Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiegato la sera del 2 febbraio che uno dei motivi per cui ritiene preferibile evitare un ritorno alle urne è che in altri Paesi, in cui si è votato perché il mandato dei parlamenti o dei presidenti erano scaduti, «si è verificato un grave aumento dei contagi».
Abbiamo verificato e l’affermazione, controllando com’è cambiata la curva dei contagi in vari Paesi nel periodo intorno alla data del voto, e in effetti in diversi casi la curva è stata in salita. Ma le due cose sono per forza collegate? Andiamo a vedere qualche dettaglio.
Non tirare conclusioni affrettate
Prima di andare a vedere i numeri e le date del caso, bisogna dire alcune cose. La prima e la più importante è che non bisogna cadere nella tentazione di stabilire con certezza nessi di causa-effetto tra le elezioni e l’eventuale aumento dei contagi: è possibile infatti che l’aumento (o il calo) sia dipeso da altre variabili. La scienza si sta occupando della questione – qui e qui ad esempio – ma ancora non ci sono risultati definitivi.
La seconda è che cambia molto se un’elezione avviene in un momento in cui il virus sta circolando – per intenderci, durante le “ondate” di contagi – oppure se avviene in un momento in cui la circolazione è bassa o pressoché inesistente. La terza è che il numero dei contagi registrati dipende dalla capacità di testing, che può essere superiore o inferiore a seconda dei Paesi.
Mattarella ha parlato anche di quello che sta intorno al voto vero e proprio: «Va ricordato che le elezioni non consistono soltanto nel giorno in cui ci si reca a votare ma includono molte e complesse attività precedenti per formare e presentare le candidature. Inoltre, la successiva campagna elettorale richiede inevitabilmente tanti incontri affollati, assemblee, comizi».
Quest’ultima condizione non è affatto scontata come dice il presidente della Repubblica – Joe Biden notoriamente ha tenuto pochissimi comizi durante la campagna elettorale negli Stati Uniti – ma Mattarella sembra suggerire che intorno alle elezioni ci siano molte attività affollate.
Guarderemo quindi alla situazione nei vari Paesi a partire da due settimane prima del voto fino al mese successivo alla chiusura delle urne, quando gli eventuali contagi avvenuti durante il periodo della campagna elettorale e quello del voto dovrebbero essere stati registrati nelle statistiche.
Che cosa è successo dove si è votato?
Stati Uniti
Partiamo dagli Stati Uniti, che sono andati al voto per eleggere il presidente, buona parte del Parlamento e diversi governatori il 3 novembre 2020. Il 20 ottobre, due settimane prima che si votasse, i nuovi casi giornalieri erano stati (usiamo il metodo della media mobile a sette giorni) circa 61 mila. Il 3 novembre erano già aumentati a quasi 100 mila e il 3 dicembre, un mese dopo il voto, si è arrivati a più di 180 mila. Un aumento dunque quasi del 200 per cento nel complesso. Ma nel caso americano bisogna notare che l’aumento era cominciato molto prima del periodo elettorale: la curva era in ascesa almeno dai primi di settembre (Grafico 1).
Abbiamo verificato e l’affermazione, controllando com’è cambiata la curva dei contagi in vari Paesi nel periodo intorno alla data del voto, e in effetti in diversi casi la curva è stata in salita. Ma le due cose sono per forza collegate? Andiamo a vedere qualche dettaglio.
Non tirare conclusioni affrettate
Prima di andare a vedere i numeri e le date del caso, bisogna dire alcune cose. La prima e la più importante è che non bisogna cadere nella tentazione di stabilire con certezza nessi di causa-effetto tra le elezioni e l’eventuale aumento dei contagi: è possibile infatti che l’aumento (o il calo) sia dipeso da altre variabili. La scienza si sta occupando della questione – qui e qui ad esempio – ma ancora non ci sono risultati definitivi.
La seconda è che cambia molto se un’elezione avviene in un momento in cui il virus sta circolando – per intenderci, durante le “ondate” di contagi – oppure se avviene in un momento in cui la circolazione è bassa o pressoché inesistente. La terza è che il numero dei contagi registrati dipende dalla capacità di testing, che può essere superiore o inferiore a seconda dei Paesi.
Mattarella ha parlato anche di quello che sta intorno al voto vero e proprio: «Va ricordato che le elezioni non consistono soltanto nel giorno in cui ci si reca a votare ma includono molte e complesse attività precedenti per formare e presentare le candidature. Inoltre, la successiva campagna elettorale richiede inevitabilmente tanti incontri affollati, assemblee, comizi».
Quest’ultima condizione non è affatto scontata come dice il presidente della Repubblica – Joe Biden notoriamente ha tenuto pochissimi comizi durante la campagna elettorale negli Stati Uniti – ma Mattarella sembra suggerire che intorno alle elezioni ci siano molte attività affollate.
Guarderemo quindi alla situazione nei vari Paesi a partire da due settimane prima del voto fino al mese successivo alla chiusura delle urne, quando gli eventuali contagi avvenuti durante il periodo della campagna elettorale e quello del voto dovrebbero essere stati registrati nelle statistiche.
Che cosa è successo dove si è votato?
Stati Uniti
Partiamo dagli Stati Uniti, che sono andati al voto per eleggere il presidente, buona parte del Parlamento e diversi governatori il 3 novembre 2020. Il 20 ottobre, due settimane prima che si votasse, i nuovi casi giornalieri erano stati (usiamo il metodo della media mobile a sette giorni) circa 61 mila. Il 3 novembre erano già aumentati a quasi 100 mila e il 3 dicembre, un mese dopo il voto, si è arrivati a più di 180 mila. Un aumento dunque quasi del 200 per cento nel complesso. Ma nel caso americano bisogna notare che l’aumento era cominciato molto prima del periodo elettorale: la curva era in ascesa almeno dai primi di settembre (Grafico 1).