Come sappiamo ormai da tempo, le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 hanno prodotto il Parlamento con la più alta presenza femminile della storia della repubblica italiana, raggiungendo il 31% al Senato ed il 30% alla Camera.



Un risultato storico, sicuramente encomiabile, non sufficiente però a piazzare il nostro Paese tra le prime posizioni. L’Italia occupa infatti il trentunesimo posto nella lista stilata dalla Inter-Parliamentary Union – “Women in Parliament”. Altri Paesi, come per esempio quelli menzionati dalla presidente della Camera, mostrano percentuali maggiori, tutte superiori ad un terzo, come possiamo vedere dal grafico qui sotto.






Se Boldrini ha quindi ragione sulla proporzione di donne all’interno dei parlamenti citati – e sui quali si era già espressa in una dichiarazione precedente – rimane da vedere quanto siano corrette le sue affermazioni circa le obbligazioni legali adottate nei Paesi citati.



Per quel che riguarda la Germania, è un rapporto del Parlamento Europeo ad illuminarci sulla questione. Non è totalmente corretto sostenere che tutte le forze politiche hanno adottato misure per garantire un numero minimo di donne in parlamento. I Verdi hanno fatto da pionieri, inserendo sin dagli anni ’80 una quota minima del 50% di donne all’interno delle liste elettorali ed assicurando il primo posto ad un candidato di sesso femminile (il sistema elettorale tedesco assegna i posti in parlamento per metà tramite sistema proporzionale, per l’altra metà tramite liste bloccate). Per timore di perdere l’elettorato femminile, nel 1988 fanno lo stesso i socialdemocratici della Spd, garantendo il 40% dei posti in lista e del personale interno alle donne. I partiti come la Csu e la Cdu, invece, hanno applicato delle quote “soft”, rispettivamente il 30 ed il 40%, mentre i liberali della Fdp non hanno al momento adottato misure in tal senso, rendendoli l’eccezione tra i partiti storici del panorama politico tedesco.



In Spagna ci ha pensato invece la Ley de Igualdad del 2007 che, nel “Tìtulo II”, stabilisce una rappresentazione equa di entrambi i sessi all’interno delle liste elettorali presentate dai partiti, nello specifico:



  • proporzione bilanciata dei sessi nelle liste elettorali presentate dai partiti con un minimo del 40% di rappresentanza per entrambi i sessi;

  • accorciamento dei tempi concessi ai partiti per adeguare le liste a questo principio;

  • quota del 40% applicabile non solo alle liste elettorali, ma anche all’assegnazione di ruoli di spicco all’interno dei partiti.



Tali misure hanno prodotto un incremento graduale della presenza femminile all’interno delle cortes spagnole, anche se non hanno dissipato interamente i dubbi legati alle pratiche dei partiti, che tendono a piazzare le donne in cima alla lista solamente in circoscrizioni dove sono sicuri di raggranellare un alto numero di rappresentanti.



Anche il Belgio ha, come specificato da Boldrini, adottato delle leggi nazionali per disciplinare la presenza femminile all’interno del proprio parlamento. Nel 2002 la Costituzione è stata modificata, costringendo tutti i partiti ad introdurre un numero uguale di donne e uomini all’interno delle liste e vietando la la presenza di due candidati in cima alla lista dello stesso sesso.



Tirando le somme, la presidente della Camera ha ragione quasi su tutto, dimenticando una piccola sbavatura circa il comportamento delle forze politiche tedesche (ovvero l’auto-esclusione dei liberali della Fdp dall’assegnazione di quote minime per donne all’interno delle liste elettorali). In ogni caso un “Vero” meritato.