L’ex Presidente del Consiglio scende nella fossa dei leoni allestita da Santoro e Travaglio. Le domande sono incalzanti ma Berlusconi non si scompone. Sulla questione dell’amnistia e della prescrizione insiste con particolare determinazione. Vediamo se dice bene il leader del Pdl.
Partiamo col dire che gli istituti dell’amnistia e della prescrizione sono trattati nel Codice penale (rispettivamente agli articoli 151, e 157 e seguenti) e sono accomunati dall’essere cause di estinzione del reato.
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La prima consiste in un provvedimento generale di clemenza, originariamente ispirato a ragioni di opportunità politica e successivamente divenuto uno strumento di sfoltimento delle carceri. La riforma costituzionale del 1992 ha peraltro stabilito che l’amnistia debba essere adottata con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale dell’intero testo (art. 79 Cost.). La necessità di una così ampia maggioranza aiuta a spiegare perché, dai primi anni Novanta, non sia stato più adottato alcun provvedimento di amnistia. Ciò che ci interessa evidenziare è il fatto che l’amnistia può intervenire sia prima che sia pronunciata la sentenza di condanna (c.d. amnistia propria) sia dopo tale pronuncia (c.d. amnistia impropria). Quest’ultima forma di amnistia esplica inevitabilmente una efficacia più limitata, nel senso che fa sì cessare l’esecuzione delle pene principali e delle pene accessorie, ma non estingue gli effetti penali della condanna.Ad esempio, la sentenza di condanna può costituire titolo per una futura applicazione della recidiva (maggiori dettagli sono disponibili qui). Dunque, per rispondere a Berlusconi: no, non tutti quelli che sono stati amnistiati sono colpevoli.
Con la previsione che il reato possa estinguersi per effetti della prescrizione, e qui veniamo al secondo aspetto, la legge pone l’accento sul venir meno dell’interesse pubblico alla repressione del reato, quando dalla commissione del reato sia decorso un tempo proporzionato, in linea di principio, alla sua gravità, come desunta dalla pena edittale prevista dal legislatore.
La disciplina della prescrizione è contenuta nell’articolo 157 del Codice penale, riformato proprio dal governo Berlusconi con la legge n. 251 del 2005 (c.d. ex Cirielli). L’articolo afferma che “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione”.
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E’ dunque vero quanto sostiene Berlusconi: bisogna prendere le distanze da chi non distingue tra soggetti prescritti e colpevoli: è la Costituzione a dirci che l’imputato è presunto innocente sino a quando la sua colpa non sia stata provata e vi sia stata una condanna definitiva (art. 27, comma 2 Cost.). Tuttavia, occorre anche distinguere la prescrizione dall’assoluzione: quest’ultima presuppone che si sia celebrato un processo, al termine del quale il giudice ha emesso una sentenza che non ha ritenuto l’imputato colpevole. Nei casi di prescrizione, invece, il giudice, una volta osservata la sussistenza dei relativi presupposti, pronuncia la sentenza di non luogo a procedere. La differenza tra le due è resa esplicita dal Codice penale, laddove si prevede che l’imputato possa sempre chiedere espressamente di rinunciare alla prescrizione, se vuole ottenere una sentenza di assoluzione nel merito.
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Insomma, Berlusconi si dimostra ferrato in diritto penale. D’altronde, da chi ebbe a descriversi come “il maggior perseguitato dalla magistratura nel mondo” ci aspettavamo una certa preparazione: “Vero”!