La dicitura “padre” e “madre” sulla carta d’identità dei minori è discriminatoria, secondo la Cassazione

La Corte ha bocciato un ricorso del Ministero dell’Interno, che difendeva un decreto di Salvini del 2019
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Con una sentenza pubblicata l’8 aprile, la Corte di Cassazione ha stabilito che la dicitura “padre” e “madre” sulle carte d’identità elettroniche dei minori è discriminatoria perché non rappresenta tutti i nuclei familiari, ed è corretto che sia sostituita dal termine “genitore”. La Cassazione ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno contro una decisione della Corte d’Appello di Roma, che aveva disapplicato il decreto con cui il termine “genitori” era stato sostituito da “madre” e “padre”. Secondo la Cassazione, quel decreto viola il «diritto del minore di ottenere una carta d’identità rappresentativa della sua peculiare situazione familiare». Ma capiamo come siamo arrivati a questa sentenza.

Il decreto di Salvini

A giugno 2015, quando era in carica il governo Renzi, era stato approvato un decreto-legge che introduceva la carta d’identità elettronica (CIE), e che stabiliva che la richiesta per ottenerla poteva essere presentata dal cittadino o, nel caso di minorenni, «dai genitori o tutori». L’allegato A a un decreto attuativo di dicembre 2015 riportava le caratteristiche grafiche della carta d’identità elettronica, e indicava nella sezione “genitori” – presente nel caso in cui il titolare fosse minorenne – «cognome e nome dei genitori o di chi ne fa le veci» (e non “genitore 1” e “genitore 2”, come si sente ripetere erroneamente da anni).

A gennaio 2019 Matteo Salvini, che era ministro dell’Interno del primo governo Conte, aveva firmato un decreto per modificare le disposizioni contenute nel decreto-legge del 2015. Secondo le nuove regole, la parola “genitori” sarebbe stata sostituita con «o il padre o la madre». Inoltre, anche la parola “genitori” dell’allegato A doveva essere sostituita con «madre e padre» e le parole «cognome e nome dei genitori» con «cognome e nome del padre e della madre».
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A febbraio 2024 la Corte d’Appello di Roma ha disapplicato il decreto del 2019 firmato da Salvini. Il Ministero dell’Interno ha fatto ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello, ma ora la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo corretta la disapplicazione del decreto del 2019. La Corte di Cassazione è il terzo e ultimo grado di giudizio e in molti casi le sue decisioni orientano le sentenze dei tribunali. Dunque, che cosa succede adesso?

«Il decreto del 2019 di fatto non vale più perché si tratta di un decreto ministeriale e per rendere nulli questi atti basta una sentenza della Cassazione», ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre. «Si torna quindi potenzialmente alla situazione precedente al decreto, ma a mio parere serviranno nuove indicazioni da parte del Ministero dell’Interno per fare chiarezza sulla situazione e recepire quanto stabilito dalla Cassazione».

Le ragioni della Cassazione

Secondo la sentenza della Cassazione, imporre a tutte le famiglie la dicitura “madre” e “padre” è «irragionevole e discriminatorio». In particolare, il caso su cui si è espressa la Corte di Cassazione riguarda una coppia di donne, Martina Castagnola e Giulia Filibeck, che nel 2023 ha fatto ricorso alla stepchild adoption, una forma di adozione che permette al genitore non biologico di adottare il figlio del partner. 

In un’intervista con la Repubblica, Castagnola e Filibeck hanno spiegato che quando sono andate a rinnovare la carta d’identità del figlio – sulla quale entrambe figuravano come “genitori” – hanno scoperto che nella nuova carta una delle due sarebbe risultata sotto il nome di “padre”. Negli anni tra la prima carta di identità e il rinnovo, infatti, era entrato in vigore il decreto del 2019 che aveva modificato la dicitura da “genitori” a “madre” e “padre”. Quindi Castagnola e Filibeck hanno deciso di fare ricorso in tribunale, e da lì è iniziato il percorso giudiziario che ha portato fino alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione. 

Secondo la Cassazione, la dicitura “madre” e “padre” rischia di avere conseguenze sul piano legale, impedendo al minore la possibilità di ottenere una carta d’identità valida per l’espatrio «per le deficitarie caratteristiche della stessa», perché la terminologia della carta di identità non sarebbe stata aderente alla realtà. Come ha stabilito la Cassazione, infatti, la dicitura “madre” e “padre” «consentiva un’indicazione appropriata solamente per una delle due madri e imponeva all’altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (“padre”) non consona al suo genere».

Riassumendo: la Corte di Cassazione ha stabilito che scrivere “madre” e “padre” sulle carte di identità dei minori è «irragionevole e discriminatorio». La Cassazione ha anche aggiunto che è lecita la dicitura “genitore” «o altra dizione corrispondente alle risultanze dello stato civile». Il decreto del 2019 che aveva introdotto “padre” e “madre” sulle carte di identità è di fatto nullo anche se il Ministero dell’Interno dovrà fornire nuove indicazioni per fare chiarezza sulla situazione e recepire la decisione della Cassazione.
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