Nel 2024 il 9,9 per cento della popolazione residente in Italia ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una visita o esame specialistico nei 12 mesi precedenti, escluse le visite odontoiatriche. È quanto emerge dalla nuova “Relazione annuale 2025” pubblicata dall’ISTAT il 21 maggio. In valori assoluti stiamo parlando di circa 5,8 milioni di persone che lo scorso anno ha rinunciato a curarsi, o meglio a sottoporsi a una visita specialistica [1].
«Dopo la pandemia da COVID-19, si rileva un generale peggioramento dell’accesso alle prestazioni sanitarie. Il fenomeno della rinuncia è aumentato nel tempo, e coinvolge oggi l’intero territorio del Paese, interessando tutti i gruppi di popolazione, anche quelli che prima del 2020 si trovavano in una posizione di relativo vantaggio (residenti nel Nord e persone con un elevato titolo di studio)», ha commento l’istituto nazionale di statistica.
I motivi principali della rinuncia sono le lunghe liste d’attesa, indicate dal 6,8 per cento degli intervistati, e l’impossibilità di sostenere i costi delle prestazioni (5,3 per cento). Nel 2024 il fenomeno è in aumento rispetto al 2023, quando la quota complessiva si fermava al 7,5 per cento, e soprattutto rispetto al periodo pre-pandemico: nel 2019 la percentuale era del 6,3 per cento. Nel 2021, a causa della pandemia, si è toccato il picco degli ultimi anni (11,1 per cento).
«Dopo la pandemia da COVID-19, si rileva un generale peggioramento dell’accesso alle prestazioni sanitarie. Il fenomeno della rinuncia è aumentato nel tempo, e coinvolge oggi l’intero territorio del Paese, interessando tutti i gruppi di popolazione, anche quelli che prima del 2020 si trovavano in una posizione di relativo vantaggio (residenti nel Nord e persone con un elevato titolo di studio)», ha commento l’istituto nazionale di statistica.
I motivi principali della rinuncia sono le lunghe liste d’attesa, indicate dal 6,8 per cento degli intervistati, e l’impossibilità di sostenere i costi delle prestazioni (5,3 per cento). Nel 2024 il fenomeno è in aumento rispetto al 2023, quando la quota complessiva si fermava al 7,5 per cento, e soprattutto rispetto al periodo pre-pandemico: nel 2019 la percentuale era del 6,3 per cento. Nel 2021, a causa della pandemia, si è toccato il picco degli ultimi anni (11,1 per cento).