Che la rete di bike sharing della capitale sia un disastro sembra quasi superfluo citarlo, ancor più verificarlo. Qualsiasi cittadino romano è abituato al desolante spettacolo delle postazioni vuote, delle biciclette scassate e traballanti sui sanpietrini del centro storico, del trionfo dei motorini che rubano il posto ai pochi, poveri mezzi rimasti.
L’entità del fallimento è resa ancora piú bruciante dal confronto con altre capitali europee ed altre cittá italiane, dove l’esperimento sembra essere di successo, e dove sciami di biciclette hanno oramai sostituito il caos delle automobili. Ma siccome il factchecking non arretra neanche di fronte all’evidenza, proviamo a testare i numeri citati da Marino, infliggendoci il dolore aggiuntivo della conferma statistica del fallimento.
Partiamo innanzitutto dal confronto del numero di velocipedi tra le due capitali europee, Roma e Parigi, citate dal candidato del Pd. Sulla Senna il servizio di bike sharing é offerto dal sistema Vélib, di proprietá della JCDecaux SA, societá privata specializzata nella pubblicitá ”outodoor” (cartellonistica). Il meccanismo è semplice: l’azienda si sobbarca i costi di gestione della rete di bike sharing, in cambio della concessione di spazi pubblicitari da parte del Comune di Parigi. Altre città, come Londra, hanno invece scovato metodi alternativi, affidando, per esempio, la gestione delle biciclette a banche come la Barclays, che ne ricavano un enorme ritorno in campo d’immagine. A Parigi, a quanto pare, l’esperimento è stato di un successo capillare. Piú di 20.000 biciclette, come conferma lo stesso sito, o 24 mila, come attesta uno studio pan-europeo dei sistemi di bike sharing commissionato dalla Eurotest (pag.7).
In contrasto con le ordinate flotte di velocipedi che sciamano lungo la Senna, la desolazione delle postazioni romane, sparuti avamposti persi in un caos amministrativo ed assediati dal traffico. Il sito adibito, Bikesharing Roma, annuncia con un tocco di trionfalismo la presenza di 27 ciclo-posteggi e 150 ”nuove biciclette di colore verde”, ben di meno di quanto annunciato dallo stesso Marino, che aveva comunque tutta l’intenzione di sminuire l’attuale gestione. Probabilmente il candidato sindaco si riferiva al totale delle biciclette comprate nel corso del tumultuoso passaggio di consegne da un gestore all’altro, piuttosto che al numero attualmente – e teoricamente – circolante. Se durante i primi sei mesi di bike sharing capitolino, infatti, la gestione della rete di biciclette era assegnata alla multinazionale spagnola Cemusa (sulla falsariga dell’esperimento parigino), questa ha poi cambiato mano, passando dal giugno 2009 all’Atac e, a partire dal 2010, ad una costola della municipalizzata, Roma Servizi per la Mobilità. Secondo certe inchieste sul bike sharing capitolino pubblicate dal Fatto Quotidiano e da Repubblica, la decisione di sottrarre il servizio alla multinazionale spagnola è provenuta da pressioni da parte dell’agguerrito cartello della pubblicità esterna della capitale, desideroso di eliminare la concorrenza proveniente dall’estero. Fatto che noi di Pagella Politica, purtroppo, non siamo in grado di provare.
All’interno del sito del Comune di Roma si può rintracciare la data in cui è stato assegnato il servizio alla municipalizzata, 3 agosto 2011, tramite delibera n.284 della Giunta capitolina. All’epoca si prevedeva di attuare un’espansione considerevole della bistrattata rete di velocipedi, provvedendo alla realizzazione di nuove postazioni (per raggiungere il numero totale di 70) e all’acquisto di nuove biciclette (fino ad arrivare ad un totale di 850 mezzi), oltre al rinnovo delle 29 postazioni esistenti. Complessivamente, come specificato a pagina 5, si sarebbe trattato di un investimento pari a 2,1 milioni di euro (più Iva), con costi di gestione annui equivalenti a 1,7 milioni di euro (più Iva).
Come si può dedurre dalle recenti statistiche riportate sopra in analisi (e citate, tra l’altro, direttamente dal sito interessato), però, tale investimento non è mai stato fatto. Le postazioni sono miseramente rimaste tra le 27 e le 29 (a seconda del sito che si consulta, altra fonte di confusione), e le biciclette sono rimaste le 150-200 attualmente in circolazione (includendo quelle che sono state rubate, ovviamente). Il grandioso piano di ampliamento del bike sharing romano è infatti morto soffocato dalle vicissitudini del bando pubblicitario emesso dalla Roma Servizi per la Mobilità. Il nuovo ente ha provato a rivolgersi alle 400 società di cartellonistica di Roma, emettendo un bando di concessione di spazi pubblicitari (1.500 metri quadrati di cartellonistica, per l’esattezza) in cambio della realizzazione delle nuove postazioni di bike sharing. La procedura, oltre ad essere stata colpita dalle polemiche delle associazioni ciclistiche della capitale (un regalo troppo corposo alle società pubblicitarie, per una contropartita di sole 850 biciclette) è stata infine impallinata dal Tar del Lazio, che ha ufficialmente stroncato il tentativo in una delibera del 12 febbraio 2012, accogliendo il ricorso di una delle società interessate alla gara.
Insomma, niente soldi, niente ampliamento del servizio. Per quanto riguarda le risorse già spese per il servizio esistente, non siamo purtroppo in grado di confermare la cifra di 1,8 milioni di euro citata da Marino, il quale si rifa’ probabilmente all’inchiesta pubblicata dal Fatto Quotidiano e riportata sopra in analisi. Si tratta dell’insieme di stanziamenti passati dal Comune di Roma all’Atac ed in seguito a Roma Servizi per la Mobilità, impossibili da rintracciare in tempi brevi. Abbiamo però rintracciato un’interessante indagine di Euromobility, che riporta i costi dei servizi di bike sharing di più città d’Italia nel 2011. I dati forniti al centro studi da Roma Servizi per la Mobilità (pag. 18) parlano chiaro: il bike sharing romano è il più costoso d’Italia, per un costo annuale di 1,09 milioni di euro, ovvero più di 8.300 euro per bicicletta. Per un servizio letteralmente inesistente, dalle prospettive al momento incerte e completamente inceppato in procedure burocratiche senza fine, è decisamente troppo.
Per quanto riguarda, invece, il numero di biciclette acquistate mano a mano dal Comune di Roma, le cifre sono estremamente discordanti ed é difficilissimo ricostruire una storia precisa. Dalle 200 che erano inizialmente a disposizione della Cemusa, ne sono state acquistate altre 150 con il passaggio di proprietá del servizio alla Atac, che ha provveduto alla sostituzione. Poco tempo dopo il Corriere della Sera titolava in una piccola inchiesta che ne erano giá state rubate 50. Con la progressiva sparizione di tutte le nuve biciclette, peró, il Comune annunciava l’acquisto di una nuova flotta di 200 velocipedi, disponibile a partire dall’inizio del 2012. Vista la situazione attuale, in cui quasi tutte le biciclette sono nuovamente scomparse, i numeri sembrano avvicinarsi alle 450 biciclette di cui parla Marino.
Insomma, pur notando un’incredibile confusione ed una sconcertante discordanza di dati tra fonti di informazione teoricamente affidabili in materia, non possiamo che concordare con quanto affermato da Marino: il numero di biciclette è ancora inferiore a quanto citato dal candidato del centrosinistra, ed i costi annui sono spropositati rispetto alla qualità del servizio, specialmente se raffrontati con altre città italiane. ”Vero”.
P.S.: il rapporto della JCDecaux sul programma Velib stima, a pagina 5, un costo per bicicletta di 4.500 euro. E ricordiamoci che è un costo sobbarcatosi interamente da una ditta privata, e non dal contribuente.