Che cosa sono tutti questi accordi firmati da Meloni con le regioni

Si chiamano “Accordi per lo sviluppo e la coesione” e finora hanno riguardato 12 regioni, più le province autonome di Trento e Bolzano
ANSA
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Nelle ultime settimane la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha firmato una serie di intese con alcune regioni chiamate “Accordi per lo sviluppo e la coesione”. Il 13 marzo Meloni ha siglato un accordo di questo tipo con le province autonome di Trento e di Bolzano, il giorno dopo è stato il turno della Toscana, mentre dall’inizio di quest’anno è già toccato a Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Abruzzo, Calabria e Friuli-Venezia Giulia. Prima ancora, il governo Meloni aveva firmato intese con Liguria, Marche, Veneto, Lazio, Lombardia e Piemonte (tutti i link rimandano ai testi ufficiali degli accordi).

Per la firma di ogni accordo, la presidente del Consiglio è andata nella regione interessata, annunciando davanti ai giornalisti stanziamenti per i territori che vanno da decine di milioni a miliardi di euro, a seconda dei casi. Ma da dove vengono tutti questi soldi? In concreto, che cosa prevedono questi “Accordi per lo sviluppo e la coesione”? E perché sono importanti?

La politica di coesione in Italia

Il dovere dello Stato centrale di intervenire per ridurre le disuguaglianze territoriali è un principio costituzionale del nostro Paese. L’articolo 119 della Costituzione infatti stabilisce che lo Stato deve destinare «risorse aggiuntive» alle regioni per «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale», per «rimuovere gli squilibri economici e sociali», per «favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» e per «provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».

Un impegno simile è stato preso anche dall’Unione europea nei suoi trattati. Il Trattato sull’Ue stabilisce (art. 3) che l’Unione «promuove la coesione economica, sociale e territoriale» tra gli Stati membri, mentre in base al Trattato sul funzionamento dell’Ue (art. 174), l’Unione punta a «ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite».

Su queste basi poggia dunque la politica di coesione italiana. Da un lato ci sono i cosiddetti “fondi strutturali europei”, che finanziano progetti e investimenti nelle regioni italiane usando risorse europee. Queste spese sono cofinanziate anche da risorse italiane, perlopiù attraverso un fondo chiamato “Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie”. Dall’altro lato c’è il cosiddetto “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, istituito nel 2011, che è finanziato con risorse nazionali ed è il principale strumento con cui lo Stato italiano attua le sue politiche per ridurre i divari tra le diverse aree del Paese. 

Le risorse di queste due parti della politica di coesione sono organizzate in un periodo di tempo di sette anni. Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, un dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’attuale ciclo di programmazione, che va dal 2021 al 2027, può contare complessivamente su oltre 150 miliardi di euro: 78 miliardi di euro provengono dai fondi europei (quasi 45 miliardi) e dal cofinanziamento italiano, mentre oltre 73 miliardi di euro riguardano il Fondo per lo sviluppo e la coesione. Un primo stanziamento di 50 miliardi è stato fatto con la legge di Bilancio per il 2021, durante il secondo governo Conte, mentre altri 23 miliardi sono stati aggiunti con la legge di Bilancio per il 2022, durante il governo Draghi.

Storicamente l’Italia non è in grado di usare tutti i soldi destinati alle politiche di coesione: i motivi sono cronici e vari, dalla burocrazia alle scarse competenze e risorse di alcune regioni. A febbraio 2023 il Ministero per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, guidato dal ministro Raffaele Fitto, ha pubblicato una relazione sullo stato di attuazione della politica di coesione, europea e nazionale, relativa al precedente ciclo di programmazione dei fondi, quello tra il 2014 e il 2020. In quella data erano stati spesi 43 miliardi di euro sul totale di oltre 126 miliardi.

Sul portale Opencoesione si può monitorare l’impiego dei soldi dei fondi di coesione, per i vari cicli di programmazione, divisi nei progetti finanziati in vari settori, dall’innovazione ai trasporti.

Gli accordi con le regioni

Lo scorso settembre il governo Meloni ha approvato un decreto-legge, poi convertito in legge dal Parlamento a novembre, che ha modificato alcune modalità della programmazione e dell’uso delle risorse stanziate con il Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli anni 2021-2027. Tra le altre cose, il governo ha introdotto i nuovi “Accordi per lo sviluppo e la coesione”, al posto dei precedenti “Piani di sviluppo e coesione”, da sottoscrivere con le varie regioni per attuare le politiche di coesione e ridurre le disuguaglianze territoriali (qui un dossier del Parlamento elenca le differenze tra questi due strumenti). 

Come spiega il Dipartimento per le Politiche di coesione e per il Sud, l’Accordo per lo sviluppo e la coesione «rappresenta un passo essenziale per indirizzare in modo mirato e coordinato gli interventi di sviluppo sul territorio, individuando gli obiettivi da perseguire attraverso la realizzazione di specifici interventi, anche con il concorso di più fonti di finanziamento». Dunque sono questi gli accordi che in questi mesi il governo Meloni sta firmando con le regioni.

Ogni accordo deve specificare gli interventi e le linee di azione finanziabili con i fondi per lo sviluppo; deve contenere i cronoprogrammi di realizzazione degli interventi e gli impegni presi dallo Stato e dalla regione interessata dall’intesa; deve stabilire un dettagliato piano finanziario, con le spese previste anno per anno, e i principi per la gestione e il controllo di queste spese. Negli allegati degli accordi sono contenuti tutte le risorse destinate alle singole regioni che finora hanno firmato gli accordi con il governo e gli interventi che saranno finanziati.

Come anticipato, le risorse messe a disposizione delle regioni variano parecchio. La ripartizione di questi soldi è uno dei compiti del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), che nel distribuire le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione deve rispettare un vincolo: l’80 per cento dei soldi deve andare alle aree del Mezzogiorno, il restante 20 per cento alle aree del Nord e del Centro.

Per fare due esempi, l’accordo con la provincia autonoma di Trento riguarda stanziamenti per 94 milioni di euro; quello con la Regione Abruzzo un miliardo e 257 milioni di euro, ripartiti su vari settori, come mostra il Grafico 1.
Grafico 1. Come è distribuita la dotazione finanziaria dell’accordo con la Regione Abruzzo – Fonte: Regione Abruzzo
Grafico 1. Come è distribuita la dotazione finanziaria dell’accordo con la Regione Abruzzo – Fonte: Regione Abruzzo

Le polemiche delle scorse settimane

Nelle ultime settimane ci sono state alcune polemiche sulla gestione del governo dei soldi per la coesione.

A dicembre la legge di Bilancio per il 2024 ha autorizzato la spesa di 9,3 miliardi di euro tra il 2024 e il 2032 per finanziare la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. A questi si aggiungono 2,3 miliardi di euro presi dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, di cui 1,6 miliardi dalle quote destinate a Sicilia e Calabria, ossia le due regioni che saranno direttamente collegate dall’infrastruttura. In totale la spesa stanziata è pari a 11,6 miliardi di euro, una cifra inferiore al costo di oltre 14 miliardi stimato dal governo per l’intera opera.

All’inizio il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani, che guida una giunta di centrodestra, non ha apprezzato la decisione del governo, ma poi ha fatto un passo indietro, rispettando la scelta e parlando di un «equivoco». Nelle prossime settimane, se non ci saranno intoppi, sarà firmato l’accordo tra il governo e la Sicilia, a cui andranno quasi 7 miliardi di euro. La Calabria ha già firmato il suo accordo lo scorso 16 febbraio, per un valore superiore ai 2,5 miliardi. 

Un’altra polemica ha coinvolto Fitto e il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, che ha accusato il ministro di bloccare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione destinate alla sua regione. Il 19 febbraio il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Campania ha accolto un ricorso di De Luca e ha dato 45 giorni di tempo al Dipartimento per la Coesione per definire lo schema di accordo da sottoscrivere con la Regione Campania. Il ministro Fitto ha subito annunciato il ricorso al Consiglio di Stato, l’ultimo grado della giustizia amministrativa, che non si è ancora espresso sulla questione.

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