’attività di pubblica sicurezza obbliga (art. 48) i poliziotti a portare con sé la tessera di riconoscimento sia in uniforme che “in borghese”, ma non a esibirla. Solo nel caso di servizio “in borghese”, i poliziotti devono esibire (art. 20) «sull’abito in modo visibile una placca di riconoscimento». Gli agenti “in borghese” non devono essere confusi con gli agenti “sotto copertura”, ossia coloro che si infiltrano in attività criminali, come traffico di droga o sfruttamento della prostituzione, e lo fanno grazie a una identità e documenti diversi dai propri (identità di copertura). 

Per quanto riguarda i carabinieri, il regolamento dell’Arma dei carabinieri impone (art. 64) l’obbligo di portare con sé la tessera di riconoscimento nel caso di servizi svolti “in borghese”, insieme all’autorizzazione ad usare l’abito civile. 

Che cosa chiede l’Europa

Sin dal 2001, dopo le violenze avvenute nel corso delle manifestazioni contro il G8 a Genova tra il 19 e il 22 luglio, le autorità dell’Unione europea hanno invitato più volte gli Stati membri ad approvare provvedimenti per individuare con maggiore facilità le forze dell’ordine quando prestano servizio in manifestazioni pubbliche. 

Il 19 settembre 2001 il Consiglio d’Europa (che, ricordiamo, non è un’istituzione dell’Ue e non va confuso con il Consiglio dell’Ue e il Consiglio europeo) ha approvato con un raccomandazione il “Codice etico europeo di Polizia” che, tra le altre cose, invitava (art. 45) gli Stati membri a far sì che, nel corso di manifestazioni pubbliche, ciascun agente di polizia sia riconoscibile e identificabile. Dieci anni dopo, il 12 novembre 2012, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che esprimeva «preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni» e che esortava gli Stati a introdurre il numero identificativo per le forze dell’ordine. 

Sia le raccomandazioni che le risoluzioni non sono atti vincolanti e quindi i singoli Paesi non sono obbligati ad adottarli nel proprio ordinamento giuridico. C’è comunque chi è andato in una direzione diversa rispetto a quella italiana.

Le regole negli altri Paesi

«Negli ultimi anni più della metà degli Stati del nostro continente ha introdotto un sistema di identificazione per le forze dell’ordine», ha spiegato a Pagella Politica Simone Tuzza, criminologo dell’Università di Bologna e autore del saggio Il dito e la luna. Ordine pubblico tra Polizia e potere politico, un caso di studio (Meltemi 2021). «Tra questi Paesi ci sono la Francia, la Spagna, diversi lander della Germania e anche la Gran Bretagna».

In Francia, per esempio, la polizia deve portare sulla divisa un codice ben visibile, mentre in Gran Bretagna gli agenti sono obbligati a mostrare un distintivo. «Diversi sistemi di identificazione polizia esistono anche in altri Paesi del mondo, in Canada per esempio i cittadini che vengono fermati da un poliziotto, anche in divisa, hanno il diritto di chiedere l’identificazione dell’agente», ha aggiunto Tuzza.
Immagine 1. Manifestazione degli studenti contro l’alternanza scuola lavoro del 28 gennaio a Torino – Fonte: Ansa
Immagine 1. Manifestazione degli studenti contro l’alternanza scuola lavoro del 28 gennaio a Torino – Fonte: Ansa

Le proposte in Parlamento

Nel 2017, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per le azioni condotte dalle forze dell’ordine alla caserma Bolzaneto di Genova nel 2001, definendole come atti di tortura. Nella stessa sentenza, la Cedu ha sottolineato, tra le altre cose, la difficoltà a individuare i singoli responsabili di quelle violenze a causa dell’assenza di codici di identificazione sulle divise degli agenti. 

Negli ultimi vent’anni, in Italia sono state così presentate diverse proposte di legge per introdurre i codici di identificazione, ma nessuna ha portato a risultati concreti. 

Una delle prime proposte era stata presentata alla Camera nel 2001 da Elettra Deiana, Giuliano Pisapia e Graziella Mascia, all’epoca deputati di Rifondazione comunista, e prevedeva l’introduzione di una «sigla univoca» in entrambi i lati e nella parte posteriore del casco di poliziotti e carabinieri in servizio di ordine pubblico. L’esame di questa proposta di legge si è bloccato il 31 maggio 2002, quando la Commissione Affari costituzionali ne ha respinto il testo. 

Più di recente, dal 2018 a oggi sono state presentate quattro proposte di legge, due da parte di Sinistra italiana, una da parte della deputata del Partito democratico Giuditta Pini e una da parte dei senatori del Gruppo Misto Gregorio De Falco, Paola Nugnes e Virginia La Mura, eletti con il Movimento 5 stelle nel 2018 e poi fuoriusciti. 

Le quattro proposte sono molto simili a quella che era stata presentata nel 2001 dai deputati di Rifondazione comunista e nessuna di esse ha iniziato l’esame nelle rispettive commissioni di Camera e Senato. La prima, quella presentata dalla senatrice Loredana De Petris (Si), propone l’introduzione di una sigla univoca sui caschi delle forze dell’ordine, su entrambi i lati e nella parte posteriore. Lo stesso tipo di sistema di identificazione è previsto dalla seconda proposta di Sinistra italiana, quella presentata alla Camera dal segretario Nicola Fratoianni e dal deputato Erasmo Palazzotto. La proposta di legge presentata dai tre senatori ex 5stelle De Falco, Nugnes e La Mura propone invece di introdurre un codice alfanumerico da riportare «sull’uniforme o su diverso abbigliamento indossato».

Un’alternativa ai codici identificativi

A differenza delle prime tre, la proposta presentata dalla deputata del Pd Giuditta Pini propone anche di munire le forze dell’ordine di una bodycam, ossia di una microtelecamera da attivare nei momenti di maggior pericolo e le cui registrazioni devono essere conservate in un server apposito e cancellate nel caso non siano oggetto di indagine.

Anche l’esame di questa proposta di legge si è bloccato, ma il 10 settembre 2021 il Garante della privacy ha autorizzato il Ministero dell’Interno e l’Arma dei carabinieri all’utilizzo delle bodycam, vietando però la tecnologia del riconoscimento facciale. Cinque mesi dopo, il 18 gennaio 2022, il capo della polizia Lamberto Giannini ha annunciato la fornitura ai reparti mobili della polizia e ai battaglioni dei carabinieri di 949 bodycam (700 per la polizia e 249 per i carabinieri). Secondo quanto comunicato dal capo della Polizia, le microtelecamere devono essere montate sulla divisa all’altezza del petto e le registrazioni devono essere conservate per sei mesi, salvo che non siano oggetto di indagini. 
Immagine 2. Una bodycam installata su una divisa della polizia tedesca nel länder dell’Assia – Fonte: Ansa
Immagine 2. Una bodycam installata su una divisa della polizia tedesca nel länder dell’Assia – Fonte: Ansa
In generale, le bodycam non sono comunque una novità. «È dal 2014 che ci sono esperimenti pilota per l’utilizzo di microtelecamere, da parte di varie forze di polizia, come per esempio la polizia municipale, ma a mio parere non possono essere considerate un’alternativa al codice identificativo dato che una bodycam si presta comunque alla possibilità di essere spenta, mentre il codice identificativo è stampato sulla divisa», ha spiegato il criminologo Tuzza a Pagella Politica.

Il sistema delle bodycam è quello preferito da alcuni sindacati di polizia, che si oppongono invece all’introduzione dei codici identificativi. «Le microtelecamere sono il miglior sistema per garantire la trasparenza nell’operato delle forze dell’ordine, perché la bodycam fotografa una situazione chiara tanto per l’agente quanto per il cittadino, e se un’agente decidesse di spegnere la telecamera verrebbe individuato subito e sottoposto a sanzioni», ha spiegato a Pagella Politica Stefano Paoloni, segretario del Sindacato autonomo di polizia (Sap). «Al contrario, ritengo che il codice identificativo si presti facilmente alle strumentalizzazioni: se un gruppo di violenti allo stadio prende di mira un poliziotto e quel poliziotto ha sempre le stesso codice identificativo, è facile che questi siano capaci di riconoscerlo più facilmente, minando l’azione dell’agente stesso», ha aggiunto Paoloni.

Una legge sulle manifestazioni pubbliche

Per contro, altri sindacati di polizia ritengono che parlare di codici identificativi o di bodycam sia riduttivo nella gestione complessiva delle manifestazioni pubbliche. «Non ci siamo mai sottratti al confronto, ma non possiamo ridurre la questione dell’ordine pubblico alla semplice identificazione delle forze dell’ordine», ha spiegato a Pagella Politica Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil. «Il vero problema è a monte, perché in Italia non abbiamo ancora una legge organica che disciplini le manifestazioni pubbliche, la cui gestione tecnica è in mano per lo più ai questori e agli organizzatori stessi», ha aggiunto Tissone. 

Ad oggi, nel nostro Paese la gestione di una manifestazione pubblica è regolata sulla base della Costituzione, che assegna allo Stato la responsabilità di gestire l’ordine pubblico, e da alcuni articoli (dal 18 al 24) del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps), approvato dal re Vittorio Emanuele III nel 1931. Secondo l’articolo 18 del Tulps, l’autorità che supervisiona l’organizzazione di una manifestazione è il questore, al quale i promotori dell’evento devono dare comunicazione almeno tre giorni prima. Il questore, ossia colui che a livello provinciale coordina da un punto di vista tecnico-operativo le forze dell’ordine, può vietare le manifestazioni in caso di pericolo per l’ordine pubblico o mancato preavviso. Per quanto riguarda la sicurezza durante la manifestazioni, come precisato dalla circolare (p. 3) del Ministero dell’Interno del 2018, il questore è tenuto a coinvolgere il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (un organo consultivo presieduto dal prefetto e che comprende anche il sindaco) solo nei casi di eventi ad alto rischio.

«Riteniamo sia necessario che la politica introduca una legge organica che regoli le manifestazioni pubbliche e che, da un lato, limiti gli abusi da parte delle forze dell’ordine e, dall’altro, inasprisca le pene e le sanzioni per coloro che si introducono nelle manifestazioni a volto coperto e commettono violenze», ha aggiunto Tissone a Pagella Politica

Ricapitolando: la richiesta di introdurre un codice identificativo sulle divise delle forze dell’ordine è oggetto da ormai vent’anni di diverse proposte di legge, che però non hanno portato a nessun risultato concreto, nonostante diverse raccomandazioni delle autorità europee.

Dal canto loro, alcuni sindacati di polizia, tra i quali il Sap, sono favorevoli all’introduzione delle bodycam, mentre altri sindacati come la Silp-Cgil chiedono l’introduzione di una legge organica che disciplini le manifestazioni pubbliche, limitando gli abusi delle forze dell’ordine e punendo con sanzioni più aspre i violenti che si introducono a volto coperto nelle manifestazioni.

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