La riforma del mercato del lavoro sta raggiungendo la sua fase apicale. La relazione tra il Presidente del Consiglio e i sindacati e la loro area di riferimento, di conseguenza, ne ha sofferto. Dalle minacce di sciopero generale alla recentissima manifestazione di Sel (con qualche partecipazione illustre della minoranza del Partito Democratico), in cui il leader Nichi Vendola ha tuonato: “la sua battaglia [di Renzi] non è rivolta contro di me o contro la Camusso: è contro i lavoratori, è contro i cittadini”, la sinistra del Paese è in tumulto.
Il Presidente del Consiglio non ha risparmiato le battute, attaccando duramente i sindacati e la loro opposizione ad una riforma dell’articolo 18, sottolineandone la sottile ipocrisia. Vediamo se ha ragione.
L’articolo 18 e le imprese “non a scopo di lucro”
Ebbene, Renzi e Il Giornale hanno ragione da questo punto di vista. L’articolo 18, ossia la parte che regola il licenziamento illegittimo per dipendenti a contratto indeterminato in aziende con più di 15 addetti, non si applica ai sindacati. Lo regola l’articolo 4 della legge n. 108 del 1990, che andava a modificare ed integrare certi aspetti dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ma che specificava, appunto: “La disciplina di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”.
Notiamo subito che i sindacati non sono gli unici a trovarsi esentati dall’applicazione dell’articolo in oggetto, in caso di licenziamento illegittimo (esentati, quindi, dal possibile obbligo di reintegra del lavoratore). Sono, infatti, in buona compagnia: assieme a loro sono esentati partiti politici, organizzazioni religiose e le cooperative.
Le Coop come i sindacati
A riprova di ciò, troviamo una circolare del Ministero del Lavoro comparsa anche sul sito www.universocoop.it, che recita:
“Se il rapporto di lavoro è svolto in forma subordinata, al socio lavoratore di cooperativa si applicano le disposizioni previste dallo Statuto dei lavoratori […]Fanno eccezione le norme concernenti la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo nell’ambito di operatività della tutela reale (art. 18 L. 300/70) qualora venga a cessare, insieme al rapporto di lavoro, anche quello associativo”.
La motivazione ideologia e le “organizzazioni di tendenza”
Tutto ciò, in realtà, è giustificato dal punto di vista della legge dal principio della “motivazione ideologica”. In breve, i partiti politici – così come i sindacati, le cooperative, o le organizzazioni religiose – hanno delle chiare motivazioni ideologiche che li spingono a perseguire le proprie attività. I soci a rapporto subordinato che lavorano per tali organizzazioni devono sottostare alle basi della filosofia e dell’etica che le muove.
Lo spiega il giuslavorista Pietro Ichino, il quale scrive che il motivo ideologico del licenziamento è legittimo se considerato “inerente all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Sulla questione si sono espressi altri giuslavoristi come Michele Tiraboschi e Roberto Pessi, anche se va ovviamente tracciata la differenza tra un socio con rapporto di lavoro subordinato (ovvero un militante, il cui licenziamento può quindi essere giustificato da motivazione ideologica) e un dipendente come un archivista o un addetto all’amministrazione, che non ricopre ruoli di militanza e per cui le tutele dell’articolo 18 sono quindi ancora valide.
Conclusione
Renzi ha sicuramente ragione a sostenere che l’articolo 18 non si applica ai sindacati. Esagera però (con chiaro scopo derogatorio) nel denunciare questi come gli unici beneficiari di tale esenzione. “Nì”.