Il ritorno del Cnel, sette anni dopo

Nel 2016 il referendum costituzionale voleva eliminarlo, oggi Meloni gli ha chiesto di formulare una proposta contro il lavoro povero. Ma le sue posizioni sul salario minimo sono critiche
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Era da quasi sette anni che il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, meglio noto con la sigla “Cnel”, non otteneva così tanto spazio sulle prime pagine dei giornali e nel dibattito politico. A dicembre 2016 quasi 13,5 milioni di italiani avevano votato a favore del referendum costituzionale che, tra le altre cose, chiedeva di abolire il Cnel. Ora la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso di concedere a questo organismo due mesi di tempo per formulare una «proposta complessiva di lotta al lavoro povero, che magari per alcune categorie può prevedere anche il tema del salario minimo», come ha spiegato il 14 agosto la stessa Meloni in un’intervista con il Corriere della Sera
La prima pagina della Stampa di sabato 12 agosto.
La prima pagina della Stampa di sabato 12 agosto.
Negli ultimi anni il Cnel è rimasto operativo e in varie occasioni ha mostrato di avere una posizione piuttosto critica verso la richiesta, in queste settimane avanzata da tutti i partiti di opposizione, di introdurre una retribuzione minima oraria in Italia fissata per legge.

Il ruolo del Cnel

L’esistenza del Cnel è prevista dall’articolo 99 della Costituzione: questo è un «organo di consulenza» del Parlamento e del governo, può proporre leggi e «contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge». Una legge del 1986 ha stabilito le funzioni del Cnel, che tra le altre cose può emanare pareri su provvedimenti che riguardano l’economia o il mondo del lavoro. Una legge del 2009 ha poi ampliato i poteri di questo organismo, che ogni anno trasmette al Parlamento e al governo una relazione «sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini».

Il Cnel è composto da 64 consiglieri: dieci sono esperti in materie economiche, sociali e giuridiche; 48 sono rappresentanti delle categorie produttive; e sei sono rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato. Da aprile 2023 il presidente del Cnel è Renato Brunetta, storico esponente di Forza Italia, in passato ministro di vari governi Berlusconi e ministro della Pubblica amministrazione del governo Draghi.

Il referendum costituzionale promosso nel 2016 dal governo guidato da Matteo Renzi chiedeva di sopprimere il Cnel, considerato dall’allora segretario del Partito Democratico un esempio delle «troppe poltrone della politica». Con la vittoria dei no al referendum, il Cnel è rimasto attivo, non attirando più l’attenzione dei giornali e dei politici, salvo rare occasioni, tutte riguardanti i vertici dell’istituzione. Per esempio nel 2017, a pochi mesi dal referendum, si era parlato dei dissidi interni al Cnel. Nella scorsa legislatura sono state presentate in Parlamento varie proposte di legge per abolire il Cnel, depositate da vari partiti, tra cui il Movimento 5 Stelle e la Lega. Discorso analogo vale per l’attuale legislatura: lo scorso maggio il leader di Italia Viva Renzi ha presentato in Senato un disegno di legge che chiede di sopprimere l’organismo di consulenza. Il 14 agosto, in un’intervista con La Stampa, l’ex presidente del Consiglio ha criticato la scelta di Meloni di coinvolgere nel dibattito sul salario minimo il Cnel, definendolo «l’organismo più inutile della Costituzione».

Curiosità: nel 2016 Brunetta si era schierato per il no al referendum, ma aveva comunque riconosciuto che il Cnel non ha mai avuto un ruolo importante nell’ordinamento italiano. 

Il Cnel sul salario minimo

Presso il Cnel è istituito l’Archivio nazionale dei contratti collettivi nazionali di lavoro, considerata la fonte ufficiale in materia di contrattazione collettiva nazionale. Questi contratti, sottoscritti dai sindacati, sono validi per interi settori economici e stabiliscono una serie di tutele per i lavoratori, tra cui i minimi salariali. In genere i contratti collettivi nazionali sono il frutto di un accordo tra le principali sigle sindacali, tra cui Cgil, Cisl, Uil, e le associazioni dei lavoratori, ma negli ultimi anni è aumentato il numero dei contratti sottoscritti da organizzazioni poco rappresentative dei lavoratori, prevedendo in alcuni casi condizioni economiche e tutele inferiori rispetto a quelli siglati dai sindacati principali.

La posizione espressa dal Cnel negli anni sul salario minimo non è, a essere generosi, tra le più favorevoli. A dicembre 2019, in un rapporto dedicato al mercato del lavoro e alla rappresentazione collettiva, il Cnel aveva deciso di eliminare due capitoli: uno sulle pensioni, l’altro sul salario minimo, scritto dagli economisti Andrea Garnero e Claudio Lucifora. «Questo capitolo analizzava il dibattito sul salario minimo legale in Italia, partendo da una comparazione con gli altri Paesi europei», aveva spiegato all’epoca Garnero a Il Foglio. «Non dicevamo nulla che non si sapesse già, ma quando lo abbiamo inviato al Cnel è scoppiato il caos. È arrivato l’altolà dei sindacati che hanno richiesto modifiche al contenuto in assenza delle quali il testo sarebbe stato escluso dal report finale». L’allora presidente del Cnel Tiziano Treu si era giustificato dicendo che le «proposte inserite nel rapporto» non erano «coerenti con gli orientamenti del Cnel».

Lo scorso 11 luglio il presidente del Cnel Brunetta è intervenuto con un’audizione nella Commissione Lavoro della Camera, dove erano all’esame le proposte di legge dei partiti di opposizione per l’introduzione di un salario minimo in Italia. In breve, secondo il Cnel è scorretto parlare di salario minimo «senza affrontare, a monte, i principali problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori». Tra questi problemi ci sono i ritardi nei rinnovi contrattuali, la crescita dell’inflazione e l’elevato livello delle tasse sul lavoro. Il Cnel ha anche criticato le proposte sul salario minimo perché non contengono «soluzioni in grado di affrontare il problema dei bassi salari dal lato della riforma fiscale e da quello della contrattazione a vari livelli».

In passato lo stesso Brunetta aveva preso una posizione dura nei confronti del salario minimo. A giugno 2022 l’allora ministro della Pubblica amministrazione ha scritto su Twitter che questa misura «non è la soluzione». Secondo Brunetta, infatti, il salario minimo «mortifica la contrattazione, che è il cuore pulsante dei rapporti sindacali nel nostro Paese». 
Come anticipato, il Cnel avrà due mesi di tempo per presentare una sua proposta per contrastare il lavoro povero. Il 3 agosto la Camera ha approvato una sospensiva di due mesi, che ha rimandato all’inizio di ottobre la ripresa dell’esame della proposta di legge dei partiti di opposizione sul salario minimo.

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